4. "Fa' ogni giorno una cosa che ti piace"

3 gennaio 2009

E così si conclude il mio anno in EgittoBello e brutto…ma di tutto troppo! Insostenibile, straripante, travolgente, inquietante, lacerante. Si conclude, penso, anche una parte della mia vita, quella del “DEVO fare” (per dimostrare a me stessa, o a…); ora spero di riuscire a gestire la fase del “voglio fare” e “mi piace fare”. Non sono più abituata a seguire i miei desideri. Mi devo rieducare. Non so più cosa mi piace. Disegnare? Suonare? Cantare? Fare i collage? Leggere?

Cerca di fare ogni giorno almeno una cosa che ti piace”. Così mi ha detto Martina due giorni fa. Quello che ho fatto oggi è decorare l’agenda del 2009; un rituale, la scelta di un’immagine d’arte, che ormai da quattro anni non facevo più, da quando ho finito l’università e ho iniziato a lavorare. Il pezzo d’arte di quest’anno sarà…il disegno un bambino egiziano, Ibrahim!


Propositi per il 2009:
- più stabilità e colori.
- Valorizzare i miei scritti.
- Smettere di fare sempre l’esatto contrario di quello che sento d’istinto.

Ma questa autocensura della creatività, quel silenzio, era il mio stato mentale. Il paraocchi un po' masochista che mi sono messa in questi quattro anni per sfidare tutto e tutti, il mio passato, i miei istinti, i miei piaceri, l’arte, la mia famiglia…

Ho trascurato tutto ciò. Solo lavorare, pianificare, scrivere, futuro e tensione. Volere esplorare al massimo, vivere tante vite contemporaneamente, ma anche trascurare il bello, il gusto della vita, delle piccole cose, dell’arte, per un percorso per forza di cose funzionale. Anche se sì, ho avuto il bello di tante persone indimenticabili e di tante lingue ed emozioni.

Ho bisogno di cultura pura, nuda e cruda, quella che ho maltrattato da circa dieci anni. E’ bisogno di storia, libri, bancarelle di libri usati. Andare a teatro, a una mostra, a un concerto. Mangiare le cose buone, cucinare con pazienza, andare al mercato e scegliere le cose particolari. Comprarsi un bel vestito, combinare colori, collane e orecchini. Pettinarsi in maniera diversa. Avvolgersi in coperte belle, e perché no, guardare un programma in televisione senza dover per forza dimostrare di essere critica, colta e selettiva.


Matteo: (...) sono diviso tra la voglia di avere una vita piena di colore e una serie di tiranti che mi ancora al calore. Quanto più profonde sono le radici, tanto più crescono i rami, dicevano. E se i rami si spezzano, sono cazzi. Le mie radici stanno ben piantate, e con quelle faccio i conti.

Margot: Il colore senza il calore diventa grigio. Questo è quello contro cui ho sbattuto il naso quest' anno, non senza delusioni e messe in discussione personali. Ho deciso che non voglio vedere il colore da dietro una lastra grigia, senza poterlo toccare. La poesia nelle cose è tutto e io qui non riuscivo più a trovarla, e non credo sia una questione di Cairo. Non so ancora come né dove dovrò rimiscelare gli ingredienti. Ma mi sa tanto che è solo il calore che ti fa trovare il colore.

*** La storia di questo blog ***

Il mio nuovo blog: Equilibrio Variabile
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3. Molteplici vite

Sicuramente, se non ho vissuto appieno questa esperienza, è stato perché metà del mio cuore questa volta è restato in Europa.

In tutte le altre “nuove vite” (a Bruxelles in Erasmus, in Cile, e di nuovo a Bruxelles) la parola d’ordine è sempre stata “stacco col passato e ricomincio da capo”, piazza pulita, nuova identità. In tutte sono partita con la sensazione di un nuovo inizio, e che sarebbero durate – tant’è che la mia impressione è proprio  di avere vissuto molteplici vite assieme, ognuna con un suo sistema di priorità diverso...(prima o poi dovrò fare una lista degli scenari diversi e delle diverse prospettive che ho attraversato, a volte così tanto diverse da non riuscire a riconoscermi a distanza di pochi mesi, dopo il passaggio da una vita all’altra…). 12 case in 10 anni, 4 lingue, 5 lavori in 3 anni, 4 paesi in 4 anni.    

