10. Coppie egiziane

Martedì 15 aprile 2008

Passeggiano sulle rive del loro Nilo o lungo la balaustra dei suoi ponti. Mi è capitato più volte di vedere coppie mature, come di 45, 50 anni, di classe medio-bassa (lo riconosco dall'abbigliamento), tenersi per mano per strada. 


Gli uomini hanno verso le loro donne una tenerezza e una premura particolari, un rispetto e un senso di protezione molto dolci. Lo hanno per esempio anche i miei bauab nei miei riguardi (certo, sempre che non inizio a fare salire qualche giovine...). Al di là e indipendentemente dalle mance che gli do, dimostrano un'attenzione particolare; e la stessa però che poi mi soffoca sotto forma di controllo.  


Sempre tenendo presente che si parla di una società dall’organizzazione familiare tradizionale e quindi basata sul controllo, soprattutto economico, dell'uomo sulla donna, ed escludendo le coppie dove la prevaricazione sfoci in violenza, sono sempre più convinta che che quella che noi chiamiamo sottomissione qui non ha nulla a che vedere con il concetto che abbiamo noi. La sottomissione dei latini è automaticamente violenta e carnale, e indissolubile dalla passione e dal sesso. Non so spiegarlo meglio di così. È sempre questa dimensione della sensualità, che qui manca...

[Per un punto di vista ancora  differente si veda Matrimonio pre-romantico e oltre]

Sabato 26 aprile 2008

Dr Adam e Sam sono una coppia di vecchietti sugli 80 anni. Appartengono all’élite egiziana. Sono due dottori. Lui ha lavorato per anni alla FAO, e lei faceva la pediatra. Devono essere stati entrambi molto belli.

Lui è ancora attivo e scattante, veloce di mente, colto e intelligente; premurosissimo verso la moglie che fa molta fatica a camminare e ha bisogno di essere assistita. Un uomo abituato a tenere sotto controllo la situazione, e a pensare per tutti. Musulmani, ci raccontavano come loro figlio stia imponendo alla loro nipote quasi adolescente di non mettersi il velo, nonostante le pressioni sociali a cui lei è soggetta.

Ci raccontano le storie degli anni ’60, gli incontri con gli artisti, coi politici, gli avvenimenti che hanno segnato la storia dell’ Egitto, tutto tramite esperienze dirette, loro o dei loro genitori. Ci raccontano di vecchie carte, di una dedica scritta nel giorno della nascita di Adam da non so quale personalità, e rimasta nascosta per anni nelle carte del padre, e ritrovata solo dopo la sua morte.

Ci porta a fare un giro per Heliopolis - la città del sole - un quartiere costruito negli anni ’20 dal barone belga Édouard Empain. Ci racconta la storia del locale storico dove ci fermiamo a prendere il caffè. Solo l'occhio di un europeo può riuscire qui a spogliare la decadenza e immaginare l'antica eleganza che vi sta dietro. 

Mi chiedo che ci faccio in un sabato pomeriggio al Cairo diretta verso un centro commerciale con questa coppia di ottantenni appena conosciuti. E mi sento perfettametne a mio agio.

Sento un’umanità semplice e profonda, e capisco che questa non ha età. Sento la vita e la cultura scorrere nelle parole di questa coppia di belli. E sento un’amore semplice e ancora ben vivo tra loro. Sembrano in realtà un po’ fratello e sorella, ma forse è perché sembrano un po’ la stessa persona 

9. L'idraulico (commedia degli equivoci)

Martedì 29 aprile 2008

Un’altra delle solite giornate inconcludenti al lavoro. L’ufficio dell’amministrazione dove urlano e schiamazzano, e poi quando gli vai a chiedere di farti qualcosa di urgente non hanno mai tempo o non sanno farlo. Le solite email in cui non ti mettono in copia e riunioni in cui dimenticano di invitarti. L’unica che lavora come si deve lì dentro è Efat, la ragazza che ci fa il caffè.

È già molto caldo. I miei rientri a casa sono un quotidiano magone-sollievo, tra l’afa che comincia ad appiattire, la polvere appiccicata addosso, e il frastorno dei clacson, delle urla e delle molestie.

Doccia fredda, un piacere scoperto qui. Casa. Mi sono finalmente ripromessa di finire il curriculum per mandarlo all’Unicef stasera, nonostante la stanchezza accumulata e questo malditesta. Odio questi CV, non vanno mai bene…che sconforto.

Suonano alla porta

Sono circa le 21.30 quando suonano alla porta. Ecco, gli orari egiziani - penso esausta. È Attif, il mio bauab (il portiere), con accanto un ragazzo africano enorme con in mano una cassetta degli attrezzi.

Io e i bauab non abbiamo lingua per comunicare. Attif due giorni prima era venuto a vedere il rubinetto che sgocciolava. Tutto quello che aveva fatto era stato scoperchiare la manopola dal suo tappino, sperando gli si rivelasse qualche verità… In realtà in quel rubinetto basta cambiare le guarnizioni, ma non ho alcuna idea di come riuscire a comunicare questa cosa. Se ne era andato dicendomi “bukra” (domani), “tamanya” (alle 8), o almeno così avevo capito io. Beh, il giorno dopo non si è visto, ma due giorni dopo si presenta con l’idraulico.

Sono ancora troppo impacciata per sciorinare la mie due parole di arabo. Cerco invano la parola “min”, “chi”, per chiedere chi fosse. Poi, più preoccupata dal non parere brusca, li faccio entrare entrambi in bagno dove mostro al ragazzo cosa dovesse sistemare. Posso parlare in francese perché è camerunense. Attif mi chiede (a gesti) se è tutto a posto e una volta rassicurato si congeda.

Termino la spiegazione e lo sento un po’ troppo vicino, mentre approfitta di un suo movimento verso la caldaia per sfiorarmi il braccio. Sono infastidita, ma con gli uomini lo sono tutti i giorni qui.

-   Tu viens d’où?
-   D’Italie.
-   T’es seule ici?
-   J’y travaille… - taglio corto. Solite domande.

Lo lascio in bagno e mi rimetto davanti al computer in salotto. I minuti passano in fretta quando non sai più come manipolare il tuo CV. Lui intanto va a dare un’occhiata al contatore dell’acqua in cucina e passando mi si avvicina per mostrarmi una foto. È una squadra di calcio di bambinetti sugli otto-dieci anni.

