Martedì 29 aprile 2008
Un’altra delle solite giornate inconcludenti al lavoro. L’ufficio dell’amministrazione dove urlano e schiamazzano, e poi quando gli vai a chiedere di farti qualcosa di urgente non hanno mai tempo o non sanno farlo. Le solite email in cui non ti mettono in copia e riunioni in cui dimenticano di invitarti. L’unica che lavora come si deve lì dentro è Efat, la ragazza che ci fa il caffè.
È già molto caldo. I miei rientri a casa sono un quotidiano magone-sollievo, tra l’afa che comincia ad appiattire, la polvere appiccicata addosso, e il frastorno dei clacson, delle urla e delle molestie.
Doccia fredda, un piacere scoperto qui. Casa. Mi sono finalmente ripromessa di finire il curriculum per mandarlo all’Unicef stasera, nonostante la stanchezza accumulata e questo malditesta. Odio questi CV, non vanno mai bene…che sconforto.
Suonano alla porta
Sono circa le 21.30 quando suonano alla porta. Ecco, gli orari egiziani - penso esausta. È Attif, il mio bauab (il portiere), con accanto un ragazzo africano enorme con in mano una cassetta degli attrezzi.
Io e i bauab non abbiamo lingua per comunicare. Attif due giorni prima era venuto a vedere il rubinetto che sgocciolava. Tutto quello che aveva fatto era stato scoperchiare la manopola dal suo tappino, sperando gli si rivelasse qualche verità… In realtà in quel rubinetto basta cambiare le guarnizioni, ma non ho alcuna idea di come riuscire a comunicare questa cosa. Se ne era andato dicendomi “bukra” (domani), “tamanya” (alle 8), o almeno così avevo capito io. Beh, il giorno dopo non si è visto, ma due giorni dopo si presenta con l’idraulico.
Sono ancora troppo impacciata per sciorinare la mie due parole di arabo. Cerco invano la parola “min”, “chi”, per chiedere chi fosse. Poi, più preoccupata dal non parere brusca, li faccio entrare entrambi in bagno dove mostro al ragazzo cosa dovesse sistemare. Posso parlare in francese perché è camerunense. Attif mi chiede (a gesti) se è tutto a posto e una volta rassicurato si congeda.
Termino la spiegazione e lo sento un po’ troppo vicino, mentre approfitta di un suo movimento verso la caldaia per sfiorarmi il braccio. Sono infastidita, ma con gli uomini lo sono tutti i giorni qui.
- Tu viens d’où?
- D’Italie.
- T’es seule ici?
- J’y travaille… - taglio corto. Solite domande.
Lo lascio in bagno e mi rimetto davanti al computer in salotto. I minuti passano in fretta quando non sai più come manipolare il tuo CV. Lui intanto va a dare un’occhiata al contatore dell’acqua in cucina e passando mi si avvicina per mostrarmi una foto. È una squadra di calcio di bambinetti sugli otto-dieci anni.
- J’aime les enfants, tu sais. Ceci est un team de football. Moi je suis ici. Toi tu as des enfants?
- Non, je n’en ai pas.
- Tu es mariée?
- Non, je ne suis pas mariée. Désolée, il faut que je termine ici…, et que vous terminez là-bas. - faccio distrattamente per allontanarlo.
Contino a guardare lo schermo, ma mi sono risvegliata dal trip “CV” e ho una strana sensazione. È in bagno. Dalla mia postazione vedo chiaramente i suoi movimenti. Apre e chiude la manopola del rubinetto, smanetta nella caldaia. Non sta facendo nulla.
- Ça va??!! – grido dal tavolo
- Oui oui, j’ai presque terminé
È di spalle. Allungo il collo, mi sporgo quanto basta per guardare il suo armamentario. Ma non ha nemmeno un attrezzo in mano. Non ha nessun attrezzo da nessuna parte. Perché non ha nemmeno una cassetta degli attrezzi. Quella che il mio bizzarro inconscio, o chi per lui, aveva categorizzato come tale non era che una piccola, morbida borsa di naylon da palestra.
Ok Margot. Bentornata sulla terra. Hai in bagno un energumeno camerunense modello giocatore di basket, e non è l’idraulico. È una montagna di perfetto sconosciuto che non si capisce come e perché sia arrivato a suonare alla tua porta se non per un equivoco o per tempeste ormonali. Ok. Resta calma, continua a guardare il computer. Lui sta recitando egregiamente la sua parte. Comincio a trasudare adrenalina. Ora vado ad aprire la porta d’ingresso e poi mi affaccio in bagno, in posizione da poter scappare facilmente.
