4. Perché non posso vivere al Cairo

8 dicembre 2008
Devo accettare che non tutte le vite possono fare per noi, e seguire ciò che mi fa stare bene.

• Non riesco a respirare (il Cairo è la città al mondo con la maggiore concentrazione di polveri fini nell'aria). 


• Non riesco a camminare per strada (in quanto non riesco a respirare)


• Ogni mattina mi sveglio coi polmoni chiusi e la gola che raschia, per lo smog del giorno prima. 


• Non posso aprire la finestra quando voglio, per lo smog.

• Non mi sento libera.


• I bauab (portieri) controllano e sanno ogni gesto o movimento e di fatto non posso fare salire liberamente le persone a casa mia (specialmente di sesso opposto). 


• I bauab sono sempre dietro a chiedere mance, per Pasqua, per Ramadam, per l’Aid, per Natale...(ogni festa è buona, non fanno la differenza fra cristiani e musulmani!)


• Non ne posso più di questo pensiero fisso di “coprirmi”. 


• Non so come vestirmi. Qualsiasi cosa mi metto mi sento a disagio. O mi sento un sacco. O mi sento una bigotta negli anni ’50. O mi sento kitch. Ma mai una donna.


• Non sopporto di comprarmi vestiti e poi comunque non potermeli mettere perché non sono mai adatti o “decent”.

• Perché mi passa la voglia quando penso che devo raggiungere un luogo da sola - io che ho sempre fatto qualsiasi cosa da sola.

• Non si riesce a visitare un solo monumento (per non parlare di riuscire a leggere una solo riga da una guida) senza essere molestati. 


• Mi stresso ad attraversare la strada.




• Il suono dei clacson annienta i miei sensi. 


• C’è l’aria condizionata a 17° ovunque e tutto l’anno, quando fuori ce ne sono 45 e quando ce ne sono 15. 


• Non riesco a trovare i libri che voglio.

• Non sopporto questi cavalcavia in mezzo al centro storico


• Non ho ancora trovato un luogo rilassante (non dico verde...) e accessibile (a meno di mezz’ora di auto) in cui distendermi. 


• Il bello, il luogo bello (parchi, giardini, tavoli all’aperto), è tutto a pagamento, o all’interno di compounds (Malls, Hotels) a sottolinearne l’alterità rispetto allo spazio pubblico “normale”, regolare. Non esiste un concetto di bello come pubblico. 


• Non riesco a trovare la poesia in niente. Nemmeno nella decadenza, che è poetica per definizione. Perché qui si va oltre la decadenza. E’ solo spreco, degrado e mancanza di rispetto per il loro unico passato.



Il Nilo. Con la nebbia la mattina. La quantità di persone che ogni giorno passeggiano lungo la courniche, e si affacciano alla balaustra dei ponti, e le coppie che semplicemente lo stanno a guardare con la mano nella mano, questa è l’anima e la poesia dell’ Egitto. Ma non riesce da sola a ripagarmi…

3. Precarietà anestetica

7 dicembre 2008

Non riesco a cercare altro che Internet. 
Ogni rapporto umano ora mi stanca.
Torno a casa stanca e nervosa per l’egoismo di certe persone con chi lavoro, la loro ottusità e cecità.
Chiudo la porta e accendo il computer, canto, ascolto, cerco musica e ritmi latini, rispondo in facebook, chatto (poco), leggo (poco), scrivo (medio). Vorrei solo dormire.

Mi pare di essere in una dimensione parallela in cui nessun oggetto intorno a me abbia più alcun senso. Fra poco meno di due mesi il mio contratto qui si concluderà e io sarò di nuovo in ricerca di lavoro. Dicono che in Europa la situazione sia tragica, per questa crisi.

In casa sono pulita ma sciatta. Tutto è funzionale, ma non sento l’anima in niente.
Non mi sono “appropriata” di niente, così non sentirò la mancanza di niente.

Non mi piaccio così, non sono stata mai così bisognosa di attaccarmi alle piccole cose attorno a me; ma non voglio farlo, ed è per questo che in questa precarietà non riesco a gioire di niente.

