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4. "Fa' ogni giorno una cosa che ti piace"

3 gennaio 2009

E così si conclude il mio anno in EgittoBello e brutto…ma di tutto troppo! Insostenibile, straripante, travolgente, inquietante, lacerante. Si conclude, penso, anche una parte della mia vita, quella del “DEVO fare” (per dimostrare a me stessa, o a…); ora spero di riuscire a gestire la fase del “voglio fare” e “mi piace fare”. Non sono più abituata a seguire i miei desideri. Mi devo rieducare. Non so più cosa mi piace. Disegnare? Suonare? Cantare? Fare i collage? Leggere?

Cerca di fare ogni giorno almeno una cosa che ti piace”. Così mi ha detto Martina due giorni fa. Quello che ho fatto oggi è decorare l’agenda del 2009; un rituale, la scelta di un’immagine d’arte, che ormai da quattro anni non facevo più, da quando ho finito l’università e ho iniziato a lavorare. Il pezzo d’arte di quest’anno sarà…il disegno un bambino egiziano, Ibrahim!


Propositi per il 2009:
- più stabilità e colori.
- Valorizzare i miei scritti.
- Smettere di fare sempre l’esatto contrario di quello che sento d’istinto.

Ma questa autocensura della creatività, quel silenzio, era il mio stato mentale. Il paraocchi un po' masochista che mi sono messa in questi quattro anni per sfidare tutto e tutti, il mio passato, i miei istinti, i miei piaceri, l’arte, la mia famiglia…

Ho trascurato tutto ciò. Solo lavorare, pianificare, scrivere, futuro e tensione. Volere esplorare al massimo, vivere tante vite contemporaneamente, ma anche trascurare il bello, il gusto della vita, delle piccole cose, dell’arte, per un percorso per forza di cose funzionale. Anche se sì, ho avuto il bello di tante persone indimenticabili e di tante lingue ed emozioni.

Ho bisogno di cultura pura, nuda e cruda, quella che ho maltrattato da circa dieci anni. E’ bisogno di storia, libri, bancarelle di libri usati. Andare a teatro, a una mostra, a un concerto. Mangiare le cose buone, cucinare con pazienza, andare al mercato e scegliere le cose particolari. Comprarsi un bel vestito, combinare colori, collane e orecchini. Pettinarsi in maniera diversa. Avvolgersi in coperte belle, e perché no, guardare un programma in televisione senza dover per forza dimostrare di essere critica, colta e selettiva.


Matteo: (...) sono diviso tra la voglia di avere una vita piena di colore e una serie di tiranti che mi ancora al calore. Quanto più profonde sono le radici, tanto più crescono i rami, dicevano. E se i rami si spezzano, sono cazzi. Le mie radici stanno ben piantate, e con quelle faccio i conti.

Margot: Il colore senza il calore diventa grigio. Questo è quello contro cui ho sbattuto il naso quest' anno, non senza delusioni e messe in discussione personali. Ho deciso che non voglio vedere il colore da dietro una lastra grigia, senza poterlo toccare. La poesia nelle cose è tutto e io qui non riuscivo più a trovarla, e non credo sia una questione di Cairo. Non so ancora come né dove dovrò rimiscelare gli ingredienti. Ma mi sa tanto che è solo il calore che ti fa trovare il colore.

*** La storia di questo blog ***

Il mio nuovo blog: Equilibrio Variabile
___

3. Molteplici vite

Sicuramente, se non ho vissuto appieno questa esperienza, è stato perché metà del mio cuore questa volta è restato in Europa.

In tutte le altre “nuove vite” (a Bruxelles in Erasmus, in Cile, e di nuovo a Bruxelles) la parola d’ordine è sempre stata “stacco col passato e ricomincio da capo”, piazza pulita, nuova identità. In tutte sono partita con la sensazione di un nuovo inizio, e che sarebbero durate – tant’è che la mia impressione è proprio  di avere vissuto molteplici vite assieme, ognuna con un suo sistema di priorità diverso...(prima o poi dovrò fare una lista degli scenari diversi e delle diverse prospettive che ho attraversato, a volte così tanto diverse da non riuscire a riconoscermi a distanza di pochi mesi, dopo il passaggio da una vita all’altra…). 12 case in 10 anni, 4 lingue, 5 lavori in 3 anni, 4 paesi in 4 anni.    

Questa volta invece non sono riuscita a calarmi in questa vita. Ho rifiutato l’Egitto, la lontananza. Ho vissuto questa esperienza come “una cosa da fare”, un “dente da togliersi”, ma senza dargli anima, e – per la prima volta nella mia vita – con la certezza, già decisa, del ritorno.

