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2. Un paese in crescita

19 giugno 2008

Gli Egiziani sono sempre più poveri; l’inflazione è al 20% e la crisi alimentare all’apice.

Tuttavia continuano a fare figli, e su una superficie grande quanto la svizzera vivono concentrate 80.000.000 di persone. Il governo vuole cominciare a controllare le nascite tipo in Cina e sta tenendo campagne per limitare il numero massimo di figli a due. Questo solleva ovviamente grande disappunto a livello religioso(spero solo che questo non si traduca in un ulteriore aumento della frustrazione sessuale maschile perché più di così veramente non è gestibile!)

Per combattere la forte inflazione inoltre, non trovano nulla di meglio che continuare a sovvenzionare la benzina. La macchina quindi – seppure non riescono a portare a casa il pane – se la devono comprare tutti e ovviamente la maggior parte può permettersi solo catorci anni ’60 a carbonella che rendono l’aria irrespirabile.

Assieme alle macchine poi, crescono gli obesi: sì, perché se i poveri davvero non mangiano, quelli di classe medio-bassa mangiano troppo e cibo di scarsa qualità (chips, fritti, carboidrati).

Quindi riassumendo, tutti hanno la macchina, l’aria è irrespirabile perché per di più sono macchine degli anni ‘60, ci si ammala di cancro per l’inquinamento e di malattie cardiovascolari per l’obesità


Anche da noi? No, perché qui tutto è amplificato enormemente dagli effetti di uno sviluppo più aggressivo e subitaneo. Noi ai tempi non abbiamo mai avuto un tale numero di macchine anni '60 circolanti contemporaneamente e ora abbiamo leggi che cercano di ammortizzare l'impatto ambientale - per non parlare poi del loro sistema sanitario...Quindi evviva i progressi dei paesi in via di sviluppo, ma soprattutto, evviva il nostro sviluppo, importato con successo.

La mia bisnonna quando in Italia vi era la stessa ripartizione di classe tra pochi benestanti e masse di contadini, si faceva 35 km al giorno in bici per andare a lavorare. Quanto starebbero bene: respirerebbero e dimagrirebbero. 

2. Anna viene al Cairo

Venerdì 2 maggio

Il piano era di fare un giro in centro e poi raggiungere la cittadella, in cui io non ero ancora mai stata. 
Ovviamente l’autista non capisce dove dobbiamo andare ma fa finta di sì, ci porta fuori strada e poi ci vuole fare pagare la distanza percorsa per sbaglio, e io che mi metto a litigare. 
– Anna esci dal taxi! 
– Cosa? 
– Esci dal taxi ho detto! - Se no non riesco a litigare.

Arrivati finalmente alla piazza della cittadella, abbiamo cercato di capire dove fosse l'entrataUn passante ci ha detto che assolutamente era chiusa di venerdì a quell’ora. Un altro che era aperta e che aveva appena visto gruppi di persone entrare. Un terzo, che ci ha trovate riverse sulla mappa, ci ha chiesto se avevamo bisogno di aiuto, e ha anche anticipato la mia diffidenza, dicendo che non lo faceva per avere una mancia, ma perché era laureato in storia dell’arte, e gli faceva piacere dare informazioni sulla propria città.

Oltre a volerci mandare verso una moschea mai sentita, seguendo le sue indicazioni ci siamo infognate in una stradina sterrata piena di immondizia e carcasse di auto, che finiva in un enorme cancello arrugginito chiuso da un chiavistello. Siamo tornate sui nostri passi. 

Abbiamo camminato in stradine sterrate e fangose, e poi in mezzo allo smog, al caldo, al nero del grasso e dell’olio delle officine sciolti sulla strada, scavalcando immondizia e gatti morti. Infine abbiamo raggiunto l’entrata. 








Mercoledì 7 maggio

Partite dal Cairo alle 7:15 per Baharia. Io e Anna ci siamo stese lungo una duna e siamo state così ad occhi chiusi per vari minuti, fino a che la sabbia non ha iniziato a ricoprirci. Solo un vento reso silenzioso dal contatto con la sabbia. Deserto biancoLa sabbia profuma di pulito. Paesaggio lunare. Compagnia piacevole. Calma.