Non ho mai sentito un vuoto così. Non è depressione, perché forse ora ne sono immune. Non sono più così insicura di me stessa. È che questa volta non viene dall’interno, ma dall’esterno.

Forse ho avuto una grande delusione di valori. Forse non so più a cosa dedicare la mia vita. Non riesco a trovare gioia in nulla e in nessuno, soprattutto perché sono stanca di dire addio.

Il problema non è trovare le belle persone, quelle si trovano ovunque. È che qui io non le voglio conoscere, non voglio più andare a fondo, non voglio passarci il tempo, non ne ho le energieNessun tipo di occasione sociale fa per me, ora. Nulla mi piace di più che stare in casa. Il mio carattere restio è piuttosto un rifiuto di vivere quello che è temporaneo. Se non voglio fare scampagnate ed esplorazioni con persone che conosco qui, è perché non riesco a essere felice con qualcuno che perderò.

Non vedo molte speranze, non sono molto ottimista. Ho conosciuto centinaia e centinaia di persone e ho trovato gli amici che volevo, ma non ho trovato una persona con cui veramente condividere. Ma forse tutto questo “andare all’estero” è solo uno scappare, è il mio modo di impormi una mancanza d’amore, obbligatoria, invece di scontrarmi con quella della vicinanza, della co-presenza, del possibile rifiuto.

Tra l’altro non riesco a sentirmi più bella. Il mio ventre ha cambiato forma - spero tornerà come prima fra qualche mese. Il mio viso è stanco, la mia pelle opaca e i miei occhi privi di luce. Non ho mai avuto così poca voglia di vivere. O sì, forse ne ho avuto anche meno, ma allora era depressione, disperazione personale, una passione logorante; ora è la mancanza totale di vita e di dolore. Piango spesso, mi sento sempre alla soglia delle lacrime, ma non sento dolore.

Tuttavia non sono cinicaMi commuovo in continuazione in questo paese, per la semplicità dei sorrisi, per la quantità di bambini, che sono energia, e che mi rimandano sempre a quello a cui ho rinunciato. Questa esperienza, l'essere posta di fronte a questa scelta, mi ha segnato, perché mi ha fatto capire cosa vuol dire, a 29 anni, non potere contare su nessun sostegno...E come me una generazione intera.

2. Proposte quotidiane

I taxisti ti sbirciano dallo specchietto retrovisore.

La prima cosa che cercano di avvistare è l’anulare della mano sinistra, per vedere se c’è la fede. Io nascondo le mani, oppure giro verso il basso il mio grosso anello con la pietra nera, così da restare con solo una fascia d’argento. Tanto, qui la maggior parte delle fedi sono di argento.  
Poi cercano di guardarti le gambe.

- Sei sposata?
Sì; no; dipende da come mi gira, da quanto mi sento vulnerabile o da quanto me ne frego quel giorno, e da quanto ho voglia di inventare e giustificare, o di assumermi il mio status di donna "matura" single (il fatto di non essere sposata alla mia età - 29 anni - desta loro seri interrogativi!).

Se è sì
- E dov’è tuo marito?

- Mio marito lavora qui, l’ho seguito/

- Mio marito non c’è, è in Italia.
- In Italia?? E ti lascia venire qui da sola? No good!
- Ma è solo per poco, sto qui per qualche mese.
- E vivi da sola?

- Sì, vivo da sola (sguardi spersi e di disapprovazione. Alcuni dopo questa risposta si tacciono. Altri la prendono come un’incentivo in più a provarci)/

- No, vivo con una mia amica 
      - Aahh...

- E hai figli?
Sì; no; a seconda di come mi sento.

- Sì, ho due figli piccoli.
- Amdullilah. È bello avere figli! Bene bene! /

- No, non ho figli.
- E perché? Non ti piacciono i bambini?
- Sì, certo che mi piacciono, ne avremo presto (mentre penso, sì, certo, mi trovi te uno straccio di uomo che voglia fare figli prima che io abbia 40 anni?)