Questa volta invece non sono riuscita a calarmi in questa vita. Ho rifiutato l’Egitto, la lontananza. Ho vissuto questa esperienza come “una cosa da fare”, un “dente da togliersi”, ma senza dargli anima, e – per la prima volta nella mia vita – con la certezza, già decisa, del ritorno.

Tanto tempo da sola. Per scelta, per la stanchezza di conoscere nuove persone, raccontarsi da capo, da zero, spiegarsi, per il dolore di doverle lasciare. Ho capito che per quanto siano belle le esplorazioni ed esperienze che si possono fare, non ho più voglia di farle da sola o di condividerle con persone di passaggio. Non mi riesco a godere più nulla che consideri temporaneo e volatile, per quanto bello sia. Voglio qualcosa che senta mio. Sono stanca di investire energie in cose provvisorie, siano esse lavori, una casa, persone. Mi sento di vivere in una bolla.

Voglio trasmettere quello che ho imparato e sentito alle persone che compongono lo zoccolo duro della mia vita. Ho pensato a chi mi vuole davvero bene e a quello che mi fa stare bene. Sono diventata più diretta e calma. Rido meno e vado dritta al dunque. Ho imparato a dire no, a filtrare, a chiedere le cose in maniera meno ossequiosa.

2. A chi interessa lo "sviluppo"?

3 gennaio 2009

Penso che questa development cooperation non serva a niente – almeno fatta in questo modo, dall’alto.

Mercato tra un cavalcavia e l'altro
È noto che a “certi” stati non glie ne frega niente di “svilupparsi” e di sollevare le masse dall’ignoranza, ma vogliano solo i soldi della cooperazione, per progetti che poi non si impegnano a sostenere e i cui benefici non riescono a propagarsi alla maggioranza della popolazione.

Tuttavia, sono furbi abbastanza per mantenere il giusto equilibrio tra l'implementazione di progetti governativi - di fatto di tipo per lo più assistenzialistico - e il mantenere le masse in una situazione di dipendenzaprecarietà, in modo da alimentare e giustificare all'infinito il bisogno di fondi e supporto da parte dei paesi più sviluppati

Non è un segreto per gli egiziani che l’obiettivo di Mubarak sia di dare da mangiare a tutti, ma non abbastanza per permettergli di superare quella soglia di soddisfazione che dai bisogni primari porta a potersi occupare dei bisogni secondari, come cultura, educazione, qualità della vita, rispetto, fino a senso dell'armonia e bellezza

Ebbene sì, ricomincio con la bellezza, e ne rivendico il suo ruolo nel percorso di arricchimento spirituale dell’individuo, nello sviluppo della sua sensibilità e di valori…e se vi sembra stia parlando di frivolezze, spero che queste foto seppur poche riescano a instillare un'idea di atmosfera, per meglio comprendere qual è il livello di bruttezza/bellezza a cui mi riferisco...). 

Centro: palazzo antico "incorniciato"
E se poi vogliamo parlare di bisogni secondari, parliamo del fatto che per fare ristrutturare i palazzi stupendi e fatiscenti del centro aspettano i soldi francesi, giapponesi o italiani, perché a loro, a quelli in alto, non glie ne frega nulla di preservare la loro cultura e architettura. Il teatro dell'Opera in centro è ancora carbonizzato, e il progetto del nuovo è stato curato totalmente dai giapponesi. 

Grattacieli sul Nilo con smog
I soldi non li vanno a chiedere ai rozzi e grassi nuovi ricchi, quelli che dicono che il centro è “vecchio”, e Dahab “primitiva”, ma a cui piacciono i grattacieli sul Nilo e le scenografie posticce dei resort di Sharm El Sheik, perchè sono “moderni”; per cui la massima aspirazione è il lusso (innumerevoli sono le campagne pubblicitarie che, sotto vari aspetti, utilizzano la parola “luxury”: non ho mai visto in  Europa questo valore veicolato tanto esplicitamente e tanto spesso!); quelli per cui distinguersi dalle masse povere coincide con ostentazione di arroganza, onnipotenza e spreco – ovvero quell’atto di compiaciuta leggerezza che ci fa sentire tanto spensierati e potenti, con cui buttiamo, buttiamo per terra, buttiamo via, perché tanto se ne può avere ancora, se ne può comprare uno nuovo (magari in Europa o negli Stati Uniti), e c’è sempre qualcun’altro che pulirà; quelli per cui a 18 anni i ragazzi di buona famiglia ricevono la loro macchina, come fanno gli americani, (e ovviamente non un utilitaria, perché la macchina piccola non sta bene).