Giovedi 8 maggio



Ieri sera abbiamo visto una volpe del deserto. Si è avvicinata al nostro fuoco. La sera ci siamo uniti a un altro gruppo, composto da una guida e due ragazzi tedeschi. Canzoni, canti e balli beduini nella tenda di Omar. Ezz suonava il bongo e cantava, e poi si è messo a ballare la “danza del cammello”, una tipica danza matrimoniale femminile, che consiste nell’appoggiarsi a un bastone, e a girarvi intorno lentamente mettendo in evidenza il movimento delle chiappe.


Il deserto è uno stato neutro dell'essere. È un azzerarsi dell'anima. È l'uomo di fronte alla natura. È pulito, è caldo, è secco, è infinito, è ondulato. È una distesa di sabbia, ma mai uguale a se stesso, tutt'altro che monotono. 






6. Il Khamseen

Venerdì 28 Marzo


Oggi visita al Cairo copto con Sara. Alla fermata della metro di Mar Girgis, sulla banchina, c’erano due capre libere, da sole.

A un certo punto il cielo è diventato giallo. Sta iniziando la stagione del vento dal deserto, il khamseen. Tra l’altro la finestra della cucina non l’avevo chiusa bene (cioè, non si può chiudere…), e quando sono tornata a casa avevo la cucina piena di sabbia arancione.
La vita sta lentamente prendendo una piega rilassata. Comincio a trovare un po’ di ripetibilità e capacità di anticipazione, e flessibilità. L’inquinamento è sempre fastidioso, ma mi sto abituando. Perché ho voglia di vivere questo paese, e perché non ho più paura ad andare in giro da sola, o meglio…cerco di fregarmene.

Domenica 6 Apr 2008


Questa notte mi sono precipitata giù dal letto alle 2.30, svegliata da un rumore di vetri infranti. Il vento urlava fortissimo e faceva tremare la vetrata in salotto. È il Khameseen che arriva, ho pensato. Ho avuto paura che la finestra in cucina si fosse aperta e fosse stata sbattuta – dato che non si chiude completamente. Per fortuna niente di rotto in casa mia, ma ho continuato a lungo a sentire rumore di vetri infranti proveniente da ogni parte.Atmosfera apocalittica. Oggi il cielo è giallo, così come ogni cosa toccata da questa luce gialla e densa. L’aria è spessa e ruvida, e lascia la gola arsa.
Il Cairo è ancora una volta invisibile dietro a una bassa coltre di polvere, oggi più spessa del solito e di colore più giallognolo, perché al grigio dello smog si unisce la polvere del deserto.

3. La direzione sbagliata

lunedí 3 marzo 2008

Mi spaventa questo falso sviluppo sfrenato. Si bada a dare il cibo alle persone, a soddisfare i loro bisogni primari, d’accordo; ma nulla si fa per provocare cambiamenti all’interno dei processi tradizionali, economici e sociali, che già si sono rivelati non sostenibili. In ufficio non facciamo nemmeno la raccolta carta; però produciamo bellissimi papers sul climate change.

Il falso mito dello sviluppo non si riesce ancora a sfatare, e si preferisce misurare la ricchezza di un popolo dal numero di auto possedute (poco importa se sono delle fiat 128 degli anni ’60) piuttosto che dalla qualità dell’aria che respirano; si preferisce illudersi che l’immondizia non esista, e che scompaia dietro alla porta di casa, piuttosto che pensare che alle porte del Cairo si erga Manshiyat naser, una vera e propria città di rifiuti. Perché loro si ostinano a voler ripercorrere tutti gli stadi percorsi da noi, perpetuando i nostri errori? Anzi, perché noi li incoraggiamo (di fatto) a farlo? 
La middle class qui vede noi europei come modello; pensa che noi siamo tutti sconsideratamente ricchi, e che possiamo ottenere tutto quello che vogliamo. Che la nostra vita coicida con la parola “potere”.

La realizzazione assume così per
loro le forme del consumismo sfrenato, dell’incuranza e dello spreco – la peggiore delle nostre lezioni. E pensano che noi non riusciamo a capire il loro stato perché abbiamo tutto, abbiamo sempre avuto tutto. Difficile far capire che i nostri risultati, che il nostro benessere sono il frutto invece della parola “volere”, di tanti sforzi, di rinunce, di fatica, di risparmio, di lotte, di guerre, di fame, di morti.