- Écoutez, si vous ne savez pas comment le réparer ça va, vous pouvez y aller! – dico concitatamente, tenendo insieme i pezzi della mia voce. - Je suis fatiguée et cela prend trop de temps! – provo a scacciarlo.
- Non, mais ça va, je vais le réparer, mais vous savez, il faut changer ça… - e mi mostra un pezzo di metallo sotto al lavandino che non si può né svitare né staccare, e non ha nulla a che fare col lavandino che perde. Ottimo.
- No, senti, io non ho tempo da perdere, ora tu prendi le tue cose e te ne vai ok? Altrimenti mi metto a gridare per il corridoio, e tu sai che non ti conviene. Quindi prendi la tua roba e vattene. Perché hai fatto finta di essere un idraulico??!! - (Margot, razza di stupida, sei tu che l’hai fatto entrare dandogli dell'idraulico - pensavo - santo iddio…)
- No, ascolta, ti prego, scusami. L’ho fatto perché…mi piaci. Mi fai dormire qui da te?
- Ma che cosa stai dicendo, per chi mi hai preso???!!! Ora prendi la tua roba e vattene perché se no mi metto a gridare e mi faccio sentire da tutto il palazzo, e tu non vuoi questo, e nemmeno io…
Lo convinco ad andarsene. Chiave, doppia mandata e chiavistello. Respiro respiro respiro. Ma che scema…! Il tutto perché non mi ricordavo la parola “min” in arabo!! Pazza.
Suonano alla porta 2
È ancora lui. – Ti prego, ho dimenticato la foto dei bambini, dammi solo quella, s’il te plait! –
Mi guardo in giro e non vedo nessuna foto.
– Il n’y a pas de photos ici!!!- grido.
– Sì, sì, guarda bene, l’ho lasciata lì.
– Non ci sono foto qui, ho guardato ovunque, e ora levati dalla mia porta!
Finalmente se ne va e io sono un fascio di nervi, tremando. Passano tipo tre minuti e…
Suonano alla porta 3
È Attif, il mio bauab. È venuto a chiedere se va tutto bene, perché apparentemente non gli torna qualcosa. Che sollievo, però io ora voglio solo andare a dormire. Tragicità mediterranea e mimo sono sufficienti per comunicargli il mio stato; ovviamente ho dovuto toccargli il braccio per mimare lo sfioramento, provocandogli uno scatto, ma tant’è!
Attif il pragmatico prende il mio cellulare e telefona al vicino di sopra perché io gli riporti per filo e per segno la situazione in inglese, e stiamo un po’ lì a scambiarci il telefono con il vicino che fa da tramite. Il signore di sopra mi dice che lo devo denunciare alla polizia, e di chiamarlo per qualsiasi cosa la prossima volta, perché è pericoloso!
Loro continuano a parlarsi e io non capisco cosa si dicano…voglio solo chiudere questa faccenda e andare a dormire, sono le 22.30 passate e domani mi devo alzare alle 7.00. Attif esce, e io penso che finalmente sia finita la giornata. Ma dopo meno di cinque minuti…
Suonano alla porta 4
Non ci posso credere. Chi cazzo è adesso, cosa c’è…Guardo dallo spioncino e vedo una sagoma femminile, piccola e col velo.
Apro. L’ho già vista, è una signora sui 55 che abita nei piani più bassi e aiuta a fare i lavori nel palazzo. Comincia a parlarmi sorridendo, ciondolandosi un po’ in avanti come per reverenza e intonando quasi una litania. Sorride e poi ride, e poi parla e sorride e ride. Tutto in arabo. Io ho già dei problemi a rimanere ancorata alla realtà, ma ora sto proprio vivendo una scena medievale. Inoltre il calo di adrenalina mi ha mandato semplicemente in trance.
Cerco di farle capire, con quella calma tipica di quando non hai più alcuna forza di reagire, che non capisco nulla di quello che dice. In tutta risposta comincia a fare gesti con le mani, sempre gli stessi. Non capisco, mi dispiace, non capisco. Allora mi prende e mi trascina verso la porta della mia vicina canadese, e suona il campanello. Io mi lascio fare.
Apre la porta la figlia dodicenne della canadese, masticando un chewing gum e parlando al cellulare. Le guardo parlarsi e poi vedo il cellulare passare dalle mani della ragazzina alla signora, che continua la conversazione con la stessa persona all’altro capo del filo. Ho rinunciato a capire. Surreale. Il telefono torna alla ragazzina.
- Ha detto che l’idraulico, che è di sotto, rivorrebbe la sua foto. Inoltre per per quanto riguarda la parcella, non si farà pagare per il lavoro, ma chiederebbe quantomeno 5 pounds per il taxi. Sono basita. Esasperata spiego a grandi linee la situazione alla ragazzina e le chiedo di riferire alla signora che non pagherò nulla a nessuno! Anzi, che gli dica di sparire! La voce dal cellulare riporta il quanto. La ragazzina chiede se è sufficiente; confermo, ci salutiamo, la porta si richiude.
