Ancora mi dico di restare qui, mi contraddico in continuazione e non prendo una decisione.
Poi penso che non ce la posso fare, che questa è una vita a metà; il fatto che abbia trovato un modo mio di affrontare questa realtà, non vuol dire che ci stia bene e che mi realizzi.
Fondamentalmente è limitante, ecco tutto. Manca la libertà, molto semplice. E questo è un cancro che ti si deposita negli atteggiamenti fino a che non te ne accorgi più, fa parte di te e pensi che sia la tua pelle, ma non è vero, non sei tu. E io non voglio essere la persona che sono qui.
Ieri mi ha chiamato A. Telefonata tranquilla e serena. Gli ho parlato della mia situazione. Lui mi diceva, dai, che è una vita emozionante, pensa a chi deve timbrare il cartellino tutti i giorni. Ma non è quello...(e magari! Quasi, ho voglia di annoiarmi a timbrare il cartellino...). Non si può capire. Lui non può capire.
Gli ho parlato di tutto il vuoto affettivo che una vita così provoca.
Dei genitori che gli devo fare io da genitore.
Della nonna che chiude ogni telefonata con le stesse parole: “spero di riuscire a rivederti”.
Degli amici che sono gli unici su cui puoi contare ma che sono lontani. Del dolore che è stato lasciare Bruxelles - e in quel momento la voce mi si è rotta per il pianto ma sono riuscita a nasconderlo.
Delle storie sentimentali, che non ti puoi mai lasciare andare perché sai che te ne devi andare, ed ergi ormai un muro a proteggerti, insormontabile, o invisibile per i più.
Delle persone che conosci, che a un certo punto non ti vuoi più dare, perché lo spazio dentro di te è già occupato, e perché comunque sei stanco di investire per poi dovertene andare.
Dei tuoi colleghi, i veterani della cooperazione, single, separati o ancora in coppia, ma comunque o scoppiati, o depressi, o disadattati, o cinici, o che è peggio, ancora bambini, illusi, eterni playboy ed egoisti, che si appoggiano a te, che sei giovane. Sono pochi a stare bene.
E’ una vita atomizzata.
Questo lavoro è più di un lavoro; ti chiede la vita! Ti chiede di mettere da parte te stesso e la tua vita, per dedicartivi. Ma non è possible farlo se non si possa contare su un “contrappeso” emozionale, emotivo. Si deve avere una qualche fonte d’amore, se no questa dimensione ti risucchia. Se non hai un sostegno alle spalle, affettivo, o per lo meno psicologico, non ce la puoi fare a metabolizzare l'umanità e le difficoltà che ti circondano. Sapere poi che le cose nella tua famiglia non vanno bene, è un’ulteriore aggravante, che ti rende debole.
Tuttavia, di nuovo, se pure si avesse un partner nella vita privata, vedo che molte volte le storie vanno a finire male dopo un po’ di anni di questa vita. Decisamente credo che la possano fare solo persone con un dispositivo emotivo, umanistico ed estetico diverso dal mio. Forse persone più pragmatiche, o più stabili.
Margot to Eleonora 12:05 AM
Cara Ele,
sono contenta di sentirti e immaginarti nella tua casetta immersa nel verde, sul mare. E' un'immagine da favola! Per favore, appena puoi mandaci delle foto!
Ovviamente, al di là dei sogni, so come siano le prime settimane...tieni duro! Sai, continuo a parlare con persone che magari mi invidiano per quello che faccio (e per carità, adoro quello che faccio!), ma sento proprio un gap e l'impossibilità di fargli capire che non è tutto rose e fiori quando ti trovi a vivere in queste circostanze! In due comunque deve essere diverso...
Io al Cairo come hai detto tu ho trovato il mio equilibrio, seppur fatto di incorporamento delle limitazioni. Di fatto, si tratta qui di imparare a gestire la mancanza di libertà. Non c'è altra scelta. Poi, quando ti sembra di esserti finalmente abituato, ti svegli un giorno e ti dici che non sei tu quella, e che no, non puoi vivere così! Ma va bene, è un'esperienza di vita, e interculturale, intensissima.
Torno in Europa a dicembre. Ora non ho ancora cominciato a cercare lavoro. Ora mi devo buttare...mancano solo 3 mesi. Però non sono più preoccupata come una volta. Mi sento molto più self confident, e anche appagata per quanto riguarda le mie esperienze, e questo dà tranquillità.
Ovviamente, al di là dei sogni, so come siano le prime settimane...tieni duro! Sai, continuo a parlare con persone che magari mi invidiano per quello che faccio (e per carità, adoro quello che faccio!), ma sento proprio un gap e l'impossibilità di fargli capire che non è tutto rose e fiori quando ti trovi a vivere in queste circostanze! In due comunque deve essere diverso...
Io al Cairo come hai detto tu ho trovato il mio equilibrio, seppur fatto di incorporamento delle limitazioni. Di fatto, si tratta qui di imparare a gestire la mancanza di libertà. Non c'è altra scelta. Poi, quando ti sembra di esserti finalmente abituato, ti svegli un giorno e ti dici che non sei tu quella, e che no, non puoi vivere così! Ma va bene, è un'esperienza di vita, e interculturale, intensissima.
Torno in Europa a dicembre. Ora non ho ancora cominciato a cercare lavoro. Ora mi devo buttare...mancano solo 3 mesi. Però non sono più preoccupata come una volta. Mi sento molto più self confident, e anche appagata per quanto riguarda le mie esperienze, e questo dà tranquillità.
Io ti auguro tutto il meglio e sono ansiosa di essere aggiornata. Un abbraccio!
Margot
[Si veda anche Vita da cooperante e Molteplici vite]
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