Quello che vediamo invece noi in loro è tante volte proprio un’inerzia della volontà: io non provo automaticamente pena per persone fataliste che misurano le proprie occasioni a forza di "Inshalla"; senza contare poi che il loro modello si basa completamente sul privilegio, su una società fortemente gerarchica dove chi sta più in alto per nulla al mondo si sporcherebbe le mani con masioni che pertengono a un livello più basso del loro, provocando così continue paralisi, dove il rispetto per la forma prevale sull’obiettivo finale.

Al lavoro, Lara mi ha detto che Mohammed, da quando è stato promosso a clerical officer, non è più disposto a fare il caffè; una volta, mentre lei si stava facendo le fotocopie, da sola, qualcuno le ha commentato tra lo stupore e indignazione che quello non era il suo lavoro – che qualcun'altro avrebbe dovuto farlo per lei. E ancora, Saad ha sgranato gli occhi incredulo quando gli ho risposto con naturalezza che il mio week end lo avevo passato a pulire la mia nuova casa. Non immaginano che le donne europee continuano a infilarsi un paio di guanti e a pulire il loro cesso di casa. E non sanno nemmeno che in Europa siamo di base tutti uguali, e che la vita costa molto.

L’Europa ha creato un’isola di benessere basato sulla responsabilità, adesso, o almeno ci prova, a cambiare (...). Ma appena ne esci vedi ovviamente l’imperversare del nostro peggiore capitalismo. La domanda è allora, cosa succederà alla terra nei prossimi 50 anni con lo spuntare improvvisso e massiccio di paesi incuranti di qualsiasi accortezza ambientale, sprovvisti ancora di una cultura di base diffusa su larga scala? - contando che il mondo occidentale in 50 anni è stato capace di ridurre la terra in questo stato, con un incremento dei consumi peraltro molto più basso prima degli anni '70.

Persino gli strati più alti della società continuano a dirsi che quello che vedono non è “pollution”, ma solo “fog” (infatti non conoscono la parola “smog”), e considerano andare in metro come umiliante. Gli interessa solo comprarsi la macchina.

Vorrei tornarmene sulle colline tosco-emiliane, per non vedere, perché è inutile lottare, perché lo so che non c’è spazio in questi paesi per progetti di sviluppo sostenibile. “Hanno altre priorità. O almeno così dicono loro”, mi ha detto Lara ieri in ufficio. Ma ovviamente non riesco a fare lo struzzo, se no non sarei qui.


***

Oggi ho scoperto che Ayoub, il mio capo, PhD, è un creazionista. Cioè crede che la terra sia stata creata 6000 anni fa. E ha un posto dirigenziale in un'organizzazione internazionale di questo tipo.

2. Taxi

Domenica 2 marzo 2008

Sto imparando a imporre i 5 pounds in taxi, e loro vedendo che sono sicura del prezzo sembrano non fare più tante storie.

I taxi sono una parte fondamentale della nostra vita da espatriati. Sono ovunque. Ti seguono e ti inseguono. Se voglio semplicemente andare a piedi, passo il tempo a scacciare taxi che mi si accostano.

Uno più scassato dell'altro, sono utilitarie anni '60 francesi, italiane e tedesche che vivono qui una seconda vita, dipinte di bianco e nero: Fiat 128, Ritmo, e soprattutto Peugeot 504, quelle che vanno per la maggiore.

Le sovvenzioni statali sulla benzina, e un regolamento che negli anni '90 ha consentito a tutte le vecchie auto di essere convertite in taxi, ha volto il mestiere di taxista al Cairo nella massima ambizione degli strati più poveri dell'interland, causando un afflusso di massa sulla capitale. Il fumo che producono è il più nero e denso di ogni altro veicolo.
I tassisti sono tutti povera gente. Alcuni guidano scalzi.