Tanto tempo da sola. Per scelta, per la stanchezza di conoscere nuove persone, raccontarsi da capo, da zero, spiegarsi, per il dolore di doverle lasciare. Ho capito che per quanto siano belle le esplorazioni ed esperienze che si possono fare, non ho più voglia di farle da sola o di condividerle con persone di passaggio. Non mi riesco a godere più nulla che consideri temporaneo e volatile, per quanto bello sia. Voglio qualcosa che senta mio. Sono stanca di investire energie in cose provvisorie, siano esse lavori, una casa, persone. Mi sento di vivere in una bolla.

Voglio trasmettere quello che ho imparato e sentito alle persone che compongono lo zoccolo duro della mia vita. Ho pensato a chi mi vuole davvero bene e a quello che mi fa stare bene. Sono diventata più diretta e calma. Rido meno e vado dritta al dunque. Ho imparato a dire no, a filtrare, a chiedere le cose in maniera meno ossequiosa.

4. Perché non posso vivere al Cairo

8 dicembre 2008
Devo accettare che non tutte le vite possono fare per noi, e seguire ciò che mi fa stare bene.

• Non riesco a respirare (il Cairo è la città al mondo con la maggiore concentrazione di polveri fini nell'aria). 


• Non riesco a camminare per strada (in quanto non riesco a respirare)


• Ogni mattina mi sveglio coi polmoni chiusi e la gola che raschia, per lo smog del giorno prima. 


• Non posso aprire la finestra quando voglio, per lo smog.

• Non mi sento libera.


• I bauab (portieri) controllano e sanno ogni gesto o movimento e di fatto non posso fare salire liberamente le persone a casa mia (specialmente di sesso opposto). 


• I bauab sono sempre dietro a chiedere mance, per Pasqua, per Ramadam, per l’Aid, per Natale...(ogni festa è buona, non fanno la differenza fra cristiani e musulmani!)


• Non ne posso più di questo pensiero fisso di “coprirmi”. 


• Non so come vestirmi. Qualsiasi cosa mi metto mi sento a disagio. O mi sento un sacco. O mi sento una bigotta negli anni ’50. O mi sento kitch. Ma mai una donna.


• Non sopporto di comprarmi vestiti e poi comunque non potermeli mettere perché non sono mai adatti o “decent”.

• Perché mi passa la voglia quando penso che devo raggiungere un luogo da sola - io che ho sempre fatto qualsiasi cosa da sola.

• Non si riesce a visitare un solo monumento (per non parlare di riuscire a leggere una solo riga da una guida) senza essere molestati. 


• Mi stresso ad attraversare la strada.




• Il suono dei clacson annienta i miei sensi. 


• C’è l’aria condizionata a 17° ovunque e tutto l’anno, quando fuori ce ne sono 45 e quando ce ne sono 15. 


• Non riesco a trovare i libri che voglio.

• Non sopporto questi cavalcavia in mezzo al centro storico


• Non ho ancora trovato un luogo rilassante (non dico verde...) e accessibile (a meno di mezz’ora di auto) in cui distendermi. 


• Il bello, il luogo bello (parchi, giardini, tavoli all’aperto), è tutto a pagamento, o all’interno di compounds (Malls, Hotels) a sottolinearne l’alterità rispetto allo spazio pubblico “normale”, regolare. Non esiste un concetto di bello come pubblico. 


• Non riesco a trovare la poesia in niente. Nemmeno nella decadenza, che è poetica per definizione. Perché qui si va oltre la decadenza. E’ solo spreco, degrado e mancanza di rispetto per il loro unico passato.



Il Nilo. Con la nebbia la mattina. La quantità di persone che ogni giorno passeggiano lungo la courniche, e si affacciano alla balaustra dei ponti, e le coppie che semplicemente lo stanno a guardare con la mano nella mano, questa è l’anima e la poesia dell’ Egitto. Ma non riesce da sola a ripagarmi…

3. Precarietà anestetica

7 dicembre 2008

Non riesco a cercare altro che Internet. 
Ogni rapporto umano ora mi stanca.
Torno a casa stanca e nervosa per l’egoismo di certe persone con chi lavoro, la loro ottusità e cecità.
Chiudo la porta e accendo il computer, canto, ascolto, cerco musica e ritmi latini, rispondo in facebook, chatto (poco), leggo (poco), scrivo (medio). Vorrei solo dormire.

Mi pare di essere in una dimensione parallela in cui nessun oggetto intorno a me abbia più alcun senso. Fra poco meno di due mesi il mio contratto qui si concluderà e io sarò di nuovo in ricerca di lavoro. Dicono che in Europa la situazione sia tragica, per questa crisi.

In casa sono pulita ma sciatta. Tutto è funzionale, ma non sento l’anima in niente.
Non mi sono “appropriata” di niente, così non sentirò la mancanza di niente.