-   J’aime les enfants, tu sais. Ceci est un team de football. Moi je suis ici. Toi tu as des enfants?
-   Non, je n’en ai pas.
-   Tu es mariée?
-   Non, je ne suis pas mariée. Désolée, il faut que je termine ici…, et que vous terminez là-bas. - faccio distrattamente per allontanarlo.

Contino a guardare lo schermo, ma mi sono risvegliata dal trip “CV” e ho una strana sensazione. È in bagno. Dalla mia postazione vedo chiaramente i suoi movimenti. Apre e chiude la manopola del rubinetto, smanetta nella caldaia. Non sta facendo nulla.

-   Ça va??!! – grido dal tavolo
-   Oui oui, j’ai presque terminé

È di spalle. Allungo il collo, mi sporgo quanto basta per guardare il suo armamentario. Ma non ha nemmeno un attrezzo in mano. Non ha nessun attrezzo da nessuna parte. Perché non ha nemmeno una cassetta degli attrezzi. Quella che il mio bizzarro inconscio, o chi per lui, aveva categorizzato come tale non era che una piccola, morbida borsa di naylon da palestra.

Ok Margot. Bentornata sulla terra. Hai in bagno un energumeno camerunense modello giocatore di basket, e non è l’idraulico. È una montagna di perfetto sconosciuto che non si capisce come e perché sia arrivato a suonare alla tua porta se non per un equivoco o per tempeste ormonali. Ok. Resta calma, continua a guardare il computer. Lui sta recitando egregiamente la sua parte. Comincio a trasudare adrenalina. Ora vado ad aprire la porta d’ingresso e poi mi affaccio in bagno, in posizione da poter scappare facilmente. 

-   Écoutez, si vous ne savez pas comment le réparer ça va, vous pouvez y aller! – dico concitatamente, tenendo insieme i pezzi della mia voce. - Je suis fatiguée et cela prend trop de temps! – provo a scacciarlo.
-   Non, mais ça va, je vais le réparer, mais vous savez, il faut changer ça… - e mi mostra un pezzo di metallo sotto al lavandino che non si può né svitare né staccare, e non ha nulla a che fare col lavandino che perde. Ottimo.
-   No, senti, io non ho tempo da perdere, ora tu prendi le tue cose e te ne vai ok? Altrimenti mi metto a gridare per il corridoio, e tu sai che non ti conviene. Quindi prendi la tua roba e vattene. Perché hai fatto finta di essere un idraulico??!! - (Margot, razza di stupida, sei tu che l’hai fatto entrare dandogli dell'idraulico - pensavo - santo iddio…)
-   No, ascolta, ti prego, scusami. L’ho fatto perché…mi piaci. Mi fai dormire qui da te?
-   Ma che cosa stai dicendo, per chi mi hai preso???!!! Ora prendi la tua roba e vattene perché se no mi metto a gridare e mi faccio sentire da tutto il palazzo, e tu non vuoi questo, e nemmeno io…

Lo convinco ad andarsene. Chiave, doppia mandata e chiavistello. Respiro respiro respiro. Ma che scema…! Il tutto perché non mi ricordavo la parola “min” in arabo!! Pazza.

Suonano alla porta 2

È ancora lui. – Ti prego, ho dimenticato la foto dei bambini, dammi solo quella, s’il te plait! –
Mi guardo in giro e non vedo nessuna foto.
   Il n’y a pas de photos ici!!!- grido.
   Sì, sì, guarda bene, l’ho lasciata lì.
   Non ci sono foto qui, ho guardato ovunque, e ora levati dalla mia porta!

Finalmente se ne va e io sono un fascio di nervi, tremando. Passano tipo tre minuti e…

Suonano alla porta 3

È Attif, il mio bauab. È venuto a chiedere se va tutto bene, perché apparentemente non gli torna qualcosa. Che sollievo, però io ora voglio solo andare a dormire. Tragicità mediterranea e mimo sono sufficienti per comunicargli il mio stato; ovviamente ho dovuto toccargli il braccio per mimare lo sfioramento, provocandogli uno scatto, ma tant’è!

Attif il pragmatico prende il mio cellulare e telefona al vicino di sopra perché io gli riporti per filo e per segno la situazione in inglese, e stiamo un po’ lì a scambiarci il telefono con il vicino che fa da tramite. Il signore di sopra mi dice che lo devo denunciare alla polizia, e di chiamarlo per qualsiasi cosa la prossima volta, perché è pericoloso!

Loro continuano a parlarsi e io non capisco cosa si dicano…voglio solo chiudere questa faccenda e andare a dormire, sono le 22.30 passate e domani mi devo alzare alle 7.00. Attif esce, e io penso che finalmente sia finita la giornata. Ma dopo meno di cinque minuti…

Suonano alla porta 4

Non ci posso credere. Chi cazzo è adesso, cosa c’è…Guardo dallo spioncino e vedo una sagoma femminile, piccola e col velo.

Apro. L’ho già vista, è una signora sui 55 che abita nei piani più bassi e aiuta a fare i lavori nel palazzo. Comincia a parlarmi sorridendo, ciondolandosi un po’ in avanti come per reverenza e intonando quasi una litania. Sorride e poi ride, e poi parla e sorride e ride. Tutto in arabo. Io ho già dei problemi a rimanere ancorata alla realtà, ma ora sto proprio vivendo una scena medievale. Inoltre il calo di adrenalina mi ha mandato semplicemente in trance.

Cerco di farle capire, con quella calma tipica di quando non hai più alcuna forza di reagire, che non capisco nulla di quello che dice. In tutta risposta comincia a fare gesti con le mani, sempre gli stessi. Non capisco, mi dispiace, non capisco. Allora mi prende e mi trascina verso la porta della mia vicina canadese, e suona il campanello. Io mi lascio fare.

Apre la porta la figlia dodicenne della canadese, masticando un chewing gum e parlando al cellulare. Le guardo parlarsi e poi vedo il cellulare passare dalle mani della ragazzina alla signora, che continua la conversazione con la stessa persona all’altro capo del filo. Ho rinunciato a capire. Surreale. Il telefono torna alla ragazzina. 

- Ha detto che l’idraulico, che è di sotto, rivorrebbe la sua foto. Inoltre per per quanto riguarda la parcella, non si farà pagare per il lavoro, ma chiederebbe quantomeno 5 pounds per il taxi. Sono basita. Esasperata spiego a grandi linee la situazione alla ragazzina e le chiedo di riferire alla signora che non pagherò nulla a nessuno! Anzi, che gli dica di sparire! La voce dal cellulare riporta il quanto. La ragazzina chiede se è sufficiente; confermo, ci salutiamo, la porta si richiude.