Varietà:

  • Auto senza targa (all'ordine del giorno).
  • Fiat con targa “RE”, "FI", "LE" (sì, Reggio-Emilia, Firenze, Lecce - arancione anni '80) che spunta da sotto la targa araba, quadrata e quindi più corta.
  • Fari che vengono accesi manualmente e a intermittenza (come di solito si fa con gli abbaglianti) dall’autista.
  • Clacson che suona facendo contatto tra due fili.
  • Auto ricavate saldando assieme due auto differenti.
  • Auto “pura struttura”, dove, seduti sul sedile posteriore, sotto i piedi di vedi la strada, tipo “flinstones”.
  • Autisti che tengono la portiera della macchina chiusa con l’ascella.
  • Manovelle del finestrino assenti: l’autista interviene se necessario con una chiave per girare il perno.
  • Aperture delle portiere rotte e sostituite da prolunghe di fil di ferro; apertura altrimenti possibile solo dall’esterno.
  • Cambi non funzionanti, per cui tutto il tragitto al massimo in seconda.
  • Sedili anteriori bloccati nel massimo della loro estensione, obbligando il passeggero posteriore a raccogliere le ginocchia sul sedile (durante viaggi condivisi), o comunque a entrare dall'altra portiera.
Consuetudini:

  • Essendo l'aria condizionata un concetto futuristico negli anni '60, per non morire di caldo i finestrini sono tenuti tassativamente aperti (di solito la manovella è persino rimossa), catapultandoti nel caos dei clacson e rendendo l’aria irrespirabile per lo smog.
  • La radio è accesa a tutto volume. Crediamo che sia – per loro - un segno di attenzione verso il cliente, dal momento che la accendono appena si salga. Non capiscono che per noi possa essere sgradevole. Tra i canali preferiti, quello della lettura del corano, che con il suo ritmo non aiuta di prima mattina ad affrontare il caos quotidiano (io e Liliana lo definiamo con un po' di pudore, “il lamento”)...
Abbellimenti:

  • Appendici delle sicure a forma di teschio o altro.
  • Pellicciotto di vario colore applicato su tutto lo spazio anteriore che va dal volante fino al margine destro del cruscotto.
  • Il pellicciotto può ospitare creature differenti, quali statuette e riproduzioni di vari animali in peluche con scritte tipo “I love you” o "I love Italy".
  • L’interno e l’esterno dei taxi è movimentato da lucine al neon di vario colore
  • Ugualmente vale per specchietti di tutte le dimensioni, usati più per sbirciare il passeggero/a da tutte le angolazioni che per controllare il traffico selvaggio (almeno questo è quello che c’è parso a me e alle mie amiche).
  • Sono inoltre inflazionati le riproduzioni del corano, dei pendenti a forma di uva, e gli stemmi della squadra di calcio locale. Anche riferimenti calcistici all'Italia sono frequenti.

6. Lettera a un amico

26 febbraio 2008

Ciao A.,

le prime due settimane sono passate, e con loro anche i mille pensieri dei primi giorni. Ho avuto due settimane che mi paiono due mesi ma ora quasi tutto è sistemanto e sto iniziando a tutti gli effetti la mia vita cairota.

Mi sono iscritta in palestra; il corso di arabo invece aspetterà ancora un paio di settimane e non vedo l’ora perché è impossibile vivere altrimenti. Non vedo l’ora di essere completamente sistemata, perché sì, ora sono esattamente nel periodo di maggiore entusiasmo, anche se in realtà tutto ti provoca un gran stress.

Culturalmente è tutto nuovo e mi rendo di non capire a fondo tutti i contesti. Il livello di allerta è sempre alto e cio' fa si' che la sera mi ritrovi stanchissima ma senza sapere perché...in realtà è il cervello che non ha più automatismi, è sommerso di stimoli nuovi, da una lingua che non capisce e che crea un continuo rumore di fondo, e di situazioni che non sa prevedere o gestire...

Ho trovato un appartemento decente nella zona considerata top (mah...), dove stanno la maggioranza degli expats. Lo scorso weekend sono andata in centro, in una parte popolare e vecchia dove fanno il mercato tutti i giorni. Mi sono anche presa da mangiare in una di quelle bancarelle e non mi è capitato niente...Purtroppo non riesco ancora a fare foto, e non so se, quando e come ci riuscirò.