Non mi piaccio così, non sono stata mai così bisognosa di attaccarmi alle piccole cose attorno a me; ma non voglio farlo, ed è per questo che in questa precarietà non riesco a gioire di niente.

Non ho mai sentito un vuoto così. Non è depressione, perché forse ora ne sono immune. Non sono più così insicura di me stessa. È che questa volta non viene dall’interno, ma dall’esterno.

Forse ho avuto una grande delusione di valori. Forse non so più a cosa dedicare la mia vita. Non riesco a trovare gioia in nulla e in nessuno, soprattutto perché sono stanca di dire addio.

Il problema non è trovare le belle persone, quelle si trovano ovunque. È che qui io non le voglio conoscere, non voglio più andare a fondo, non voglio passarci il tempo, non ne ho le energieNessun tipo di occasione sociale fa per me, ora. Nulla mi piace di più che stare in casa. Il mio carattere restio è piuttosto un rifiuto di vivere quello che è temporaneo. Se non voglio fare scampagnate ed esplorazioni con persone che conosco qui, è perché non riesco a essere felice con qualcuno che perderò.

Non vedo molte speranze, non sono molto ottimista. Ho conosciuto centinaia e centinaia di persone e ho trovato gli amici che volevo, ma non ho trovato una persona con cui veramente condividere. Ma forse tutto questo “andare all’estero” è solo uno scappare, è il mio modo di impormi una mancanza d’amore, obbligatoria, invece di scontrarmi con quella della vicinanza, della co-presenza, del possibile rifiuto.

Tra l’altro non riesco a sentirmi più bella. Il mio ventre ha cambiato forma - spero tornerà come prima fra qualche mese. Il mio viso è stanco, la mia pelle opaca e i miei occhi privi di luce. Non ho mai avuto così poca voglia di vivere. O sì, forse ne ho avuto anche meno, ma allora era depressione, disperazione personale, una passione logorante; ora è la mancanza totale di vita e di dolore. Piango spesso, mi sento sempre alla soglia delle lacrime, ma non sento dolore.

Tuttavia non sono cinicaMi commuovo in continuazione in questo paese, per la semplicità dei sorrisi, per la quantità di bambini, che sono energia, e che mi rimandano sempre a quello a cui ho rinunciato. Questa esperienza, l'essere posta di fronte a questa scelta, mi ha segnato, perché mi ha fatto capire cosa vuol dire, a 29 anni, non potere contare su nessun sostegno...E come me una generazione intera.

1. Metamorfosi

Venerdì 7 novembre 2008

Ciao Andre.

(...) Io sto vivendo un periodo assurdo se ci penso. Sto molto spesso da sola, non esco quasi mai. Perché sono stanca, e perché non voglio conoscere gente. L'anno trascorso a Bruxelles mi ha lasciato un misto di appagamento sociale (perché ho incontrato così tante persone belle che amo da poterci riempire la vita intera) che si traduce nel disinteresse a conoscere nuove persone.

Qui ho poche, brave amiche con cui mi vedo, ci aiutiamo e sosteniamo. Ma quasi mai esco, per stanchezza e perché non riesco a respirare fuori, e rifuggo il rumore assordante che c'è per le strade.

Qualche thè in casa assieme, chiacchere e poco altro. Incontro persone interessanti, ma non ho voglia di approfondire. Non ho voglia di mettere in gioco energie, di scavare, conoscere. Io sono così: se scelgo e decido che una persona è valida, allora indago, chiedo, ascolto. E questo prende così tante energie che io non le ho più.

E allora il mio bisogno di socialità e di affetto si riversa più che altro sul computer, su internet, su facebook, su skype. Ma come giustamente mi ha detto una mia amica qui, perché mai dovrei spendere troppe energie quando sai che molte delle persone che sono qui non le vedrai mai più? Meglio concentrarsi su chi ami.

Pensando a quella che dovrebbe essere la vita reale, o che è stata per millenni, mi dico che sono pazza, che sono una degenerazione della società dell'informazione, che sono malata e socio-patica. Siamo una generazione che l'onda di Internet ci ha travolti per un pelo. E portiamo in noi sia il ricordo del vecchio mondo, che la naturalezza nel cogliere pienamente la nuova dimensione.

E poi c'è il mio grande cambio esistenziale.
Da donna in carriera, penso di starmi trasformando in donna e basta.

Da devota allo studio e all'astratto, che diventava insofferente se stava senza leggere qualcosa per più di un'ora, comincio ora trovare gusto nei lavori manuali, senza però perdere il piacere di conoscere e analizzare. Resto legata al mio mondo fatto di immagini e letture, ma credo di stare lasciando la corsia della competizione, per rifugiarmi in quella della vita privata, o del piacere di vivere.