La signora sempre quasi danzando e cantando, si allontana verso l’ascensore e scompare. Torno a casa, con la sensazione ora di essere ubriaca e spero di sprofondare nel letto. Mi sciolgo i capelli, mi strucco, mi pettino e mi infilo la mia sottoveste, solo che…

Suonano alla porta 5

Spioncino: c’è un gruppo di tipo cinque uomini fuori dalla porta. Oddio, voglio piangere. Faccio capolino dalla porta e gli faccio capire che devo andarmi a cambiare. Per loro questa fase è normalità.

Torno. Era un convoglio di Bauab del quartiere. Richiamano il mio vicino di casa che mi traduce che volevano che scendessi e facessi denuncia. Lo avevano fermato di sotto e avevano chiamato la polizia. Io intanto chiamo Elia, il mio insegnante di arabo, perché venga a farmi da traduttore perché non ce la faccio più. Elia mi infama al telefono perché non dovrei cacciarmi in tali situazioni, e dopo avermi fatto terrorismo psicologico sulle storie che si sentono in giro, arriva.

Il tribunale popolare

Ci siamo. Sono seduta sulla panchina dell’ingresso del palazzo, un po’ in disparte. Lui pure è seduto ed è circondato da mezza dozzina di uomini, compreso il poliziotto, che in pochi minuti diventano una decina. Gli arabi sono imbestialiti e lo vogliono denunciare, primi fra tutti Attif, il mio bauab, che è in prima linea cercando forse di giustificare quello che poteva sembrare un suo errore. Discutono animatamente tra di loro e l’unica cosa che distinguo è “africaan!”. Il ragazzo non capisce bene l’arabo ed Elia interviene in francese.

Gli chiede chi è, da dove viene, dove vive, cosa volesse da me e soprattutto come è arrivato alla mia porta. Intanto il gruppo continua a gonfiarsi di passanti e di abitanti del palazzo, che si fermano attirati dal trambusto. Io voglio seppellirmi. Una donnona egiziana velata viene vicino a me e mi chiede cosa sia successo. Io rispondo restando vaga cercando di dare una versione che salvaguardi la mia credibilità e il mio onore ormai vacillanti.

Secondo la versione ricostruita, il ragazzo frequenta la parrocchia di padre Angelo, di fronte casa mia. Elia chiarirà se è la verità. È arrivato nel mio palazzo e avrebbe chiesto di una certa “Mariella” (non c'è nessuna Mariella nel mio palazzo). Attif, forse non capendo il nome, ha pensato che cercasse me e me l’ha portato. Elia gli ha chiesto perché non avesse subito chiarito l’equivoco una volta vistomi, e perché si fosse finto un idraulico. Placido, lui ha risposto - Mais messier, vous voyez bien, je suis en homme, j’ai envie d’une femme, j’y ai essayé! (Non fa una piega).

Quoi??? – Colpita nel vivo mi sono alzata in piedi gridando in francese, preoccupata in quel momento di fare chiarezza sulle mie di posizioni, mentre Elia gli rincara la dose di minacce e mi incita a denunciarlo con l’appoggio di tutto il coro. Io volevo tanto chiudere lì la storia e cominciavo a sentirmi male per quel ragazzo che continuava a restare calmo e a non alzare la voce, se non fosse che a fronte delle mie reticenze a denunciarlo, gli sguardi degli arabi cominciavano a divenire sospettosi, come se in realtà dietro questo diniego stessi nascondendo una tresca. Sono riuscita a negoziare che per questa volta un’ammonizione poteva bastare, perché in fin dei conti non mi aveva fatto nulla di male.

- Tu sei illegale qui, non hai i documenti. E allora senti per bene. Lei ha deciso di non denunciarti questa sera e di questo la devi ringraziare, capito? Perché lo sai vero cosa ti succede se finisci in prigione per molestie, per giunta senza documenti?! Che non saranno tanto gentili come lo siamo stati noi, e ti prendi tante di quelle botte che non ti ricordi più come ti chiami. E quindi ora vai ma sappi che se ti rivediamo girare qui intorno, la prossima volta vai in galera direttamente, sono stato chiaro? – gli ha gridato Elia.

Si è conclusa così, non so quanto dopo la mezzanotte, questa serata surreale, tra rabbia (verso di lui e verso di me, per avere agito da rincoglionita), vergogna, senso di colpa e un gran senso di vulnerabilità.

Non sapevo ancora che si trattava solo del primo capitolo… 
E comunque, non ho mai ritrovato alcuna foto. 

[Se sei arrivato alla fine e ti interessa il prosieguo leggi L'idraulico (parte II)]

8. Lettera a un amico

3 aprile 2008


Caro F.,

allora, hai finito di invidiarmi? E poi non si può invidiare una persona che ha lottato quanto l’ho fatto io, non senza sminuirne lo sforzo e il merito. Non sono stata più fortunata di altri, né tanto meno ho avuto più possibilità; ho solo avuto forse più coraggio.

Io non invidio te per le tue certezze, ma certo mi mancano. Semplicemente per me arriveranno, e il fatto di rinunciarvi ora è stato un male necessario, scelto e calcolato.

E tu lo sai perché sei dove sei? E perché vuoi ricominciare da capo? Si può fare tutto sai. Ma si tratta di scegliere, solo questo, e la cosa più difficile al mondo è amministrare la propria libertà. Bisogna prendere la propria vita in mano per avere questo. Rischiare un po’.

A volte è più facile farlo quando si parte da zero, perché non si ha nulla da perdere e ci si può buttare. Per altre cose però questo rende tutto più difficile, perché non si hanno margini di errore: quando non si ha nulla è difficile procurarsi una seconda possibilità. E quindi non puoi essere invidioso si qualcuno che semplicemente ha scelto e rischiato.

Bisogna sapere il perché delle proprie scelte e rinunce. E anche sapere che non si può avere tutto, e considerare i propri sogni con realismo, sforzandosi di vederne anche i lati negativi.

Vorrei vederti vivere qui una settimana e affrontare una quotidianità come questa come sto facendo io da sola. E’ qualcosa di molto diverso dal fantasticarlo nel confort di una vita regolare, spesso con quelle motivazioni che si nutrono di egocentrismo e manie di protagonismo sinistroide, per cui semplicemente fare queste esperienze “fa figo” e “impegnato”.  Qui le urgenze della quotidianità ti schiacciano, e il nostro ego sognatore si frantuma in un soffio.