Questo per chiudere il cerchio di nuovo, e confermare che questo benedetto sviluppo (e a cosa serve l'inserimento di questi nuovi indici compositi per tenere conto dello sviluppo umano…?), volontariamente o no, è perentoriamente e prettamente economico, allargando non solo - ovviamente - le frontiere del nostro commercio e profitto, ma soprattutto esportando le parti peggiori della nostra cultura del consumo!

Certo la situazione internazionale sta dimostrando come gli equilibri non siano già più gli stessi. Non siamo più gli unici a comandare, e anche in tema di cooperazione internazionale non siamo più soli. Ci sono i cinesi. 

(Si legga anche Gabbie dorate)

Sotto il cavalcavia

1. L'uomo della frutta

2 gennaio 2009
In tutto questo tempo non ho ancora mai parlato dell’uomo della frutta.

Una donna occidentale che abita da sola, oltre a rappresentare un’attrazione misteriosa e una sfida intrigante per quanto riguarda la sua vita privata – e la possibilità di inserirvisi a vario titolo – è anche una fonte di interesse commerciale.

In una delle tante misteriose scampanellate ricevute alle ore più bizzarre, una volte mi sono ritrovata davanti alla porta l’uomo della frutta. Ha un botteghino giusto dietro l’angolo della mia strada e conosce i miei bauab (sicuramente sono stati loro a spedirmelo…).

Nonostante le mie prime esitazioni, questi egiziani sanno lusingare e a loro modo conquistarti. Per sapendo che mi sarebbe stato riservato un prezzo maggiorato di almeno il doppio (comunque poco per i nostri standard), mi sono fatta convincere dalla comodità di avere recapitate frutta e verdura fresca direttamente a casa quando più ne avessi voglia.

Ovviamente non potevo immaginare che questo volesse dire scampanellate quotidiane, in quell’orario in cui esausta dal lavoro e dal frastuono, dopo la doccia, ho solo voglia di raccogliermi in casa con me stessa, i miei libri e le mie coperte, e non parlare con nessuno, tantomeno gesticolare in arabo! (Quell’orario per me inizia alle 19.30-20.00, quando torno dalla palestra…ma le scampanellate potevano giungere anche dopo le 21.30 e passa…Infine ho imparato a ignorarle).

L’omino mi si presenta con un cestone pieno di frutta e verdura che basta per una famiglia per una settimana. Prima che io riesca a dire qualcosa, si fionda dentro casa e appoggia il cestone (non proprio pulito) sul tavolo in salotto e comincia a tirare fuori tutto… A poco serve indicare con precisione quali pezzi si desiderano, perché – pena l’esaurimento per stare a contrattare tre ore – sarai comunque costretta a comprarne molti di più di quelli che ti servono.

Questo è quello che è successo le prime due volte, perché a lui non mi andava di trattarlo male, in fin dei conti mi pareva un uomo per bene. Alla terza però sono diventata molto più irremovibile. Il fatto purtroppo è che per averla vinta non è sufficiente ripetere fermamente…ma si deve arrivare a urlare, altrimenti non la capiscono!

Addirittura una volta, nell’intento di mostrarmi il succulento interno di un frutto, senza chiedere niente si è intrufolato nella mia cucina (in cucina!), e con le mani nere ha cominciato a toccare dappertutto per cercare un coltello…cassetti, ripiano, e ha pure preso un piatto… Io ho avuto giusto il tempo di precipitarmigli dietro urlando di non toccare nulla e di uscire subito di lì! 

Ho capito perché loro urlano tutto il tempo. La gentilezza non paga, e specialmente da parte di una donna occidentale. Se li si tratta in maniera educata e gentile non otterrai mai ciò che vuoi: ti raggireranno come vogliono e finirai calpestata. E infatti ho dovuto neutralizzare, anzi, indurire la mia espressione, eliminare completamente il sorriso, parlare in modo secco, e troncare la conversazione urlando. Dopo un anno qui, non sorrido praticamente più quando parlo con le persone. Solo che per me questo è altamente snaturante, e soprattutto stancante; è faticoso non sorridere ed essere autoritaria, non ci sono abituata!

Ricordo sempre quando, appena arrivata, sono rimasta del tutto stupita dal fare di Sara, che avevo trovato aggressivo e autoritario… “Colonialista” e poco rispettoso, avevo pensato. Null’affatto. Il più delle volte si è dimostrato essere l’unico modo. 