Se è no (non sono sposata)
- E perché?
- Ma sono fidanzata, ci sposeremo presto.
- E non ti piacciono gli uomini egiziani? Ci sono tanti uomini egiziani sposati con donne italiane sai? [ed effettivamente è vero! E ammetto che in generale gli uomini egiziani oltre ad essere belli, hanno il loro fascino]. Egitto e Italia vanno bene assieme! [mentre avvicina gli indici delle mani e mi fa l’occhiolino dallo specchietto, con un ghigno sdentato].

L’ordine delle domande è un po’ variabile. Possono iniziare coi figli per arrivare solo dopo al matrimonio e all’uomo. Poi tastano il terreno sulla tua morigeratezza.

1. Taxi quotidiano

Oggi tornando a casa mi sono seduta in taxi nel sedile del passeggero, come si fa spesso qui. Eravamo bloccati in via 26 luglio sotto il cavalcavia, tra clacson e smog. Non riuscivo a respirare.

In tutto ciò il tassista comincia a litigare con un collega accostato alla nostra destra. Comincia quindi a sporgersi su di me per urlare all’altro attraverso il mio finestrino. Mi urlava nelle orecchie e potevo sentire il suo odore e il suo alito, e il suono della lingua articolare i suoni in mezzo alla saliva. Per fortuna non mi è arrivato nessuno schizzo. Dirimpetto avevo le urla anche dell’altro nelle orecchie. Pensavo la smettessero subito, e invece no, riiniziavano in continuazione.

Non ce la facevo più, avrei voluto strozzarli! Mi sono alzata gridando “Halas!, halas!”. Sono uscita dal taxi in mezzo a via 26 luglio, sbattendo la porta e lasciando i soldi sul cruscotto. Aprendo la portiera ho anche urtato il muso del taxi di fronte al nostro. Il taxista mi ha guardato male e abbozzato un cenno di disapprovazione, e io l’ho ricambiato ancora peggio. Che isterica. Ma ero allo stremo e debolissima per il mio stato fisico e la giornata di oggi!

3. Storie di egiziana amministrazione

Il muffin
Bar di una delle palestre più in del Cairo. Si tratta di un Costa cafè, una nota catena fondata da italiani e di rinomata qualità - a parte eccezioni... 

Ho un’ora di tempo prima di andare dal fisioterapista. Ho appena fatto due ore di allenamento e sono fiera di me, ma non posso aspettare così tanto. La voragine si impone. Ok, prendo un succo di fragola; no, ho proprio fame; ok, mi concedo un dolce. Uhm, c’è rimasto poco. Due muffin giganti (li visualizzo come due noci di burro giganti), un croissant salato, e due confezioni con 4 mini-muffin l’uno. Riescono a passare il test delle calorie, molto blando dato il mio stato. 

Seduta al tavolino, addento il mio primo muffin. CRACK. Non dovrebbe fare questo suono. Ci rimetto per poco un dente e la gengiva è compromessa. Non dovrebbe essere così un muffin. Gli riporto il pacchettino da quattro, con un muffin mezzo addentato. 

- Scusa, è un po’ duro. Stringo il muffin tra due dita e non lo incrino di mezzo millimetro. Lui non fa una piega. 
- Ah, si, allora prendi questi. E mi dà il secondo pacchettino che stava in vetrina, distinto dal primo solo da un velo di zucchero sopra. Uhm. Sta scherzando spero. Oppure sono stati prodotti in ere geologiche differenti. 
Prendo uno dei muffin spolverati in mano e la non-reazione è uguale. - Ma scusa – lo guardo attonita – anche questi sono duri! I muffin non è che sono proprio così...Lui mi guarda fisso e non dice nulla. Il tipico spirito di reazione! 

- Che cosa posso prendere per 13 pounds che sia buono? - Indico il croissant. - No, anche quello è vecchio! - Mi dice candidamente. 