Sono più disorientata che mai dal punto di vista emotivo e affettivo. Da un lato una storia con un ragazzo di qui, che per quanto non sostenibile in futuro, mi porterà di nuovo a quel senso di vuoto, di mancanza d'aria, nostalgia, e frustrazione, e per cui maledico la mia natura instabile psicologicamente e geograficamente; dall'altro il rincontro con una persona.

Mi sento il più della volte spenta, in standby, con le emozioni congelate, senza sbalzi, né in alto né in basso. A volte mi sento morta dentro. Altri giorni questa piattezza prende però l'aria di stabilità interiore, di pace, e ho l'impressione di avere ricaricato dopo tanti anni le pile per amare, seppure l'idea mi terrorizzi.

Questo paese è pieno di bambini, bellissimi, come la media degli egiziani. E questo è il mio attuale pensiero fisso...e ancora maledico la nostra società perché mi pare che questa fase fondamentale della vita e della natura ci sia ora preclusa.

Eccomi qua, di ritorno dopo un anno di Egitto.
Chissà come cambierò di nuovo con il contatto con il nostro mondo...

Ti abbraccio forte.

Margot

[Si legga anche Incipit]

5. Per fare un passo in avanti, bisogna fare un passo indietro

Msg all’Alessandra:

La sai una cosa? Ti ricordi quando ero tutta impantanata tra la mia storia con F., il fatto che stavo lasciando il lavoro a Bologna alla sprovvista, e il fatto che me ne andavo verso l'ignoto per uno stage di soli tre mesi e non pagato dall'altra parte del mondo...e alcuni mi dicevano che ero pazza e non capivano cosa cercavo e perché lo facevo...

...tu in quel momento mi hai detto una cosa che mi è rimasta e a cui ho avuto occasione di pensare varie volte durante le altre difficili scelte successive, e che mi ha dato fiducia nel seguire il mio istinto: “a volte per fare un passo in avanti, bisogna fare un passo indietro”. Mi è servito tanto, per individuare la giusta direzione da prendere, e poi prendere la rincorsa. Besos.

4. Low profile

18 ottobre 2008

Matteo, October 13 at 5:17pm

Ciao sfinge, come stai?
Ti sei un pochino tirata su di morale??
Io sono diventato zio e mi sento bene, sarà la sensazione incredibile che ti da un pupo quando ti stringe un dito con la manina....

Margot, Today at 11:32am

Ciao carissimo,
qui abbastanza bene. 

Il morale non è mai stato alle stelle, ma come dire, uno poi si assesta e si adatta alla situazione ed è come se abbassasse il profilo, per cui la tua vita e il concetto di normalità cambia...e le cose che ti mancano, seppur senti dei vuoti, non le distingui più poi cos' tanto. Che non è così bello perché in realtà stai cambiando e forse perdendo un po’ di personalità...ma è un modo per adattarsi e sopravvivere.

Anche io vorrei tanto un pargoletto...dopo tutte queste esperienze, la cosa bella è che mi sono tolta un sacco di voglie, ho scartato il superfluo, e quello che mi resta è la voglia per le cose più naturali. E' bello tornare alle cose più semplici e tradizionali ma da una prospettiva tua, scegliendolo, e non per semplice "tradizione". Così gli dai molto più significato. 

Prossimi progetti, fissarsi da qualche parte. Un abbraccio.
Margot 

24 ottobre 2008

Da mail ad Anna

Sinceramente in questo momento della mia vita anche io ho tantissimi punti interrogativi. Il mio morale non posso dire che sia giù; piuttosto è spento. Vivo in anestesia per sopravvivere. Non riesco a pensare al mio futuro perché non so quello che voglio. Una parte di me rifiuta di essere diventata una persona che vuole vivere in tranquillità fissa da qualche parte. Non so nemmeno io se è vero, o se è l'effetto contrario a una stanchezza e precarietà e instabilità estreme e prolungate da anni. Ho paura di essere misled, e di fare per questo delle scelte sbagliate.

3. Amico d'infanzia


Lunedì 13 ottobre

Dopo vent’anni tramite facebook ho ritrovato Giacomo, il mio compagno di scuola delle elementari. 

E’ stato il mio "innamorato" delle elementari, con cui ho condiviso il banco in quarta, nonché qualche saggio di musica: studiavamo allo stesso istituto musicale, e i nostri genitori con la complicità della maestra ci hanno costretto in qualche saggio in duetto, io al piano e lui al flauto.