4. Perché non posso vivere al Cairo

8 dicembre 2008
Devo accettare che non tutte le vite possono fare per noi, e seguire ciò che mi fa stare bene.

• Non riesco a respirare (il Cairo è la città al mondo con la maggiore concentrazione di polveri fini nell'aria). 


• Non riesco a camminare per strada (in quanto non riesco a respirare)


• Ogni mattina mi sveglio coi polmoni chiusi e la gola che raschia, per lo smog del giorno prima. 


• Non posso aprire la finestra quando voglio, per lo smog.

• Non mi sento libera.


• I bauab (portieri) controllano e sanno ogni gesto o movimento e di fatto non posso fare salire liberamente le persone a casa mia (specialmente di sesso opposto). 


• I bauab sono sempre dietro a chiedere mance, per Pasqua, per Ramadam, per l’Aid, per Natale...(ogni festa è buona, non fanno la differenza fra cristiani e musulmani!)


• Non ne posso più di questo pensiero fisso di “coprirmi”. 


• Non so come vestirmi. Qualsiasi cosa mi metto mi sento a disagio. O mi sento un sacco. O mi sento una bigotta negli anni ’50. O mi sento kitch. Ma mai una donna.


• Non sopporto di comprarmi vestiti e poi comunque non potermeli mettere perché non sono mai adatti o “decent”.

• Perché mi passa la voglia quando penso che devo raggiungere un luogo da sola - io che ho sempre fatto qualsiasi cosa da sola.

• Non si riesce a visitare un solo monumento (per non parlare di riuscire a leggere una solo riga da una guida) senza essere molestati. 


• Mi stresso ad attraversare la strada.




• Il suono dei clacson annienta i miei sensi. 


• C’è l’aria condizionata a 17° ovunque e tutto l’anno, quando fuori ce ne sono 45 e quando ce ne sono 15. 


• Non riesco a trovare i libri che voglio.

• Non sopporto questi cavalcavia in mezzo al centro storico


• Non ho ancora trovato un luogo rilassante (non dico verde...) e accessibile (a meno di mezz’ora di auto) in cui distendermi. 


• Il bello, il luogo bello (parchi, giardini, tavoli all’aperto), è tutto a pagamento, o all’interno di compounds (Malls, Hotels) a sottolinearne l’alterità rispetto allo spazio pubblico “normale”, regolare. Non esiste un concetto di bello come pubblico. 


• Non riesco a trovare la poesia in niente. Nemmeno nella decadenza, che è poetica per definizione. Perché qui si va oltre la decadenza. E’ solo spreco, degrado e mancanza di rispetto per il loro unico passato.



Il Nilo. Con la nebbia la mattina. La quantità di persone che ogni giorno passeggiano lungo la courniche, e si affacciano alla balaustra dei ponti, e le coppie che semplicemente lo stanno a guardare con la mano nella mano, questa è l’anima e la poesia dell’ Egitto. Ma non riesce da sola a ripagarmi…

3. Precarietà anestetica

7 dicembre 2008

Non riesco a cercare altro che Internet. 
Ogni rapporto umano ora mi stanca.
Torno a casa stanca e nervosa per l’egoismo di certe persone con chi lavoro, la loro ottusità e cecità.
Chiudo la porta e accendo il computer, canto, ascolto, cerco musica e ritmi latini, rispondo in facebook, chatto (poco), leggo (poco), scrivo (medio). Vorrei solo dormire.

Mi pare di essere in una dimensione parallela in cui nessun oggetto intorno a me abbia più alcun senso. Fra poco meno di due mesi il mio contratto qui si concluderà e io sarò di nuovo in ricerca di lavoro. Dicono che in Europa la situazione sia tragica, per questa crisi.

In casa sono pulita ma sciatta. Tutto è funzionale, ma non sento l’anima in niente.
Non mi sono “appropriata” di niente, così non sentirò la mancanza di niente.

Non mi piaccio così, non sono stata mai così bisognosa di attaccarmi alle piccole cose attorno a me; ma non voglio farlo, ed è per questo che in questa precarietà non riesco a gioire di niente.

Non ho mai sentito un vuoto così. Non è depressione, perché forse ora ne sono immune. Non sono più così insicura di me stessa. È che questa volta non viene dall’interno, ma dall’esterno.