Sento l’incudine cadermi sulla testa, e la gocciolina accanto alla guancia. MA ALLORA LI VUOI TOGLIERE DALLA VETRINA???! 

Mi riverso su una torta ai datteri e pasta frolla, fresca, buona, felice di vanificare le mie due ore di allenamento. 


Il festival di cinema
Uno ti chiede - ma perché sei sempre stanca
- Risposta: perché abito al Cairo
- E allora? Che fai al Cairo di tanto stressate
- Eh, sai, devo attraversare via 26 luglio due volte al giorno...Devo comprare i biglietti della metro...Devo prendere un taxi per arrivare in un posto che non conosco...ordinare il lunch per telefono...Prendere un appuntamento dall’estestista...andare all’Opera per il festival del cinema. Sai com’è. 
- Ah. Ehmbé? 
Ebbene. 

Decido di accompagnare Liliana all’Opera, dove si sta tenendo il festival annuale di cinema e Liliana voleva vedere un filme serbo. Voglio solo passeggiare in un contesto architettonicamente sensato, e poi andarmene a casa perché sono troppo fusa per vedere il film. 

Nonostante il proverbiale senso dell’orientamento di Liliana raggiungiamo la palazzina in questione in modo abbastanza fluido. Ecco, quella deve essere la sala piccola. La lunga vetrata lascia intravedere la fila di poltroncine. Bisogna solo entrare e prendere il biglietto. 

Appunto. 
Entrare = trovare l’entrata + trovare un’entrata che sia praticabile + trovare un’entrata che sia giusta. 

Prendere il biglietto = trovare un botteghino dei biglietti + trovare un botteghino che venda i biglietti + trovare un impiegato che sappia in quali sale si tengano i film + darti la giusta combinazione biglietto-sala. 
L’avreste mai detto? 

Giriamo intorno alla sala, ma il passaggio è ostruito da ogni parte. Lateralmente ci sono transenne intersecate con cavi nel pavimento. Giriamo attorno, ma di fronte ai muri inizia a prendere forma un’immensa struttura di palco scenico, di cui non si capisce la forma, l’inizio e la fine. 

Sembra una costruzioni di lego. Non c’è alcun corpo centrale, e sembra piuttosto una serie di corridoi sopraelevati e ricoperti di appezzamenti di moquette rossa e blu. Dei ragazzetti ci dicono che non si può passare in mezzo alla struttura e di andare dritto. Ripieghiamo e continuiamo a muoverci in maniera parallela alle mura della palazzina che dobbiamo raggiungere, continuando a girarci intorno, in cerca di un varco. 

Arriviamo di fronte al lato principale. Si tratta chiaramente dell’entrata. Sì, c’è una grande entrata dietro...dietro il palco. Siamo arrivati anche di fronte a quello che sembra il corpo principale del palco, che essendo rialzato copre con la sua piattaforma l’entrata, fino a metà. E che, ci deve essere un passaggio laterale, un piccolo corridoietto che per la prospettiva non riusciamo a vedere. Dato che venivamo da sinistra, senza successo, continuiamo a girare attorno verso destra, cercando un varco. Ma no invece, è bloccato anche di qua, e un ragazzetto che spunta da dietro a una transenna ce lo sottolinea. 

ODDIO ODDIO ODDIO. Io e Liliana cominciamo a pronunciare questa parola col consueto tono. Ma dove cazzo si entraaaa allora??? In risposta, solito sguardo egiziano che non si capacita. 

Dal palco. Chiaro. Saltiamo sul palco, percorriamo la distanza che ci separa dal grande atrio in vetro, e saltiamo giù dal palco, direttamente all’interno del palazzo. C’est pas plus simple que ça. C’est evident! 

Ora Liliana deve prendere i biglietti. C’è un tipo che parla appoggiato alla biglietteria. All’inizio non ci facciamo caso, poi ci svegliamo e ci accorgiamo che sta telefonando a uno a uno a tutti i suoi amici e parenti per sapere che posti vogliono all’Opera! E’ lì da più di 10 minuti e ovviamente non si sposta. Liliana si fa breccia e riesce a chiedere all’impiegato, per sicurezza, se è lì che si vendono i biglietti per i film. Sì. Ok, almeno aspetto sicura. 