Mentre oggi chattavamo su messenger, mi ha annunciato che mi avrebbe fatto “la dichiarazione d’amore della mia infanzia”: “eri la mia fidanzatina ideale (pensavo dentro di me), e non sono riuscito mai a confessarti quanto fossi attratto da te nonostante la mia faccia di bronzo. Mi ricordo che avrei pagato per poterti dare un bacino. Alle elementari ero forse il bambino più “corteggiato” dalle bimbe, ma io pensavo solo alla Margot”.

E’ stata la rivelazione della mia vita! Se ripenso a quanto mi sentissi una merda (a 8 anni!) perché pensavo di essergli completamente indifferente, e a quanto negli anni successivi mi fosse capitato di ripensare al rapporto con lui, come esempio di primo amore non corrisposto e modello in nuce delle mie dinamiche sentimentali e relazionali con i ragazzi, vedendoci addirittura una componente fondamentale nell’origine della mia mancanza di autostima!

“Seppure sia sempre stato aggressivo e impulsivo con tutti, con te ho avuto il blocco della mia infanzia. Io diventavo timido solo con le persone particolari, e tu lo sei stata per me”. E così continuando nella descrizione delle sue emozioni di bambino – che tenerezza! - nei momenti che passavamo assieme.

In ultimo, neanche a farlo apposta, dopo due giorni da questa operazione controversa, di cui certo non poteva sapere, mi ha detto che nelle mie foto non vede gli occhi di una ragazza in carriera, ma piuttosto mi vedrebbe bene con un pargoletto tra le braccia. In qualche modo mi ha rincuorata, come se avessi il diritto di reclamare la mia esperienza di madre, seppure non abbia più il mio bimbo.

Questo episodio mi ha fatto riflettere: nella vita quante altre situazioni così potrebbero esserci? Dove due persone si vogliono e non si incontrano per paura

Le cose vanno dette, e io ne ho taciute tante, perché ho preferito non sapere piuttosto che affrontare un rifiuto, o pure solo un’incertezza. Ho preferito scomparire e distaccarmi, congelarmi e giocare il ruolo dell’impassibile e dell’amante e della cinica. Non ho forse giocato davvero solo le partite in cui mi sentivo invulnerabile? - E non può esistere amore senza vulnerabilità…

1. L'oasi di Siwa

Giovedì 2 ottobre 2008

Sara è la terza volta che torna a Siwa nel giro di un anno e dice che già l’ha vista cambiare molto. 

I ragazzi si perdono nel rombo di motociclette cinesi, mentre poco più di anno fa si girava solo in asino. Ora cominciano ad esserci varie macchine, e la cosa peggiore è che suonano il clacson! La piazza centrale, dove i negozi erano solo un paio, stanno riempendosi di insegne invadenti che rovinano tutta l'atmosfera visiva, enormi e dai colori sgargianti, tipo quelle delle compagnie di telecomunicazioni. Il personale locale – tutto rigorosamente maschile – è gentilissimo. E sono bellissimi!


Venerdì 3 ottobre 2008

Abbiamo passato tutto il giorno con Youssef, un ragazzino di quindici anni, nel suo taxi: un carretto trainato da Al Pacino, il suo asinoAbbiamo visto due templi, più il cosiddetto “Bagno di Cleopatra”. La sera siamo andati a Fatna Island, dove abbiamo visto il tramonto. Palmeti, olivi, silenzio, solo il ragliare degli asini.
I carretti sono portati solo dagli uomini, dai bambini o dalle bambine. Le donne sposate siedono nel carretto, ma devono sempre essere accompagnate, se non da un uomo, per lo meno dai bambini. Si tirano giù il velo del niquab nascondendo anche gli occhi e si ricoprono dalla testa ai piedi con il loro telo tradizionale blu dai ricami sui toni dell’arancione.

Non ho visto alcun viso di donna sopra i diciotto - vent’anni. Da quando si sposano le loro fattezze scompaiono interamente dalla comunità. Il loro viso continua ad esistere solo per le altre donne e per i pochi uomini che compongono il nucleo familiare. Per la strada, si riconoscono tra loro dalle scarpe, o dall’andatura, o dai bambini che le accompagnano.

Dal lieve movimento della loro testa, io e Sara vedevamo che da sotto il velo nero, sedute immobili sul carretto, il loro sguardo ci seguiva.

Sabato 4 ottobre 2008

Quanto sono belli questi bimbi.

Stamattina avevo poco appetito; una svogliatezza nel mangiare che si è poi trasformata in un tappo alla bocca dello stomaco e in una sensazione di sazietà immediata dopo appena due cucchiaiate di zuppa a colazione, che sfiorava la nausea.


6. Un' altra vita

Venerdi 26 settembre 2008

Oggi è venuto il dottore. È da un po’ che ho degli strani dolori alle articolazioni delle mani e l’altra settimana mi si è gonfiato un dito senza ci fosse stato alcun trauma; dovrò fare delle analisi del sangue per escludere malattie autoimmuni.