Forse ho avuto una grande delusione di valori. Forse non so più a cosa dedicare la mia vita. Non riesco a trovare gioia in nulla e in nessuno, soprattutto perché sono stanca di dire addio.

Il problema non è trovare le belle persone, quelle si trovano ovunque. È che qui io non le voglio conoscere, non voglio più andare a fondo, non voglio passarci il tempo, non ne ho le energieNessun tipo di occasione sociale fa per me, ora. Nulla mi piace di più che stare in casa. Il mio carattere restio è piuttosto un rifiuto di vivere quello che è temporaneo. Se non voglio fare scampagnate ed esplorazioni con persone che conosco qui, è perché non riesco a essere felice con qualcuno che perderò.

Non vedo molte speranze, non sono molto ottimista. Ho conosciuto centinaia e centinaia di persone e ho trovato gli amici che volevo, ma non ho trovato una persona con cui veramente condividere. Ma forse tutto questo “andare all’estero” è solo uno scappare, è il mio modo di impormi una mancanza d’amore, obbligatoria, invece di scontrarmi con quella della vicinanza, della co-presenza, del possibile rifiuto.

Tra l’altro non riesco a sentirmi più bella. Il mio ventre ha cambiato forma - spero tornerà come prima fra qualche mese. Il mio viso è stanco, la mia pelle opaca e i miei occhi privi di luce. Non ho mai avuto così poca voglia di vivere. O sì, forse ne ho avuto anche meno, ma allora era depressione, disperazione personale, una passione logorante; ora è la mancanza totale di vita e di dolore. Piango spesso, mi sento sempre alla soglia delle lacrime, ma non sento dolore.

Tuttavia non sono cinicaMi commuovo in continuazione in questo paese, per la semplicità dei sorrisi, per la quantità di bambini, che sono energia, e che mi rimandano sempre a quello a cui ho rinunciato. Questa esperienza, l'essere posta di fronte a questa scelta, mi ha segnato, perché mi ha fatto capire cosa vuol dire, a 29 anni, non potere contare su nessun sostegno...E come me una generazione intera.

2. Proposte quotidiane

I taxisti ti sbirciano dallo specchietto retrovisore.

La prima cosa che cercano di avvistare è l’anulare della mano sinistra, per vedere se c’è la fede. Io nascondo le mani, oppure giro verso il basso il mio grosso anello con la pietra nera, così da restare con solo una fascia d’argento. Tanto, qui la maggior parte delle fedi sono di argento.  
Poi cercano di guardarti le gambe.

- Sei sposata?
Sì; no; dipende da come mi gira, da quanto mi sento vulnerabile o da quanto me ne frego quel giorno, e da quanto ho voglia di inventare e giustificare, o di assumermi il mio status di donna "matura" single (il fatto di non essere sposata alla mia età - 29 anni - desta loro seri interrogativi!).

Se è sì
- E dov’è tuo marito?

- Mio marito lavora qui, l’ho seguito/

- Mio marito non c’è, è in Italia.
- In Italia?? E ti lascia venire qui da sola? No good!
- Ma è solo per poco, sto qui per qualche mese.
- E vivi da sola?

- Sì, vivo da sola (sguardi spersi e di disapprovazione. Alcuni dopo questa risposta si tacciono. Altri la prendono come un’incentivo in più a provarci)/

- No, vivo con una mia amica 
      - Aahh...

- E hai figli?
Sì; no; a seconda di come mi sento.

- Sì, ho due figli piccoli.
- Amdullilah. È bello avere figli! Bene bene! /

- No, non ho figli.
- E perché? Non ti piacciono i bambini?
- Sì, certo che mi piacciono, ne avremo presto (mentre penso, sì, certo, mi trovi te uno straccio di uomo che voglia fare figli prima che io abbia 40 anni?)

Se è no (non sono sposata)
- E perché?
- Ma sono fidanzata, ci sposeremo presto.
- E non ti piacciono gli uomini egiziani? Ci sono tanti uomini egiziani sposati con donne italiane sai? [ed effettivamente è vero! E ammetto che in generale gli uomini egiziani oltre ad essere belli, hanno il loro fascino]. Egitto e Italia vanno bene assieme! [mentre avvicina gli indici delle mani e mi fa l’occhiolino dallo specchietto, con un ghigno sdentato].

L’ordine delle domande è un po’ variabile. Possono iniziare coi figli per arrivare solo dopo al matrimonio e all’uomo. Poi tastano il terreno sulla tua morigeratezza.