Terminata la consultazione familiare e toltosi il tipo da quel posto, Liliana si fa avanti e chiede il biglietto per il film. Ah no, non è qui che si vendono. Ma come prima mi ha detto...? Inutile. Perché insistere a fare domande di questo genere. 

Io distrutta e col mal di pancia abbandono la mia amica e vado a casa. Non avrei sostenuto altri due salti su e giù dal palco dato come stavo, e ho voluto cercare un’uscita...più lineare. Ho trovato una porta aperta sul lato della sala, con tanto di guardia. Ne sono uscita scavalcando una serie di lunghi rotoli di moquette ammassati uno sull’altro e che ricoprivano sia l'uscita che il porticato al di là del passaggio.

Il giorno dopo avrei saputo che dopo aver acquistato il biglietto (non mi ricordo dove ci è poi riuscita) per il film serbo, ed essersi seduta nella sala, si è accorta che quello non era il film giusto, ma un film inglese! Tornata per chiedere spiegazioni gli hanno detto candidamente che il suo film stava nell’altra sala. Grazie per l’informazione. 


Venerdì sera, sulla courniche
Stavo tornando con Ahmed da Maadi verso Zamalek sulla courniche di Giza, una delle arterie principali del Cairo. Il traffico si muoveva su quattro file. Anzi, stava fermo. Ahmed imprecava, ché non capiva perché non si muoveva. Io ho detto che è venerdì e che è normale, la gente esce. No invece, non a questo punto. Arriviamo in prossimità del parco faraonico. C’è più movimento, ci deve essere qualcosa, dice lui. 

Sì, sembrava un grande evento, e soprattutto la causa del traffico. Le macchine avevano parcheggiato in doppia fila e una macchina con le quattro frecce davanti a noi stava inaugurando la terza, subito seguita da altre, lasciando alle macchine solo una fila su quattro in cui passare. 

Dalla macchina scendono due energumeni tamarri e tre fighette coi tacchi da 10 cm. Io pensavo che la macchina si fosse fermata per lasciar scendere le fighette coi trampoli e poi andare a parcheggiare più avanti. E invece nooooo! Come nulla fosse hanno chiuso la macchina e hanno raggiunto le rimbambite, che aspettavano girate, con il peso su un anca e una mano su un fianco.

Non ci potevo credere! Ho riversato i miei sguardi più carichi di disgusto, e la cosa più frustrante è stato ricevere indietro sguardi attoniti e interrogativi. 

E voi direte: anche a Roma parcheggiano in doppia fila
Ok, ma quando magari in tutta la città non si trova più nemmeno un posto in prima (e comunque magari per inaugurare la terza già si fanno degli scrupoli...). 

Qui no! A soli 50 METRI dall’entrata del locale infatti il marciapiede era COMPLETAMENTE VUOTO! Tutto purché non camminare - qui considerata un'abitudine da straccioni. E la cosa più intollerante è che lo stato glie lo lascia fare, l’importante è avere i soldi per pagare le mandrie di soldati che tappezzano la città. Poco importa se un'ambulanza non riesce a correre all’ospedale.

2. La telefonata tipo: appuntamento dall'estetista

(data la natura del servizio richiesto, ciò si ripeteva regolarmente e senza alcun progresso)