Oggi non mi sento bene. Ho un mal di testa terribile e la mente alterata, come in loop. Mi sono presa dell’efferalgan ma non mi è passato. Mi rendo conto che Ahmed mi ha chiamato un’ora fa, ma dato il mio stato mentale mi sembrano passati appena cinque minuti. 

Domenica 28 settembre 2008

Oggi mi è successa la stessa cosa di cui Rania si è lamentata tutto il tempo giovedì scorso al lavoro: qualche perdita che non si era trasformata in un vero e proprio ciclo.

Per un giorno intero è andata e tornata dal bagno domandandosi perché non gli venissero come si deve. Non capivo perché la facesse tanto grave; io di me ho pensato semplicemente che mi stessero arrivando un po’ esitanti e con qualche giorno di anticipo, perché no, capita. Con questo caldo poi. E invece lei seria e direttamente mi ha chiesto: “potresti essere incinta?”.

Come svegliatami da un’amnesia durata dieci giorni, stupita della mia risposta e come se i ricordi appartenessero a un altro, ho risposto “sì”. In che parte della mia memoria si era rifugiato il ricordo di quella notte durante questi ultimi dieci giorni? Era ovvio che era successo un mezzo pasticcio. Perché non me ne ero preoccupata e come potevo non averci pensato prima? Non mi sono nemmeno posta il problema di andare a controllare nel calendario a che giorno fossi. Sì, certo. Solo ora mi accorgo che era il quindicesimo.

Ovviamente, non avendo minimamente realizzato il rischio, la possibilità di una pillola del giorno dopo nemmeno mi aveva sfiorato. La stanchezza, la fatica di comunicare, il pensiero di cercare un medico, chiedergli la prescrizione, spiegargli, sentire la riprovazione, il giudizio, io la bionda che viene in Egitto e…

Ma tutto ciò per ma non vuole dire niente. Non c’è difficoltà che non abbia affrontato da sola, verità che non mi sia svelata, diritto per cui non mi sia battuta, a testa alta. Come è potuto succedere; io che sono sempre onesta con me stessa, che mi metto davanti allo specchio scevrando le parti di me più scomode, costantemente desta, lucida e  impietosa, con me stessa in primis… Che cosa mi sono voluta nascondere?

Ero imbambolata e immobile davanti a Rania, con la paura di stare svelando a una mia collega un segreto. “Si chiama innestation spotting – continua lei – e può avvenire dieci giorni dopo la fecondazione. Può dare luogo a un leggero sanguinamento. Io l’ho avuto in una delle mie gravidanze”.

***
In camicia da notte, sola nel mio appartamento del Cairo, tra le voci, le urla, i clacson e la festa delle notti del Ramadam invadevano la stanza, vedo il pallino del test colorarsi lentamente di rosso, ed è stata l’emozione più grande della mia vita. Sapere che c’era qualcosa dentro di me che viveva ed era profondamente mio. La semplice verità era che io volevo rimanere incinta, ora e da lui.

Stavo parlando in Skype con Anna e glie l’ho detto. Poi ho interrotto la comunicazione per chiamare Sara, perché dovevo trovare un ginecologo. Poi ho mandato un messaggio alla mamma.

Lunedì 29 settembre 2008

La prima cosa che mi ha chiesto Rania quando sono entrata in ufficio è stato: “allora?”

Taccio. Non volevo rischiare che si spargesse la voce. Ma la mia faccia parlava da sola. Immobile, seria. “Congratulazioni!” esclama lei.

Ho pensato a tutte le donne che se le possono vivere col sorriso quelle congratulazioni, perché hanno magari una vita normale, un lavoro stabile, una casa, la città in cui hanno scelto di vivere, una famiglia su cui contare e un uomo di cui si possano fidare; o se non tutte, per lo meno qualcuna di queste cose. Ho pensato che è stato bello comunque averle sentite queste congratulazioni e avere fatto finta che potessero davvero essere per me. 

Martedì 30 settembre 2008

E’ bello pensare di essere in due, che ogni gesto quotidiano come bere un semplice succo di frutta è condiviso e vada a nutrire un altro esserino. Fa venire voglia di prendersi cura ancora di più di sé e di volersi bene. Lui è lì in qualche parte di te, esiste già, ha il suo viso e continua a crescere mentre tu ti muovi, mangi, cammini, lavori, dormi. E pensi a come sarebbe potuto essere.

5. Te lo dico da donna

Giovedì 25 settembre 2008

Due giorni fa Francesca, una manager del Regional Bureau, mi ha chiesto cosa penso di fare dopo che mi scade il contratto a gennaio, e gli ho spiegato un po’ la situazione. 