Senza le logiche, le sequenze, la prevedibilità di cui si costituiscono normalmente le nostre azioni, non è così immediato restare indipendenti e capaci. Si è vulnerabili, e la prima astuzia che impari in fretta a padroneggiare in qualsiasi frangente è senz’altro la dissimulazione della propria inesperienza. Crearsi all’istante una pelle nuova con cui affrontare le incognite delle sequenze quotidiane – e non si parla ovviamente di basarsi sulla propria esperienza come turista.

Trattative in taxi, uffici, richieste di informazioni, mance per qualsiasi cosa, attraversare la strada, telefonate alla Telecom, ordinazioni al ristorante...Ogni procedura è un terno al lotto, e questi poveri sanno essere anche tremendamente pigri ed arroganti. Vorrei vederti fare per una settimana la vita che sto facendo io. Non resisteresti un giorno. Dovresti venire qui e provare, vedere.

Solo che è difficile essere obiettivi. Idealizziamo sempre ciò di cui non riusciamo ad appropriarci. Solo quando lo abbiamo, accettiamo magari di poterne fare a meno, o di non trovarci poi così tanto bene, o che esistono altre cose per noi più importanti.

Per questo la cosa più importante è mettersi alla prova. Il disagio io lo avevo messo in conto, come parte di un compromesso. E l’ho sopportato fino a che le gratificazioni che venivano dai miei obiettivi raggiunti hanno costituito la cosa più importante per me. Ma ora le gratificazioni sono state incorporate, assorbite; le incertezze dissipate; alcuni traguardi raggiunti; i miti ridimensionati. Non bastano più.

Assodati questi punti ho potuto finalmente concentrarmi su me stessa. E pensare alla bellezza di avere una casa mia, che parli di me. Entrare in casa la sera e ritrovarmi, assaporare il tempo libero, senza pensare alle vacancies da cercare e ai CV da mandare. Mettere su un CD e chiudere gli occhi sul divano. Prendersi il proprio tempo per preparare una cena, e non semplicemente nutrirsi per restare in piedi. Godersi un film, anche alla TV. E poi pensare a un bambino, a una famiglia.

Potrò godermi tutte queste abitudini senza più pensare di stare sprofondando in un’anonima vita borghese, perché per me queste routine prenderanno sapore da tutti gli anni in cui non lo avute, perché non potevo permettermele, o perché non era possibile averle.  Non mi sembra di tornare indietro verso l’insipido, perché ho vissuto tutto quello che volevo.   

Il più grande traguardo che mi sento di aver raggiunto, è proprio questa tranquillità interiore datami dal fatto che ora sono io che decido di rinunciare a questa vita, con chiara davanti a me tutta lista di motivazioni, di pro e contro. Questo mi dà un senso di serenità infinito.

E quando, tornata nella bella vecchia Europa, ricomincerò a interrogarmi sul senso della vita, ripenserò a tutto questo, ricorderò le emozioni forti, ma avrò chiaro davanti a me il motivo della mia scelta.

Le tue parole e le tue contraddizioni mi lasciano sempre più perplessa. Vorrei farti un gran lavaggio del cervello, scuoterti, e dirti di smettere di attaccarti a simulacri sterili di sicurezze - forse anche sotto forma di rapporti personali - che non incarnano altro che il conflitto tra quello che hai, che non vuoi lasciare e ciò che hai paura di trovare; e che alla fine ti lusingano e ti rassicurano. Vorrei anche dirti di continuare a sognare le cose che ami, solo però di ridimensionarle e smitizzarle un po’.

Ma sono stanca da scrivere, e ho troppa paura che scritte le parole siano un’arma troppo pericolosa. 
Con affetto,

Margot 

7. Vita da cooperante

2 aprile 2008
Sono stanchissima. Basta, mi sono stancata di questo girare, questo cambiare lavoro, questo ricoprire ruoli e posizioni di passaggio, perché poi anche gli altri ti sentono come di passaggio e non ti considerano una risorsa.

Non riesco ad appassionarmi a questo lavoro. Cerco di concentrarmi, mi sforzo di recuperare lo stato mentale di quando studiavo, la stessa profondità analitica e la motivazione intellettuale, ma non ci riesco. E questo è emblematico, perché invece faccio un lavoro bellissimo.

È una mancanza di motivazione che probabilmente viene dal fatto che questa volta, per la prima volta, la sento come un’esperienza fine a sé stessa. Dentro di me è come se avessi maturato parallelamente la convinzione e che la vita del cooperante internazionale non fa per me, e che è in Europa che voglio costruire la mia vita.

È un’evidenza che ho raggiunto solo recentemente, per tutta una serie di motivi. E questo mi rende molto difficile impegnarmi come facevo invece nelle esperienze precedenti, quando percepivo ogni nuova avventura come un possibile trampolino di lancio o una porta verso un affascinante ignoto futuro.

Non posso fare la cooperante perché questa vita può essere intrapresa da una donna della mia età solo se ha qualcuno accanto, o profondamente vicino anche se a distanza. Se no semplicemente si tratta di una vita che sciupa, sdrena, strema e che ti butta via.

Solo chi ha la famiglia o l’uomo che la segue riesce ad affrontare certe cose con serenità e a ricaricarsi, come fa Lara, che mi dice che la cosa più importante per lei è la sua famiglia. E la capisco, perché ha una famiglia bellissima.

Tuttavia ieri, ad En Sokhna, al mare, Nick ha riassunto la questione con un “WFP life is not done for families”. Famiglie infelici, coppie sfaldate, bambini irrequieti, distanze. Anche questo è vero. Al mare abbiamo anche incontrato Diana ed Egidio. Anche lei è esausta di questa vita, tanto più che le attuali politiche UN, di rotazione ogni quattro anni, non ti lasciano proprio un attimo di respiro. Per i giovani poi, ovviamente, c’è l’ulteriore aggravante dei contratti precari.  

[Ho preso anche un po’ di sole. Eravamo stese in bikini io e Liliana. Passa un bambino arabo e ci grida “sharmuta, sharmuta, sharmuta”. “Puttana, puttana, puttana”.]


Un altro motivo è che bisogna avere un altro tipo di approccio. Meno sentimentale-emotivo del mio, e più semplicemente operativo. Non dico che bisogna crederci meno, o essere più cinici. Semplicemente, forse, essere un po’ meno riflessivi. Io a fare questa vita certe volte sto male, e sto male pure per gli altri. Non riesco ad accettare certe cose, non riesco a guardare questi bambini, non riesco a lasciarmeli dietro quando chiudo la porta di casa; e non riesco a credere in questa battaglia stando da sola.
 