- Sabah El Khir...?
- Hallo, Sabah El Khir. I would like to take an appointment for a wax, full leg, when is it possible?
- Do you want to come today?
- No, not today, in the coming days. When is it possible?
- One moment please (questa frase arriva tra il secondo e il terzo scambio conversazionale, inesorabilmente. Seguono secondi di trambusto e una nuova voce si interfaccia al telefono).
- Hallo?
- Yes, Hallo. I wanted to take an appointment for a wax, in the coming days...
- Today it is fully booked.
- Yes, yes…I guessed so, not today. I would like to know when it is possible. In the afternoon because I work during the day.
- Tomorrow at 1 pm?
- No. In the afternoon, I work at 1 pm, after 6 maybe.
- Do you want to come at 6?
- No, I said that for me it is ok after 6. Anyway. Whenever is more suitable for you, starting from 6.
- I am very sorry, at 6 is not possible, it is fully booked tomorrow.
- Ok. Then. WHEN IS IT POSSIBLE TO COME, AFTER 6? I don’t know, maybe Wednesday or Thursday..?!!
- Can you come at 5?
- At 5? Ehm...maybe, but when?
- At 5 then.
- No, but WHEEN??!!
- On Friday is ok?
- No, it is not ok on Friday, I am not in Cairo on Friday, and it is too late!
- On Saturday?
- Ok, it’s ok, thank you, I will call another time.
- Thank you a lot madame, I am very sorry…
- Yes ok…

1. Metamorfosi

Venerdì 7 novembre 2008

Ciao Andre.

(...) Io sto vivendo un periodo assurdo se ci penso. Sto molto spesso da sola, non esco quasi mai. Perché sono stanca, e perché non voglio conoscere gente. L'anno trascorso a Bruxelles mi ha lasciato un misto di appagamento sociale (perché ho incontrato così tante persone belle che amo da poterci riempire la vita intera) che si traduce nel disinteresse a conoscere nuove persone.

Qui ho poche, brave amiche con cui mi vedo, ci aiutiamo e sosteniamo. Ma quasi mai esco, per stanchezza e perché non riesco a respirare fuori, e rifuggo il rumore assordante che c'è per le strade.

Qualche thè in casa assieme, chiacchere e poco altro. Incontro persone interessanti, ma non ho voglia di approfondire. Non ho voglia di mettere in gioco energie, di scavare, conoscere. Io sono così: se scelgo e decido che una persona è valida, allora indago, chiedo, ascolto. E questo prende così tante energie che io non le ho più.

E allora il mio bisogno di socialità e di affetto si riversa più che altro sul computer, su internet, su facebook, su skype. Ma come giustamente mi ha detto una mia amica qui, perché mai dovrei spendere troppe energie quando sai che molte delle persone che sono qui non le vedrai mai più? Meglio concentrarsi su chi ami.

Pensando a quella che dovrebbe essere la vita reale, o che è stata per millenni, mi dico che sono pazza, che sono una degenerazione della società dell'informazione, che sono malata e socio-patica. Siamo una generazione che l'onda di Internet ci ha travolti per un pelo. E portiamo in noi sia il ricordo del vecchio mondo, che la naturalezza nel cogliere pienamente la nuova dimensione.

E poi c'è il mio grande cambio esistenziale.
Da donna in carriera, penso di starmi trasformando in donna e basta.

Da devota allo studio e all'astratto, che diventava insofferente se stava senza leggere qualcosa per più di un'ora, comincio ora trovare gusto nei lavori manuali, senza però perdere il piacere di conoscere e analizzare. Resto legata al mio mondo fatto di immagini e letture, ma credo di stare lasciando la corsia della competizione, per rifugiarmi in quella della vita privata, o del piacere di vivere.

Sono più disorientata che mai dal punto di vista emotivo e affettivo. Da un lato una storia con un ragazzo di qui, che per quanto non sostenibile in futuro, mi porterà di nuovo a quel senso di vuoto, di mancanza d'aria, nostalgia, e frustrazione, e per cui maledico la mia natura instabile psicologicamente e geograficamente; dall'altro il rincontro con una persona.

Mi sento il più della volte spenta, in standby, con le emozioni congelate, senza sbalzi, né in alto né in basso. A volte mi sento morta dentro. Altri giorni questa piattezza prende però l'aria di stabilità interiore, di pace, e ho l'impressione di avere ricaricato dopo tanti anni le pile per amare, seppure l'idea mi terrorizzi.