Gli egiziani sono calmi ed ospitali. Certo mi sento osservata come se fossi un animale strano, e anche se sai che è così e te ne fai una ragione, è una sensazione pesante, e mi rincuora sapere che anche le altre ragazze che magari sono qui da più tempo provano la stessa cosa. E’ come se ti facessero sentire nuda perennemente. E poi ti guardano davvero tutti, maschi e femmine e pure i bambini, che poi chiedono alle mamme qualche spiegazione, forse sui capelli al vento...

Per il resto il mondo arabo è tosto, è davvero tutta un’altra cosa. Non dico che sia difficile, perché io alla fine sono legittimata a restare me stessa. Ma viverlo da espatriato non è comunque scontato. Senti proprio che non condividi più il filtro della cultura, del sistema di valori più profondo. Non mi era mai capitato. Sai che su certi argomenti non ti potrai mai capire.


E’ bello quello che sto vivendo, ma io sono diversa. Le altre volte che partivo, era una “solo andata”, senza pensare al ritorno, chiudevo il capitolo precedente (più o meno consapevolmente) con l’idea di lasciarmi trascinare dai flussi, e vivevo la mia nuova vita come un nuovo inizio, ogni volta definitivo, anche perché andandomene sentivo sempre che non avevo niente da perdere; anzi, al massimo scappavo da qualcosa. Questa è la prima volta invece che ho davvero dovuto lasciare una situazione in cui mi stavo bene. E quindi il ponte Europa è ancora in piedi. Significa che so che voglio tornare in Europa, anche se non so dove, e soprattutto a fare cosa. Bruxelles è una possibilità.

Quello che vedi dal di fuori non è che il risultato di un percorso non facile per cui ho dovuto sacrificare e lottare tanto, e per cui ancora sto continuando a rimandare o a mettere in gioco delle cose importanti. Magari sembra tutto luccicare, ma semplicemente non sai dove stanno le toppe, o gli imperativi della ragione che non coincidono con quelli delle emozioni. La cosa che conta alla fine però, credo sia il fatto che rifarei tutto.

Dalla mia parte infine, posso sempre invidiare la qualità della tua vita, che ti permette di assaporare le cose in tutt’altra maniera, con un ritmo più umano e consono, che mi manca da tanto. Avresti potuto suonare la batteria in questi ultimi anni con la vita che ho fatto io? Io voglio una casa fissa così potrò riavere un pianoforte.

Un bacio,
Margot

5. Khan el-Khalili e Bab Zuela

Sabato 23 febbraio 2008

Ieri con Sara siamo andate ai mercati di Kan Al Khalili (quello turistico) e Bab Zayla (fuori dagli itinerari noti), addentrandoci sempre più nella parte popolare. Ora capisco perché Zamalek è considerata essere la zona bene. Ho comprato delle sciarpe bellissime per 3 euro e un paio di ciabattine rosse fiammanti. Il contatto con questa vita brulicante è bellissimo. E’ inutile che a parole descriva atmosfera e colori.

Purtroppo non riesco nemmeno a fare foto in queste circorstanze. Sento di rompere l’osmosi con le persone, e interromperei lo scorrere delle emozioni sul mio corpo, proiettandomi in una dimensione estranea, risucchiando e annientando la spontaneità dei loro sorrisi, o incanalando forzatamente la direzione dei loro sguardi. So che non posso più fotografare le scene che amo di più. Un po’ mi sono rassegnata a sentirle solo sul momento, sapendo che prima o poi si perderanno nel marasma dei ricordi. Le immagini e la composizione delle situazioni specifice se ne andranno, però so che manterrò il ricordo dell’intensità e della genuinità dell’emozione provata.

Per i bambini, come previsto, eravamo un’attrazione. Provavano le poche frasi in inglese imparate a scuola: welcome, hello, welcome to Egypt, happy new year. Ho sentito un dito che mi toccava la spalla. Volevano sentire se avevamo la loro stessa consistenza?