Mi ha chiesto se volevo restare col WFP e gli ho detto che in questo momento questa carriera internazionale non coincide con il giusto periodo della vita. Che se avessi iniziato qualche anno fa, non avrei forse avuto dubbi. Ma che se dovessi iniziare adesso, o lo si fa con una persona al proprio fianco, un ragazzo o un marito, oppure se si inizia da sola, poi passa l’età e si resta da sole. E a me non va di fare questa scelta. E lei ha detto che condivideva completamente questa posizione.

"Lascia che ti dica una cosa, da donna - mi ha detto - Che se a una certa età non hai trovato ancora la persona giusta, fallo un figlio, anche da sola. Può essere un atto egoistico, lo so, ma è un’esperienza che you can’t miss it". Me lo ha detto con la dolcezza della consapevolezza.

"Poi tanto…, da sola o no, la verità è che te lo cresceresti comunque da sola. Però devi avere il lavoro, quello sì". 
Le sue parole tutt'ora mi risuonano in testa.


[Si veda anche Vita da cooperante e Una vita a metà]

3. Una vita a metà

Venerdì 12 settembre 2008
Ancora mi dico di restare qui, mi contraddico in continuazione e non prendo una decisione.

Poi penso che non ce la posso fare, che questa è una vita a metà; il fatto che abbia trovato un modo mio di affrontare questa realtà, non vuol dire che ci stia bene e che mi realizzi.

Fondamentalmente è limitante, ecco tutto. Manca la libertà, molto semplice. E questo è un cancro che ti si deposita negli atteggiamenti fino a che non te ne accorgi più, fa parte di te e pensi che sia la tua pelle, ma non è vero, non sei tu. E io non voglio essere la persona che sono qui.

Ieri mi ha chiamato A. Telefonata tranquilla e serena. Gli ho parlato della mia situazione. Lui mi diceva, dai, che è una vita emozionante, pensa a chi deve timbrare il cartellino tutti i giorni. Ma non è quello...(e magari! Quasi, ho voglia di annoiarmi a timbrare il cartellino...). Non si può capire. Lui non può capire.

Gli ho parlato di tutto il vuoto affettivo che una vita così provoca.

Dei genitori che gli devo fare io da genitore.

Della nonna che chiude ogni telefonata con le stesse parole: “spero di riuscire a rivederti”.

Degli amici che sono gli unici su cui puoi contare ma che sono lontani. Del dolore che è stato lasciare Bruxelles - e in quel momento la voce mi si è rotta per il pianto ma sono riuscita a nasconderlo.

Delle storie sentimentali, che non ti puoi mai lasciare andare perché sai che te ne devi andare, ed ergi ormai un muro a proteggerti, insormontabile, o invisibile per i più.

Delle persone che conosci, che a un certo punto non ti vuoi più dare, perché lo spazio dentro di te è già occupato, e perché comunque sei stanco di investire per poi dovertene andare.

Dei tuoi colleghi, i veterani della cooperazione, single, separati o ancora in coppia, ma comunque o scoppiati, o depressi, o disadattati, o cinici, o che è peggio, ancora bambini, illusi, eterni playboy ed egoisti, che si appoggiano a te, che sei giovane. Sono pochi a stare bene.

E’ una vita atomizzata

Questo lavoro è più di un lavoro; ti chiede la vita! Ti chiede di mettere da parte te stesso e la tua vita, per dedicartivi. Ma non è possible farlo se non si possa contare su un “contrappesoemozionale, emotivo. Si deve avere una qualche fonte d’amore, se no questa dimensione ti risucchia. Se non hai un sostegno alle spalle, affettivo, o per lo meno psicologico, non ce la puoi fare a metabolizzare l'umanità e le difficoltà che ti circondano. Sapere poi che le cose nella tua famiglia non vanno bene, è un’ulteriore aggravante, che ti rende debole.

Tuttavia, di nuovo, se pure si avesse un partner nella vita privata, vedo che molte volte le storie vanno a finire male dopo un po’ di anni di questa vita. Decisamente credo che la possano fare solo persone con un dispositivo emotivo, umanistico ed estetico diverso dal mio. Forse persone più pragmatiche, o più stabili.

Margot to Eleonora 12:05 AM
Cara Ele,
sono contenta di sentirti e immaginarti nella tua casetta immersa nel verde, sul mare. E' un'immagine da favola! Per favore, appena puoi mandaci delle foto!

Ovviamente, al di là dei sogni, so come siano le prime settimane...tieni duro! Sai, continuo a parlare con persone che magari mi invidiano per quello che faccio (e per carità, adoro quello che faccio!), ma sento proprio un gap e l'impossibilità di fargli capire che non è tutto rose e fiori quando ti trovi a vivere in queste circostanze! In due comunque deve essere diverso...