Questo paese è pieno di bambini, bellissimi, come la media degli egiziani. E questo è il mio attuale pensiero fisso...e ancora maledico la nostra società perché mi pare che questa fase fondamentale della vita e della natura ci sia ora preclusa.

Eccomi qua, di ritorno dopo un anno di Egitto.
Chissà come cambierò di nuovo con il contatto con il nostro mondo...

Ti abbraccio forte.

Margot

[Si legga anche Incipit]

5. Per fare un passo in avanti, bisogna fare un passo indietro

Msg all’Alessandra:

La sai una cosa? Ti ricordi quando ero tutta impantanata tra la mia storia con F., il fatto che stavo lasciando il lavoro a Bologna alla sprovvista, e il fatto che me ne andavo verso l'ignoto per uno stage di soli tre mesi e non pagato dall'altra parte del mondo...e alcuni mi dicevano che ero pazza e non capivano cosa cercavo e perché lo facevo...

...tu in quel momento mi hai detto una cosa che mi è rimasta e a cui ho avuto occasione di pensare varie volte durante le altre difficili scelte successive, e che mi ha dato fiducia nel seguire il mio istinto: “a volte per fare un passo in avanti, bisogna fare un passo indietro”. Mi è servito tanto, per individuare la giusta direzione da prendere, e poi prendere la rincorsa. Besos.

4. Low profile

18 ottobre 2008

Matteo, October 13 at 5:17pm

Ciao sfinge, come stai?
Ti sei un pochino tirata su di morale??
Io sono diventato zio e mi sento bene, sarà la sensazione incredibile che ti da un pupo quando ti stringe un dito con la manina....

Margot, Today at 11:32am

Ciao carissimo,
qui abbastanza bene. 

Il morale non è mai stato alle stelle, ma come dire, uno poi si assesta e si adatta alla situazione ed è come se abbassasse il profilo, per cui la tua vita e il concetto di normalità cambia...e le cose che ti mancano, seppur senti dei vuoti, non le distingui più poi cos' tanto. Che non è così bello perché in realtà stai cambiando e forse perdendo un po’ di personalità...ma è un modo per adattarsi e sopravvivere.

Anche io vorrei tanto un pargoletto...dopo tutte queste esperienze, la cosa bella è che mi sono tolta un sacco di voglie, ho scartato il superfluo, e quello che mi resta è la voglia per le cose più naturali. E' bello tornare alle cose più semplici e tradizionali ma da una prospettiva tua, scegliendolo, e non per semplice "tradizione". Così gli dai molto più significato. 

Prossimi progetti, fissarsi da qualche parte. Un abbraccio.
Margot 

24 ottobre 2008

Da mail ad Anna

Sinceramente in questo momento della mia vita anche io ho tantissimi punti interrogativi. Il mio morale non posso dire che sia giù; piuttosto è spento. Vivo in anestesia per sopravvivere. Non riesco a pensare al mio futuro perché non so quello che voglio. Una parte di me rifiuta di essere diventata una persona che vuole vivere in tranquillità fissa da qualche parte. Non so nemmeno io se è vero, o se è l'effetto contrario a una stanchezza e precarietà e instabilità estreme e prolungate da anni. Ho paura di essere misled, e di fare per questo delle scelte sbagliate.

3. Amico d'infanzia


Lunedì 13 ottobre

Dopo vent’anni tramite facebook ho ritrovato Giacomo, il mio compagno di scuola delle elementari. 

E’ stato il mio "innamorato" delle elementari, con cui ho condiviso il banco in quarta, nonché qualche saggio di musica: studiavamo allo stesso istituto musicale, e i nostri genitori con la complicità della maestra ci hanno costretto in qualche saggio in duetto, io al piano e lui al flauto.

Mentre oggi chattavamo su messenger, mi ha annunciato che mi avrebbe fatto “la dichiarazione d’amore della mia infanzia”: “eri la mia fidanzatina ideale (pensavo dentro di me), e non sono riuscito mai a confessarti quanto fossi attratto da te nonostante la mia faccia di bronzo. Mi ricordo che avrei pagato per poterti dare un bacino. Alle elementari ero forse il bambino più “corteggiato” dalle bimbe, ma io pensavo solo alla Margot”.