Una vecchina ottuagenaria ci ha seguita continuando a dire “hello”, e poi toccandoci. Voleva soldi. Gli uomini ci guardavano come esseri strani, ma non erano molesti. In generale sembravano rispettosi; o forse sono timidi. Abbiamo preso del pane in una delle bancarelle sulla strada, quella che ci sembrava più pulita. Per il resto, davvero il peggio della sporcizia...e poi capre, conigli, galline, gatti, cani...L’atmosfera era serena comunque. Abdel l’altro giorno mi ha detto che gli egiziani “are not angry with their lifes”. Stanno bene nella loro situazione, è vero, almeno così sembra. Certo, il loro fatalismo certamente aiuta.


E’ finita la settimana di spaesamento. Ora sta iniziando l’appropriazione di questa città. E piano piano mi staccherò dal mio passato più recente, sfumandone i ricordi e passando definitivamente al capitolo successivo.Mi sento già meglio. La casa e la presenza di Sara certo fanno tanto, e anche aver aperto un conto in banca. Ora sono in quel periodo dove è grande l’impulso a scoprire, e nello stesso tempo ci si sente un po' più a proprio agio, seppur ancora disorientati.



Lunedì 25 febbraio 2008

Lo smog mi uccide. E ho paura dell’acqua del rubinetto. Oggi durante il security briefing il tipo mi ha terrorizzata a suon di “virus that squat in you liver”. Penso a quanto ne risentirà il mio fisico per questo anno qui. Sogno le colline toscane, gli aperitivi all’aperto, le strade di Roma, la possibilità di mettermi un bel vestito, i giri in bicicletta. Quanto è malsana la vita qui. E loro non lo sanno, camminano tranquilli nello smog. E mi chiedono perché mi imbavaglio, e io cerco di fargli capire che quello che respirano è avvelenato, ma loro mi guardano come pazza.
***
Due giorni fa un mio collaga, Mohamed, mi ha chiesto se potesse farmi una domanda.
-
Do you live alone or with your husband? Are you married?
– No, I am not married. Here I live alone, for the moment I am hosted by a friend
– Ah, do you live with a friend?
– Yes, an Italian girl, but I will move soon to live alone.

Solo a quel punto mi ha detto che se mi può far piacere, mi potrebbe accompagnare a visitare la Old Cairo. Io gli dico di sì che mi interesserebbe molto - anche se non sono molto convinta di andare con lui. -
And obviously it’s for free, you can trust me, I do not want anything, you know what I mean...!- ha aggiunto.

Non sono sicura di capire cosa intenda in realtà, ma certo
all’inizio credevo che si interessasse del mio stato civile per fini suoi...in realtà era solo per constatare le precondizioni per invitarmi: credo che se fossi stata sposata non avrebbe mai osato invitarmi! Ha poi voluto sottolineare come non ci fosse nessun interesse sotto.



2. L'arrivo


Domenica 17 febbraio 2008

Sono atterrata ieri.

Questa sensazione la conosco, ma quando mi prese a Santiago del Cile non era tanto forte.

E’ un senso di smarrimento, che quando ti guardi intorno ti chiedi che diavolo ci fai lì. In questo paese così vicino e così lontano. Il Latinoamerica in confronto è dietro l’angolo. Provi a proiettarti fra 10 mesi e pensi che non ce la farai mai a sopportare un anno in queste condizioni. Provi a immaginarti quanta vita scorre là dove hai lasciato le persone a cui vuoi bene, e pensi che non riuscirai mai più a colmare la frattura, anche se continui a ripeterti che l’esperienza ti ha dimostrato che non è vero.

La realtà è che sei tu che hai paura di cambiare, di perdere il controllo di quello che sei ora, coi tuoi gusti, le tue esigenze, i tuoi amori, le tue priorità. Sai che il cambiamento è ineluttabile, e così intrinseco che non hai modo di controllarlo. Hai paura di ritrovarti fra un anno senza riconoscerti, senza più sapere che posto andare a rivestire nella società che a malincuore hai appena lasciato, e nella quale avevi abbozzato finalmente un percorso in cui ti riconoscevi e identificavi. E ora che cos’è questo lavoro che mi ritrovo? E’ ora in grado di sopperire a un mio bisogno esistenziale? No...Dove ero io ora? In un mondo fatato, è vero, però era diventato per una volta il mio mondo.