Io al Cairo come hai detto tu ho trovato il mio equilibrio, seppur fatto di incorporamento delle
limitazioni. Di fatto, si tratta qui di imparare a gestire la mancanza di libertà. Non c'è altra scelta. Poi, quando ti sembra di esserti finalmente abituato, ti svegli un giorno e ti dici che non sei tu quella, e che no, non puoi vivere così! Ma va bene, è un'esperienza di vita, e interculturale, intensissima.

Torno in Europa a dicembre. Ora non ho ancora cominciato a cercare lavoro. Ora mi devo buttare...mancano solo 3 mesi. Però non sono più preoccupata come una volta. Mi sento molto più self confident, e anche appagata per quanto riguarda le mie esperienze, e questo dà tranquillità.

Io ti auguro tutto il meglio e sono ansiosa di essere aggiornata. Un abbraccio!
Margot 

[Si veda anche Vita da cooperante e Molteplici vite]

1. È come mi fanno sentire qui

Venerdì 1 agosto 2008

Io - che fino ad ora ero convinta che la mia esperienza abroad fosse finita, e che questo fosse solo lo strascico di una fase della mia vita ormai conclusa, e che quello che mi aspettasse fosse l'Europa - ora vengo presa dall'entusiasmo e non voglio che tutto ciò finisca. Sento un migliore bilanciamento delle mie energie,  sento di avere voglia di fare cose, di leggere, di conoscere questo paese. Sto leggendo libri sulla società egiziana e ho ripreso in mano la Lonely Planet. Sto pensando ai viaggi. Sento il tempo scorrere, che sono rimasti pochi mesi, e ho voglia di vivere.

Non penso però che questo rinnovato entusiasmo nasca solo dal senso di urgenza provocato dal tempo che passa; credo piuttosto e purtroppo che l’
immobilità che mi ha colta durante i primi mesi non potesse in alcun modo essere contrastata perché faceva parte del normale processo di ambientazione che in questi luoghi – data anche la mia condizione di donna sola – è normale che prenda più tempo. Ma altrettanto continuo a soffrire per questo ormai triennale e itinerante sradicamento dagli affetti, che mi ha portata a ridisegnare la mia vita da capo ogni sei mesi...e che mi ha stancato tanto.

È venerdì e sono a casa (qui è giorno festivo).
Il caldo è soffocante. In camera da letto ho l’aria condizionata, che però fa un rumore rintronante; e in salotto c’è solo la ventola, che non è abbastanza per rendere l’aria respirabile. Mi sono svegliata presto, e ho passato la mattinata individuando le cose da scrivere sul cv. E poi ho finalizzato il mid-term report che devo mandare. Ho letto. < Poi mi è preso il vuoto. Se non ho qualcuno con cui uscire - e non è facile trovare qualcuno con questo caldo - non me la sento. Non è facile andare da sole, è un assillo e un’umiliazione continui, esasperanti, da gridare, da piangere, da prenderli a schiaffi.

Mai nella mia vita ho sentito questo senso di
impotenza e di noia. Mi sento imprigionata in casa, dal caldo, dagli uomini. Vorrei uscire, andare, ma non riesco. Mi sento male nel mio corpo, mi ci fanno sentire. Non è mai abbastanza; vorrei uno dei loro camicioni per nascondermici dentro. Questo è come mi fanno sentire qui.

Non deve essere così per tutte le donne. Ci sono quelle che
se ne fregano, che si sentono meno limitate; le nordiche soprattutto, mi pare. Sicuramente dipende un po' dalla cultura e un po' dal rapporto che ognuna ha col suo corpodalla cultura perché 
le nordiche, e le scandinave in particolare, secondo me vengono da un contesto dove la parità di genere e il rispetto sono talmente acquisiti, che nemmeno hanno i "recettori" per sentirsi offese nella loro dignità di donna. Io da italiana invece (anche se sono cresciuta in un nord progressista) confronto e confermo la mia identità in base ai codici e ai meccanismi della cultura mediterranea, che è la stessa che c'è qui, seppure estrema; dipende infine dal rapporto di ognuna col suo corpo perché penso ci siano donne che vivono "meno in contatto" col loro corpo, o meno abituate a esprimersi tramite esso; forse loro si sentono meno mutilate...

Faccio come le donne egiziane che si
barricano in casa. E poi non saprei proprio dove andare. Non c’è un parco, un bel boulevard...non c’è nulla di piacevole e rilassante durante il giorno. Questa sera andrò in un locale con Nada e Marta.

La mia camminata ha preso la cadenza lenta degli egiziani. È l'unico modo per resistere al caldo.