A volte mi guardo intorno e mi domando come sono. E non ci credo più. Non è il lavoro, non è più il lavoro…non è il lavoro più o meno bello che cambierà o che mi renderà felice, perché le mancanze che ho riposano su un altro piano. Ho capito che il tempo è finito per buttare tutto sul lavoro. E poi mi sento una mancanza affettiva enorme…non so come farei a colmare questo vuoto se non ci fossero le mie amiche ora. O forse ora che ho raggiunto questa tranquillità riuscirò di nuovo ad amare. Ma nessuno mi attira abbastanza.

Voglio seguire me stessa, ritrovare la capacità di ascoltare le mie emozioni, perché per tanti anni ho staccato la spina e ora non ricordo più da che parte vada attaccata, e non so più come fare ad entrarci in contatto. 

[Si veda anche il post Una vita a metà e Molteplici vite]

6. Il Khamseen

Venerdì 28 Marzo


Oggi visita al Cairo copto con Sara. Alla fermata della metro di Mar Girgis, sulla banchina, c’erano due capre libere, da sole.

A un certo punto il cielo è diventato giallo. Sta iniziando la stagione del vento dal deserto, il khamseen. Tra l’altro la finestra della cucina non l’avevo chiusa bene (cioè, non si può chiudere…), e quando sono tornata a casa avevo la cucina piena di sabbia arancione.
La vita sta lentamente prendendo una piega rilassata. Comincio a trovare un po’ di ripetibilità e capacità di anticipazione, e flessibilità. L’inquinamento è sempre fastidioso, ma mi sto abituando. Perché ho voglia di vivere questo paese, e perché non ho più paura ad andare in giro da sola, o meglio…cerco di fregarmene.

Domenica 6 Apr 2008


Questa notte mi sono precipitata giù dal letto alle 2.30, svegliata da un rumore di vetri infranti. Il vento urlava fortissimo e faceva tremare la vetrata in salotto. È il Khameseen che arriva, ho pensato. Ho avuto paura che la finestra in cucina si fosse aperta e fosse stata sbattuta – dato che non si chiude completamente. Per fortuna niente di rotto in casa mia, ma ho continuato a lungo a sentire rumore di vetri infranti proveniente da ogni parte.Atmosfera apocalittica. Oggi il cielo è giallo, così come ogni cosa toccata da questa luce gialla e densa. L’aria è spessa e ruvida, e lascia la gola arsa.
Il Cairo è ancora una volta invisibile dietro a una bassa coltre di polvere, oggi più spessa del solito e di colore più giallognolo, perché al grigio dello smog si unisce la polvere del deserto.

5. Scene di vita quotidiana

Sei qui con tuo marito? 
Oggi il security officer mi ha chiesto con spontaneità se vivo qui col mio “spouse”, o se sto qui al Cairo da sola. E ridaje… Ma c’ho avrò avuto la fede alla mano sinistra quando l’ho conosciuto, o sono davvero troppo al di là dell’età del matrimonio? Anche i tassisti me lo chiedono sempre. 

Corpo
Oggi, giorno dedicato a me stessa. Come tutti gli altri giorni, si dirà...Allora giorno dedicato al mio corpo, questo corpo "sporcato". Necessario per contrastare l’assoluta mancanza di sensualità e l’opprimente autocontrollo a cui sono soggetta, nel vestire, nel muovermi, nel guardare, nel toccare, nel ridere, nel sorridere.
h 10 Ceretta dall’estetista;
h 14 Pulizia del viso a casa, con Dagmar, bella e tormentata quarantacinquenne tedesca. Anima persa, come dice Liliana.
h 18 Aerobica;
h 19 Fisioterapista.

Fatim
È venuta Fatin a farmi ceretta e manicure - e con lei ho ripassato tutta la lezione di arabo fatta ieri con Elias.
Mi ha chiesto perché mi vesto sempre di nero. “Because I like it!” “Ah, ok, because you like it”. Forse credeva che potessi essere vedova?
Poi, quando si è fatta l’ora, si è presa la sua pausa e si è messa a pregare, sul mio divano. 

“Non lavorano”
Parlando con Nada oggi ho scoperto che un funzionario del governo, senior, arriva a prendere 1000 pounds al mese, ovvero circa 150 euro.
Nada lavora come consulente del WFP al governo e mi ha detto che negli uffici governativi non hanno la connessione internet. “E come lavorano?” le ho chiesto. “Ah, ma non lavorano. Molti non si presentano nemmeno in ufficio”. Beh, ci credo, per 150 euro...

Soldati
Uscendo dalla metro di Al Taharir sono sbucata proprio nel mezzo di una truppa di soldati, perché ovviamente la piazza principale era tutta controllata; madonna mia, non poteva andarmi peggio...ho tenuto lo sguardo basso per scomparire, non terminavano mai...

Milk and sugar
Oggi per la strada un ragazzetto mi ha gridato: “milkmilk!”. L’altro appellativo preferito è sugar.

Taxi
Torno dalla palestra, per Courniche El Nil. Un autobus è fermo di traverso - ma proprio in perpendicolare, a 90° - e blocca tutto il traffico dall’arteria del Cairo. È proprio davanti a noi.  

Vedo il povero autista che annaspa, l’autobus non si muove. In realtà è semplicemente la retro che non riesce ad entrare. Da dove sono io riesco a vederlo, il mio driver no. Allora a gesti indico la marcia e il movimento: è solo quello che non funziona. Lui capisce e scende, e in pochi secondi si fa del movimento e si radunano un po’ di uomini. Se non fosse stato per lui non si sarebbero più mossi. Dal bus cominciano a scendere uno dopo l’altro soldati in uniforme, tutti a spingere il bus all’indietro. Riescono a raddrizzarlo e a ripartire. 

“Mabruk!” dico all’autista, congratulazioni! E comunque, arrivati a Zamalek, e per quanto gli abbia detto “Setta” (6), questo ha provato a prendermi 10! “Dayman kamsa!”, “pago sempre 5!”, gli ho detto, e io che pure gli volevo fare un piacere dandogli 6! Alla fine non aveva il resto di 10, e mi ha dato 5 pound...e lo ho pagato 5. 