Non ho internet a casa né skype in ufficio. Non ho un posto mio ancora, sono lontana dal lavoro. Avere punti di riferimento in arabo è impossibile, e anche ricordarsi le parole e i nomi delle vie. Conosco già questo senso di straniamento, ma è pur sempre sgradevole. Almeno con le lingue europee riesci ad orientarti, qui invece....è arabo.

Anche a Santiago i primi due giorni ho reagito così. Mi ricordo che avevo il magone, che mi mancava tutto, e qualsiasi sciocchezza mi infastidiva: il fatto di non poter buttare la carta igienica nel water, il sapore di cloro dell’acqua, il freddo mentre facevo la doccia, le strade inquinate. Ma dopo una settimana mi ero fatta conquistare dai colori, e dopo un mese non volevo più andarmene.

Ora so che tutto questo malessere dipende solo dalla casa, che è per antonomasia sinonimo di abitudine. Datemi delle abitudini. Non ce la faccio più a ribaltare sempre tutto, a rifare sempre gli stessi processi. Casa, trasporti, sim card, banca, collegamento internet, esplorazione negozi, registrazione al consolato...La mia testa è un intruglio di codici e numeri pin.


Oggi è stato il primo giorno di lavoro, un lavoro bellissimo, quello per cui ho investito tutto, e rinunciato a tanto…Ma non riesco ad esserne entusiasta. Vorrei quello da cui sono sempre scappata: avere la tranquillità di una vita regolare, in una bella città, con il sole, e una dimensione pedonale. Un lavoretto decente ma non per forza super figo, che mi dia i soldi giusti per poter vivere decentemente e metter qualcosa da parte. Arrivare a casa a un ora decente e chiacchierare con un amico davanti a un bicchiere, rilassarmi, curare il mio corpo in palestra, vedere un film con qualcuno, leggere e leggere.


O forse ho semplicemente perso, o meglio, appagato, quella vena antropologica che mi ha sempre spinto ad assimilarmi ai luoghi per poterne cogliere l’anima. Ora preferisco molto di più un’osservazione distaccata, ma pur sempre acuta. Non ho più quella voglia di andare dentro l’altro e il diverso per forza, di capire la sua forma mentis, il perché fa certe cose. Mi piace prendere atto delle sue abitudini, quello sì.


Credo che il mio punto di massima espansione, come lo chiamava P., sia stato toccato. Ora è il tempo del raccoglimento. Credo che dovrò cercare di sistemarmi al più presto, tranquillizzarmi, farmi una buona connessione Internet, concentrarmi sul lavoro, per fare un buon lavoro, e poi cominciare a mandare cv a Bruxelles.
Non ho tanta voglia di uscire al momento. Bruxelles mi ha estenuato nell’ultimo anno. Forse mi verrà tra un paio di mesi...Credo non ci sia nulla di male ora a prendersi un po’ di tempo per ricaricarsi. La città me la godrò più avanti.


***


Non è scontato niente. Non è scontata la salute, non è scontata l’aria che respiri, la sicurezza delle case in cui vivi, delle strade, degli ascensori o delle macchine che guidi, o i controlli sul cibo.

Ho ingurgitato quintali di piombo. Il Cairo è perennemente avvolta dalla nebbia…solo che è smog. Questa città non contempla l’esistenza della parola “pedone” ed è continuamente congestionata dal traffico. Ho marciato in lungo e in largo, cercando di passare da un ponte all’altro del Nilo. A un certo punto mi sono ritrovata su un raccordo – per nulla pedonale – camminando in salita in un marciapiede di 10 cm, interrotto regolarmente da pali della luce, ai quali dovevo attaccarmi ruotando per poter continuare a camminare sulla stretta striscia senza cadere sulla strada dove le macchine sfrecciavano.

Le strade in generale non sono attraversabili, e ovviamente mancano le strisce pedonali. Ci sono militari ad ogni angolo, ma ancora non ho capito a fare cosa, se non per morire di cancro fra 5 anni. L’aria è irrespirabile, e ciononostante le persone passeggiano sui ponti e si affacciano alle balaustre per guardare il Nilo, che sì, è affascinante.

Ieri, primo giorno, mi hanno mandato l'autista; domani dovro' andare al lavoro da sola. Vedremo come...!