La signora sempre quasi danzando e cantando, si allontana verso l’ascensore e scompare. Torno a casa, con la sensazione ora di essere ubriaca e spero di sprofondare nel letto. Mi sciolgo i capelli, mi strucco, mi pettino e mi infilo la mia sottoveste, solo che…
Suonano alla porta 5
Spioncino: c’è un gruppo di tipo cinque uomini fuori dalla porta. Oddio, voglio piangere. Faccio capolino dalla porta e gli faccio capire che devo andarmi a cambiare. Per loro questa fase è normalità.
Torno. Era un convoglio di Bauab del quartiere. Richiamano il mio vicino di casa che mi traduce che volevano che scendessi e facessi denuncia. Lo avevano fermato di sotto e avevano chiamato la polizia. Io intanto chiamo Elia, il mio insegnante di arabo, perché venga a farmi da traduttore perché non ce la faccio più. Elia mi infama al telefono perché non dovrei cacciarmi in tali situazioni, e dopo avermi fatto terrorismo psicologico sulle storie che si sentono in giro, arriva.
Il tribunale popolare
Ci siamo. Sono seduta sulla panchina dell’ingresso del palazzo, un po’ in disparte. Lui pure è seduto ed è circondato da mezza dozzina di uomini, compreso il poliziotto, che in pochi minuti diventano una decina. Gli arabi sono imbestialiti e lo vogliono denunciare, primi fra tutti Attif, il mio bauab, che è in prima linea cercando forse di giustificare quello che poteva sembrare un suo errore. Discutono animatamente tra di loro e l’unica cosa che distinguo è “africaan!”. Il ragazzo non capisce bene l’arabo ed Elia interviene in francese.
Gli chiede chi è, da dove viene, dove vive, cosa volesse da me e soprattutto come è arrivato alla mia porta. Intanto il gruppo continua a gonfiarsi di passanti e di abitanti del palazzo, che si fermano attirati dal trambusto. Io voglio seppellirmi. Una donnona egiziana velata viene vicino a me e mi chiede cosa sia successo. Io rispondo restando vaga cercando di dare una versione che salvaguardi la mia credibilità e il mio onore ormai vacillanti.
Secondo la versione ricostruita, il ragazzo frequenta la parrocchia di padre Angelo, di fronte casa mia. Elia chiarirà se è la verità. È arrivato nel mio palazzo e avrebbe chiesto di una certa “Mariella” (non c'è nessuna Mariella nel mio palazzo). Attif, forse non capendo il nome, ha pensato che cercasse me e me l’ha portato. Elia gli ha chiesto perché non avesse subito chiarito l’equivoco una volta vistomi, e perché si fosse finto un idraulico. Placido, lui ha risposto - Mais messier, vous voyez bien, je suis en homme, j’ai envie d’une femme, j’y ai essayé! (Non fa una piega).
Quoi??? – Colpita nel vivo mi sono alzata in piedi gridando in francese, preoccupata in quel momento di fare chiarezza sulle mie di posizioni, mentre Elia gli rincara la dose di minacce e mi incita a denunciarlo con l’appoggio di tutto il coro. Io volevo tanto chiudere lì la storia e cominciavo a sentirmi male per quel ragazzo che continuava a restare calmo e a non alzare la voce, se non fosse che a fronte delle mie reticenze a denunciarlo, gli sguardi degli arabi cominciavano a divenire sospettosi, come se in realtà dietro questo diniego stessi nascondendo una tresca. Sono riuscita a negoziare che per questa volta un’ammonizione poteva bastare, perché in fin dei conti non mi aveva fatto nulla di male.
- Tu sei illegale qui, non hai i documenti. E allora senti per bene. Lei ha deciso di non denunciarti questa sera e di questo la devi ringraziare, capito? Perché lo sai vero cosa ti succede se finisci in prigione per molestie, per giunta senza documenti?! Che non saranno tanto gentili come lo siamo stati noi, e ti prendi tante di quelle botte che non ti ricordi più come ti chiami. E quindi ora vai ma sappi che se ti rivediamo girare qui intorno, la prossima volta vai in galera direttamente, sono stato chiaro? – gli ha gridato Elia.
Si è conclusa così, non so quanto dopo la mezzanotte, questa serata surreale, tra rabbia (verso di lui e verso di me, per avere agito da rincoglionita), vergogna, senso di colpa e un gran senso di vulnerabilità.
Non sapevo ancora che si trattava solo del primo capitolo…
E comunque, non ho mai ritrovato alcuna foto.