Mi chiedo se il mio sia un atteggiamento etico o no. Dovrei fottermene e dare di più a questa povera gente, che per la maggior parte mi pare lavorare onestamente, rovinandosi i polmoni nel traffico...o assumere che io, come ogni altro, è giusto che gli dia una somma adeguata ma giusta, e non da turista. Mi sento una spocchiosa ad arbitrare sui pochi centesimi di euro che separano 5 da 10 pounds, ma nemmeno voglio fare la turista.

Doctor Agaya
Oggi Doctor Agaya, la mia proprietaria settuagenaria, mi ha aperto la porta in sottovestina. Con me c’era anche il suo bauab.
Attualmente ci sono 36 gradi, e dovrebbe essere normale stare in sottoveste o simili. E invece quando l’ho vista ho pensato che ci fosse un errore, che sicuramente non sapeva che con me ci fosse anche il bauab, e si sarebbe andata a coprire...
E invece lei era tranqullissima, giustamente, con la sua sottovestina grigiolina dalla polvere e piena di macchie. Anche lui non ha fatto una piega. Dopotutto Doctor Agaya è una cristiana copta, una marginale e un’infedele. Forse anche il suo bauab è copto. I miei lo sono.
In fondo sembra carina, anche se ho paura che alla fine mi fotta i soldi delle bollette.

Lezioni di arabo
Ieri ho fatto la prima lezione di arabo con Elia. Elia ha 35 anni, parla italiano, inglese, francese, greco ed arabo ed ha origini greche, italiane, e arabe. Pur senza averci mai vissuto né comprendendone i sottili meccanismi ha diritto di voto in Italia, che esprime a favore di Silvio.
E’ andata bene. Mi ha fatto prima parlare e poi un po’ scrivere. Che strana sensazione ritrovarsi a scrivere con una matita dei segni incerti e cancellare gli errori con la gomma. E cercare di ricordarsi cosa distingue una lettera dall’altra.
Di quando imparavo a scrivere alle elementari, ricordo una cosa: i ragionamenti che facevo cercando di ricordare quale era la “b” e quale la “d”. Però questa lezione mi ha trasmesso libertà. E’ come se avessi suggellato l’ingresso alla mia nuova vita.

Ufficio 
È da una settimana che in ufficio l’acqua c’è e non c’è, ma nessuno si lamenta.

A causa di uno sciopero programmato per oggi, inoltre, le misure di sicurezza ONU hanno legittimato il personale a lavorare da casa. A me non mi pareva così una big issue e sono andata al lavoro, ma ero l’unica tra il personale non residente a Maadi. Mi pare assurdo. Sono comunque andata via prima, anche perché non essendoci i colleghi, potevo fare poco.


Ambulanze
Una cosa che non ho mai sentito fino ora è la sirena delle ambulanze. Infatti ho scoperto essercene una ogni 35.000 abitanti.

Concerto
Questa sera vado a vedere un concerto di Ali El Haggar con Liliana. Vita culturale. Ci vuole per ritrovarsi dove si sta vivendo. Mi fa sentire di vivere finalmente, ora, la mia nuova vita in questa città.
Mi è parso di capire che questo artista è un po’ come i nostri cantautori (De Andrè, De Gregori...). Il pubblico era variegato, anche se si distinguevano persone di classe medio alta.
Io lo vedo da come sono le donne. Erano o svelate, o col velo “a concio”, come lo chiamo io, ovvero arrotolato dietro o di lato in una crocchia che lascia scoperta la nuca. Ha un che di chic. Lui mi è piaciuto molto, una voce fantastica. La gente si avvicendava ai piedi del palco dandogli dei bigliettini con scritte le canzoni che avrebbero voluto ascoltare.

Gatto 
Dopo il lavoro entro in casa, apro le finestre perchè l’immondizia inizia a puzzare...vado in bagno per lavarmi le mani, esco e chi mi trovo? Il gatto bianco, col suo collarino, il pelo rasato (a parte la coda che era un batuffolo)...entrato dalla finestra che dà sulla terrazza dei vicini.
Non riuscivo a fargli capire che era entrato dalla finestra, lui cominciava a porsi qualche quesito su dove si trovava e ad agitarsi, ma non me la sentivo di gettarlo sulla sua terrazza, che è un po' di sbieco rispetto alla mia...
Alla fine ha ritrovato la strada. E poi è ritornato. Ma l’ho mandato via facendo i fischi dei gatti...E mi ha anche fatto tutte le impronte in casa, di pece, quella che l’omino ha usato per isolare il mio tetto..e che giustamente ha fatto colare nel balcone del vicino, e che ora col caldo si scioglie...maledetto gatto. 

4. Telecom Egypt

19 marzo 2008
Per fortuna credo di essere riuscita a “innescare” la procedura per avere internet a casa.
Dopo avere tentato ieri pomeriggio a casa, ricevendo una cosa come cinque numeri di telefono diversi da chiamare, parlando in inglese al vuoto prima che mi si passasse qualcuno che davvero capisce l’inglese, parlando con minimo sei persone diverse, e dopo avere ritentato oggi dall’ufficio con gli stessi risultati, mi sono arresa.
Ghada mi ha aiutato, passando 15 + 10 minuti al telefono col tipo, che dice che mi richiamerà tra cinque giorni per fissare un appuntamento tra due settimane. [ex post: ovviamente la telefonata non arrivò mai].
31 marzo 2008
Un’ora al telefono di prima mattina tra Telecom e compagnie internet per capire cosa fare del mio contratto, che l'inquilino precedente non aveva chiuso… che stress.
Avrò chiamato almeno sette numeri diversi, ognuno dei quail mi trasferiva a due/tre persone diverse, le metà delle quail non parlava inglese, cosicché dovevo chiamare Ghada che comunque non mi pare molto pratica di queste cose e non fa proprio sempre le domande giuste…
Lara – che ascoltava le telefonate - mi ha detto che non ce la farò mai da sola, che devo chiedere l’aiuto di un egiziano. Io gli ho detto che non sono abituata ad appoggiarmi su altre persone, e che mi scoccia chiedere questi favori.
Lei mi ha risposto semplicemente che “you have to join the system”.