Lunedì 18 febbraio 2008


Oggi A. mi ha mandato una mail. Discreta e asciutta. Mi rendo conto di come, se avessi qualcuno accanto, sarebbe comunque questo tutto quello che vorrei. Qualcuno che sappia entrare poco a poco in me, che non rischi di interrompere gli andirivieni dei miei umori con il suono imposto della voce; ma che si insinui semplicemente nei miei pensieri, tramite poche parole, radicandosi così in maniera più uniforme dentro di me. Quanto invece mi sentivo graffiata dalla videocamera in skype...Ogni giorno, stessa ora, e la schiavitù della voce e della telecamera.

Mi rendo conto di quanto sono sfuggevole. E di quanto il mio mondo interiore sia intricato, e non riesca a sintonizzarsi sulle frequenze esteriori. In questi giorni Sara, che mi ospita, deve starsi chiedendo che cosa mi spinga a chiudermi in camera mia alle 20.30, col mio computer, a scrivere – come le dico.


E’ la mia esigenza di districare i fili, di dipanare la matassa quotidianamente, per poter controllare bene i fili del burattino la mattina dopo. Non riesco a gestire più di tanti input. E ho capito che ho un bisogno quotidiano di farne tabula rasa, ovvero, di digerirli con me stessa.


Questa notte sono riuscita a riposare - inaspettatamente, dato lo stato d’animo di ieri sera – e mi sono svegliata molto bene. La soluzione taxi + metro per andare al lavoro ha funzionato, e mi sono tranquillizzata.


E già entro in quello stato in cui ci si avvicina alle persone, come a Lara per esempio, o Liliana, una signora italiana che ho conosciuto oggi. In fondo, li conosco già gli stadi di adattamento.


Ciao A.,

il viaggio è andato bene, con tanto di solita gente che non è disposta a capire quando qualcuno preferisce ascoltare l’ipod piuttosto che parlare tutto il tempo...


La città è strana...Non riesco a dire che è bella perché i due quartieri che ho visto esteticamente non lo sono, però l’atmosfera mi piace. Credo che abbia tanto da offrire, ora cercherò di scoprirlo. Tutti mi hanno detto che è una città molto sicura, anche per girare da soli. Gli egiziani sembrano proprio tranquilli, a parte che forse osservano un po’.


Ieri per tornare a casa ho preso la metro. Mi sono infilata in un vagone, a caso, e mi sono accorta che erano tutte donne. Insomma, uno dei vagoni centrali è riservato a sole donne. Per fortuna che mi sono infilato in quello giusto! Quando sono uscita dal mio vagone ho visto gli altri che letteralmente straripavano ed erano tutti uomini, aiuto! Forse ci vanno solo le donne di una certa età.


Poi ho preso il mio primo taxi scassato, dopo aver finalmente desistito (dopo quintali di piombo inalato) dal fare l’ultimo tratto di strada a piedi, cercando disperatametne di capire come evitare i raccordi, impossibili da attraversare, che passano attorno al Nilo. Sta mattina mi sono svegliata con quella sensazione di quando hai fumato più del tuo numero solito di sigarette. Ho inoltre capito che il rischio più grande che correrò è quello di essere investita da una macchina. Ho anche scoperto che la mia patente qui non è valida, e sono molto disappointed, ma forse è un bene che non possa gettarmi in questo traffico.


Non ho ancora visto il centro, ci andrò questo weekend. Il Nilo è affascinante, e ci sono vari locali e giardini lungo le sponde. Ma per il resto anche il quartiere che dicono essere un po’ più residenziale e caro (dove lavoro io), in certe parti a me pare comunque popolare...


L’inglese qua non è che lo mastichino così tanto bene per la strada. Era tanto che non mi capitava di sentirmi così completamente incapace di comunicare. Poi per quanto riguarda la trascrizione in alfabeto latino...ognuno ha la sua versione e non si capisce mai se si sta parlando dello stesso posto. Appena trovo una casa e mi sistemo, corso di arabo. Va beh, comunque in fondo è un po’ come stare a Napoli ;)


In ufficio non posso installare skype e Sara non ha internet a casa per cui in questi giorni sono un po’ isolata. In compenso ho un nuovo numero egizio: 02 016 9010772


A presto,
Margot