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2. Una scuola in Fayoum

Mercoledì 03 settembre 2008

Oggi sono andata al Fayoum a vistiare una scuola per accompagnare una giornalista. La classe era mista, in sesso ed età. In maggioranza erano ragazze, in linea con gli obiettivi del progetto.

Presa dall’entusiasmo e dalla tenerezza ho cominciatoa fotografare tanto, mentre la giornalista girava con la sua telecamera. I bambini guardavano fisso in camera ma non sorridevano. Cercavo di catturarne un sorriso, ma non ci riuscivo. 


Dopo un po’ sono riuscita a conquistare quattro di loro, che si sono messe a sperimentare la macchina fotografica. Mi faceva un po’ impressione lasciarla in quelle mani, ma quelle risa non avevano prezzo. Con altri invece, non c’è stato modo. 



C'era una bambina molto bella, dagli occhi azzurri e il velo fucsia, con lo sguardo perso. Per tutta la durata della nostra visita, non sono riuscita a cogliere alcun guizzo di presenza nei suoi occhi. Era come spenta. Un suo compagno, accanto, mi guardava con diffidenza.



                                                                       
La giornalista ha chiesto di poter seguire a casa una bambina dopo la lezione. Era per me la più bella. Vestita con una tunica beige lunga e un velo nero dai ricami dorati, timida; una di quelle che non sono riuscita a catturare e che fuggiva sempre l’obiettivo. 



Siamo passati attraverso stanze senza luce, dalle mura non intonacate e il paviemento di terra e paglia, forse sterco. Abbiamo salito gradini fatti di sassi sbilenchi, tra un sacco di cipolle, una bombola del gas, quattro pentole per terra e il giaciglio della capra. Siamo entrati in quella che era la sala da letto, o il salotto. I muri spogli, i tappeti a terra su cui stare scalzi, e solo una piccola televisione rossa accesa, in bianco e nero e con l’antenna, di quelle che ancora si trovavano all’inizio degli anni ‘80. Mi ricorda quella arancione che avevamo nella casa della nonna. 




La bimba a casa si è tolta la tunica – che ho capito essere il vestito buono per andare a scuola – e il velo. La giornalista era molto dolce. Ha acceso la telecamera, l’ha ripresa mentre faceva i compiti, e poi le ha fatto le domande. La bimba rispondeva con un filo di voce e gli occhi sgranati. Era timida, era imbarazzata, non sapeva che succedeva. La mamma la incalzava con dolcezza, e la aiutava a finire le frasi. Io ho fatto qualche foto. 


                         


Dopo, mamma e figlia ci hanno portato nei campi e la bimba ci ha fatto vedere come, dopo i compiti, aiutava la madre a tagliare l’erba per gli animali.  


Il giorno dopo sono stata male per la mia avidità di immagini. Mi chiedevo perché questi bambini non riuscissero a scioglierci, e sapevo già la risposta, come poi mi ha confermato Khaled. Sono bimbi abituati a sentire le maestre descrivere la loro situazione miserevole e di bisogno, e sono stanchi di essere fotografati per quella che hanno capito essere la loro povertà

5. Khan el-Khalili e Bab Zuela

Sabato 23 febbraio 2008

Ieri con Sara siamo andate ai mercati di Kan Al Khalili (quello turistico) e Bab Zayla (fuori dagli itinerari noti), addentrandoci sempre più nella parte popolare. Ora capisco perché Zamalek è considerata essere la zona bene. Ho comprato delle sciarpe bellissime per 3 euro e un paio di ciabattine rosse fiammanti. Il contatto con questa vita brulicante è bellissimo. E’ inutile che a parole descriva atmosfera e colori.

Purtroppo non riesco nemmeno a fare foto in queste circorstanze. Sento di rompere l’osmosi con le persone, e interromperei lo scorrere delle emozioni sul mio corpo, proiettandomi in una dimensione estranea, risucchiando e annientando la spontaneità dei loro sorrisi, o incanalando forzatamente la direzione dei loro sguardi. So che non posso più fotografare le scene che amo di più. Un po’ mi sono rassegnata a sentirle solo sul momento, sapendo che prima o poi si perderanno nel marasma dei ricordi. Le immagini e la composizione delle situazioni specifice se ne andranno, però so che manterrò il ricordo dell’intensità e della genuinità dell’emozione provata.

Per i bambini, come previsto, eravamo un’attrazione. Provavano le poche frasi in inglese imparate a scuola: welcome, hello, welcome to Egypt, happy new year. Ho sentito un dito che mi toccava la spalla. Volevano sentire se avevamo la loro stessa consistenza?

Una vecchina ottuagenaria ci ha seguita continuando a dire “hello”, e poi toccandoci. Voleva soldi. Gli uomini ci guardavano come esseri strani, ma non erano molesti. In generale sembravano rispettosi; o forse sono timidi. Abbiamo preso del pane in una delle bancarelle sulla strada, quella che ci sembrava più pulita. Per il resto, davvero il peggio della sporcizia...e poi capre, conigli, galline, gatti, cani...L’atmosfera era serena comunque. Abdel l’altro giorno mi ha detto che gli egiziani “are not angry with their lifes”. Stanno bene nella loro situazione, è vero, almeno così sembra. Certo, il loro fatalismo certamente aiuta.


E’ finita la settimana di spaesamento. Ora sta iniziando l’appropriazione di questa città. E piano piano mi staccherò dal mio passato più recente, sfumandone i ricordi e passando definitivamente al capitolo successivo.Mi sento già meglio. La casa e la presenza di Sara certo fanno tanto, e anche aver aperto un conto in banca. Ora sono in quel periodo dove è grande l’impulso a scoprire, e nello stesso tempo ci si sente un po' più a proprio agio, seppur ancora disorientati.



Lunedì 25 febbraio 2008

Lo smog mi uccide. E ho paura dell’acqua del rubinetto. Oggi durante il security briefing il tipo mi ha terrorizzata a suon di “virus that squat in you liver”. Penso a quanto ne risentirà il mio fisico per questo anno qui. Sogno le colline toscane, gli aperitivi all’aperto, le strade di Roma, la possibilità di mettermi un bel vestito, i giri in bicicletta. Quanto è malsana la vita qui. E loro non lo sanno, camminano tranquilli nello smog. E mi chiedono perché mi imbavaglio, e io cerco di fargli capire che quello che respirano è avvelenato, ma loro mi guardano come pazza.
***
Due giorni fa un mio collaga, Mohamed, mi ha chiesto se potesse farmi una domanda.
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Do you live alone or with your husband? Are you married?
– No, I am not married. Here I live alone, for the moment I am hosted by a friend
– Ah, do you live with a friend?
– Yes, an Italian girl, but I will move soon to live alone.

Solo a quel punto mi ha detto che se mi può far piacere, mi potrebbe accompagnare a visitare la Old Cairo. Io gli dico di sì che mi interesserebbe molto - anche se non sono molto convinta di andare con lui. -
And obviously it’s for free, you can trust me, I do not want anything, you know what I mean...!- ha aggiunto.

Non sono sicura di capire cosa intenda in realtà, ma certo
all’inizio credevo che si interessasse del mio stato civile per fini suoi...in realtà era solo per constatare le precondizioni per invitarmi: credo che se fossi stata sposata non avrebbe mai osato invitarmi! Ha poi voluto sottolineare come non ci fosse nessun interesse sotto.