3. Alessandria d'Egitto


21 marzo 2008
Davvero difficile viaggiare da sole in questo paese, se non impossibile. Eravamo in quattro, io, Azzurra, Sara e Grazia. Tutti, tutti ci dicevano qualcosa. Non c’era tregua, dai bambini agli uomini adulti. Gli adolescenti ci seguivano in gruppi di 8-10.
Vorrei viaggiare qui, ma bisogna sempre che ci sia qualcuno. Come ti fanno sentire sporca; è incredibile come vorrei un uomo, solo per poter andare a passeggio tranquilla! Il fatto è che dicono che non cambia in realtà più di tanto, a meno che lui non sia arabo. Boh, io credo che mi sentirei meglio comunque, almeno riuscirei a farmi scivolare via man mano questo continuo disagio corporeo.
Oggi Azzurra, che parla arabo, si è incazzata due volte per mandare via questi deficienti.
La fortezza di Alessandria è fatta da vari corridoi intrecciati e vicoli ciechi. A un certo punto ce n’erano quattro diversi che ci perseguitavano (non alleati; indipendenti), e qualsiasi direzione prendessimo ci trovavamo in faccia qualche ritardato teenager che ci diceva qualche scemenza: ci sembrava di essere in un video-gioco Pac-man! Facevi dietro front e incappavi in quell’altro. Esasperante. Ce ne siamo andate via dalla disperazione. Almeno vedo che l’esasperazione è condivisa…non sono io ad essere paranoica!
Sulla courniche (il lungo mare) invece, mentre tornavamo indietro, un gruppetto di circa sei-sette ragazzi, sempre di massimo vent’anni si era composto in corteo alle nostre spalle. Ovviamente rompevano, si avvicinavano, urlavano cose…fino a che Azzurra non ha cominciato a urlargli contro in arabo fluente.
Qualcuno fa capolino...

Attirata dalle urla, una signora (la tipica egiziana enorme, con tunica lunga e velo) si è fermata a darle man forte e a cazziarli, e molto peggio di Azzurra. Imbarazzatissimi si sono dispersi ad orecchie basse. Che soddisfazione…
Diana mi diceva che per lei questa situazione è sostenibile solo perché è là con Egidio, e io credo fermamente che faccia un bel po’ la differenza.

2. L'albergo

Appunti che presi su carta, quando in albergo ad Al-Arish, Sinai.

8 marzo 2008

Finalmente arriviamo in albergo ad
Al Arish. Appena entrata in albergo sento come il rumore del mare, e penso a come in questi lussuosi resorts non si risparmieranno in giochi d’acqua.Una volta in camera però il rumore si fa più forte. Mi affaccio alla finestra, ed eccolo lì il mare, il Mediterraneo, il cuore della nostra civiltà. Cercavo di immaginarmi la Grecia e la Puglia di fronte a me, mentre appena 50 Km a destra, la striscia di Gaza.

9 marzo 2008

h. 16.10.

Sono da sola in albergo, perché Khaled ne ha approfittato per andare a trovare un suo amico e dormirà da lui. Poco dopo essere entrata nella stanza squilla il
telefono e io penso che sia la reception.

Mi chiedono il nome - e non mi pare strano dato che nella mia testa ho deciso che è la reception. Gli faccio persino lo spelling. Ma poi la voce continua.
“Do you want to see me?”

“Ceemee??"
- non capisco - Sorry?? What does it mean?” - rispondo. E la voce mi risponde, pure letteralmente: “Yes, do you want to stay with me?”

Riattacco. Qualcuno mi ha vista, ha visto dove sono entrata, ha visto il numero della mia camera, ha visto che sono bionda e sono in albergo da sola, e siccome – ha dedotto - sono una puttana, mi ha chiamato.

Il
telefono squilla di nuovo, e rispondo solo per la curiosità e il gusto di insultare.
- “What about your country? You are very beautiful”.
- “Who do you think I am?! - rispondo - How do you dare to call me and ask me that...just because I am a woman alone?!”.
Ma la voce non se ne cura, e va avanti per la sua strada: “
are you single?”
- “It’s not your own business! How do you dare!
Would you do that to an Egyptian woman? You are offending me, do you understand that?”
– “Why?”. E continua, chiedendomi se volessi cenare con lui, perché è un uomo d'affari, da solo; magari prendere qualcosa da bere, anche con altre persone. Io restavo al telefono, allibita, non fosse che per lo stupore e la voglia di vedere che cosa mi avrebbe detto ancora.
- “Do you think I am a
prostitute?” intervengo. Ma non credo che abbia capito.

E poi cosa c'entra se sono single o no?! Non è quello il punto! Mi viene in mente il film
Persepolis, quando la nonna dice alla nipote di come gli uomini (arabi in questo e in quel caso), di fronte a una donna non più vergine (= che non deve difendere più il bene più prezioso), partano dal presupposto che "il loro gingillo sia irresistibile", a prescindere, senza porsi minimamente il problema che potrebbero non essere di nostro gusto, vergine o non vergine, marito o non marito!

Riattacco.
Risquilla, riattacco per la terza volta. So che non è successo nulla e che non mi può succedere nulla, che non sono nella mia cultura e poco importa secondo quali schemi mi si stia classificando; ma mi viene lo stesso il magone. Why am I doing this? Tutto questo perché? Cosa ci faccio da sola in un albergo ai confini con la striscia di Gaza con uno sconosciuto che mi chiama pensando che sia una prostituta? Non è niente, mi scende la lacrima, che era già qualche settimana che spingeva. Piango perché non riesco più nemmeno a piangere, perché non sento più la solitudine, perché continuo sola e ancora non mi basta, e perché non vedo alcuna alternativa; piango quando mi accorgo che in fondo per me tutto ciò è normale.

h 18.30.

Sono andata sulla spiaggia a fare una passeggiata. Non lo avevo mai realizzato finché ho vissuto a Ravenna, ma ora mi rendo conto di quanto il
mare mi faccia sentire a casa; mi dà un senso di naturalezza e libertà. Il mare è apertura e possibilità. Allora ho camminato. Ogni tanto guardavo a nord-ovest, dicendomi che là c’era l’Italia.

Dopo un po’ vedo un uomo scendere dalla banchina al livello dell’albergo. Sono andata avanti, già intuendo che si fosse mosso per me, e infatti era della security e mi ha detto che non potevo spingermi più in là: zona di confine con
Israele. Che stupida, e io che me ne vado tranquilla con le stesse sensazioni di quando sono a Ravenna.

Torno indietro lentamente e mi metto sulla
terrazza dell’albergo a scrivere. Dopo un po’ mi chiama Sara, un sollievo. Ma perché poi io non cerco mai le persone, se poi quando le sento mi sento meglio? Perché non riconosco più la solitudine come un problema, proprio come quando ero bambina?

Torno in camera, e dopo pochi minuti squilla di nuovo il
telefono. Di nuovo lui! Che mi dice che mi ha vista andare alla spiaggia, e poi stare da sola in terrazza, e che io sono sola, e lui pure, che è un “funny man, and only want a friendship”. Gli chiedo se conosce il significato della parola “respect”, e dice di non capire, guarda caso... Lo insulto ancora un po’ mentre lui sciorina una serie di “please”, e riattacco. Il telefono squilla ancora ma ora non rispondo.

Cazzo quant’è dura. Sono qui da sola, e ok, mi sta bene. Ma secondo me Khaled semplicemente non può immaginarsi cosa voglia dire anche solo andare a visitare i progetti, ma più in generale fare qualsiasi cosa, qui, da sola. Il
velo è importante, no so, forse dovrei portarlo, in certe occasioni, in certi posti…

Ha risquillato alle 22.30 e alle 8.30 di mattina. Quando Khaled mi è passato a prendere e mi ha chiesto come avessi passato la notte non sono riuscita a non dirglielo, ma senza ansia. Lui ha creato un putiferio alla reception comunque.

1. Lettera a Bruxelles

Venerdì 14 Marzo 2008

Questo venerdì l’ho passato in casa. Internet del vicino ha funzionato per un po’, e sono riuscita a scambiare qualche mail con i ragazzi di Bruxelles. Quanto mi mancano.

Poi ho attaccato i disegni dei bambini ai muri (del calendario del lavoro); poi sono andata in libreria a comprare un libro, un romanzo egiziano molto famoso, The Yacoubian Building, di Alaa Al Aswany; e poi a casa a scrivere, a ricordare, a digerire.


Cari amici,

È venerdì e quindi io sono a casa (qua la settimana lavorativa va da Sun a Thu), e trovo l'Internet del vicino in un raro stato di grazia, per cui finalmente posso leggermi tutte le vostre mail, da due settimane a questa parte.

Purtroppo dall'ufficio non riesco a fare nulla, né scrivere mail né vedere facebook, e non ho skype. Ancora non ho internet in casa, spero di riuscirci presto: sarà l'ultima vera tappa per assestarmi. Intanto rido da sola e mi commuovo leggendo le vostre cazzate, sempre nuove e originali...

Non so davvero da dove iniziare a raccontarvi. Forse dall'ultima parte. Sono tornata da poco da una settimana di missione nella penisola del Sinai, dove siamo andati a monitorare dei progetti nelle comunità dei beduini. Mi sono presa tanti thè nel deserto nelle loro capanne, con queste donne bellissime e misteriose e questi bambini liberi. E tanta tanta povertà; appena posso metterò le foto su facebook.

Queste donne che non avevano niente ti accoglievano come se fossi un regalo, e mi si scioglieva il cuore con questi bambini, piccoli, che nella loro vita forse non avevano mai visto un'occidentale, o non capivano perché ero senza velo o coi capelli chiari. Non riuscivano a staccarmi gli occhi di dosso; alcuni avevano paura e scappavano. Poi mi prendeva uno sconforto senza fine pensando a che le cose non andavano assolutamente bene...e non vedevo davvero nessuna via di uscita.

In questi villaggi, quando arriva un forestiero, uomini e donne si dividono, e si raggruppano ognuno in una differente sala. La prima volta che sono entrata "dalle donne" ero quasi spaventata.

Immaginatevi 20, 30 fantasmi neri di cui si scorgono, da dietro una sottilissima fessura nel "niqab", solo occhi bellissimi, orientali, con un giro di matita nera. Alcune avevano il viso completamente velato. E' stato emozionante quando poco a poco hanno cominciato progressivamente a svelarsi. Quanti strati, quanti modi, quanti lacci...

Alcune si alzavano il velo da davanti agli occhi, altre si levavano tutto il niquab da davanti al viso e restavano solo col velo normale, scoprendo visi bellissimi di mamme giocose e ragazze sorridenti. Bastava l'avvicinarsi di una voce maschile dall'esterno, e in un secondo avveniva la trasformazione: in un attimo non potevi più la persona con cui stavi parlando poco prima.

Il deserto è stupendo. Il territorio dove siamo stati era tutto un incrociarsi di checkpoints, data la vicinanza a Gaza. Una volta me ne stavo andando in giro per la spiaggia, attorno all'hotel, e una guardia mi ha fermato e mi ha detto di rientrare. C'è il coprifuoco in quella parte di spiaggia...

Questo mondo arabo è ricco e intenso, ma duro. Non pensavo potesse essere così. Sapevo che avrei dovuto prestare più attenzione a certe cose, all'abbigliamento soprattutto, ma non mi immaginavo fino a questo punto. Sto cercando di capire come viverlo al meglio. Lo so che sono legittimata a stare svelata e a vestirmi come voglio (nei limiti della loro decenza ovviamente). E le persone non ti giudicano per questo: anche il musulmano più arrogante e estremista (almeno qui in Egitto) non giudica una cristiana (perché ovviamente qui dire di non essere credente, non è un’opzione) perché non si vela; semplicemente sa che abbiamo tradizioni differenti. Anzi, il velarmi al Cairo sarebbe secondo me più simile a un insulto secondo me, come dirgli: non hai raggiunto nemmeno un grado minimo di civiltà per comprendere questa differenza di tradizioni.

Nella pratica però è diverso, forse davvero è il colore dei miei capelli, ma camminare per strada è davvero pesante, e ancora non ci ho fatto l'abitudine. E poi non sono soltanto gli sguardi per strada. E' tutto un particolare tipo di costrizioni di cui è intrisa la società. So che non posso sorridere ad un uomo con la spontaneità con cui potrei farlo in Europa, perché significa certe cose (già incappata in fraitendimenti), so che non posso dare per prima la mano a un uomo, ma aspettare che sia lui a darmela: è considerato sconveniente che un uomo e una donna si tocchino, anche solo per stringersi la mano...solo alcuni uomini te la porgono; ad altri, se la porgi, te la stringono ma malvolentieri...E poi non esiste un minimo di fisicità e sensualità in niente...In casa mi sparo della musica latinoamericana per ricaricarmi perché mi sento a dir poco ingabbiata...sta arrivando l'estate e non oso immaginare a come potrò/dovrò vestirmi.

Cari tutti, queste alcue impressioni sparse. Vi terrò aggiornati più spesso in futuro appena avrò internet. Penso molto a Bruxelles e alla nostra vita là.

A presto. Un abbraccio,

--
Margot