E’ stata la rivelazione della mia vita! Se ripenso a quanto mi sentissi una merda (a 8 anni!) perché pensavo di essergli completamente indifferente, e a quanto negli anni successivi mi fosse capitato di ripensare al rapporto con lui, come esempio di primo amore non corrisposto e modello in nuce delle mie dinamiche sentimentali e relazionali con i ragazzi, vedendoci addirittura una componente fondamentale nell’origine della mia mancanza di autostima!

“Seppure sia sempre stato aggressivo e impulsivo con tutti, con te ho avuto il blocco della mia infanzia. Io diventavo timido solo con le persone particolari, e tu lo sei stata per me”. E così continuando nella descrizione delle sue emozioni di bambino – che tenerezza! - nei momenti che passavamo assieme.

In ultimo, neanche a farlo apposta, dopo due giorni da questa operazione controversa, di cui certo non poteva sapere, mi ha detto che nelle mie foto non vede gli occhi di una ragazza in carriera, ma piuttosto mi vedrebbe bene con un pargoletto tra le braccia. In qualche modo mi ha rincuorata, come se avessi il diritto di reclamare la mia esperienza di madre, seppure non abbia più il mio bimbo.

Questo episodio mi ha fatto riflettere: nella vita quante altre situazioni così potrebbero esserci? Dove due persone si vogliono e non si incontrano per paura

Le cose vanno dette, e io ne ho taciute tante, perché ho preferito non sapere piuttosto che affrontare un rifiuto, o pure solo un’incertezza. Ho preferito scomparire e distaccarmi, congelarmi e giocare il ruolo dell’impassibile e dell’amante e della cinica. Non ho forse giocato davvero solo le partite in cui mi sentivo invulnerabile? - E non può esistere amore senza vulnerabilità…

2. You start to look it

Mercoledì 8 ottobre 2008 

Rania questa mattina sorridendo mi ha detto: “if one doesn’t know, would not tell; but for me who knows…you start to look it.” Coltivo il pensiero di questo bimbo dai lineamenti egiziani con gli occhi grandi e profondi. Saranno ancora pochi giorni, ma questa sensazione è bellissima e dolce, non voglio che finisca.

1. L'oasi di Siwa

Giovedì 2 ottobre 2008

Sara è la terza volta che torna a Siwa nel giro di un anno e dice che già l’ha vista cambiare molto. 

I ragazzi si perdono nel rombo di motociclette cinesi, mentre poco più di anno fa si girava solo in asino. Ora cominciano ad esserci varie macchine, e la cosa peggiore è che suonano il clacson! La piazza centrale, dove i negozi erano solo un paio, stanno riempendosi di insegne invadenti che rovinano tutta l'atmosfera visiva, enormi e dai colori sgargianti, tipo quelle delle compagnie di telecomunicazioni. Il personale locale – tutto rigorosamente maschile – è gentilissimo. E sono bellissimi!


Venerdì 3 ottobre 2008

Abbiamo passato tutto il giorno con Youssef, un ragazzino di quindici anni, nel suo taxi: un carretto trainato da Al Pacino, il suo asinoAbbiamo visto due templi, più il cosiddetto “Bagno di Cleopatra”. La sera siamo andati a Fatna Island, dove abbiamo visto il tramonto. Palmeti, olivi, silenzio, solo il ragliare degli asini.
I carretti sono portati solo dagli uomini, dai bambini o dalle bambine. Le donne sposate siedono nel carretto, ma devono sempre essere accompagnate, se non da un uomo, per lo meno dai bambini. Si tirano giù il velo del niquab nascondendo anche gli occhi e si ricoprono dalla testa ai piedi con il loro telo tradizionale blu dai ricami sui toni dell’arancione.

Non ho visto alcun viso di donna sopra i diciotto - vent’anni. Da quando si sposano le loro fattezze scompaiono interamente dalla comunità. Il loro viso continua ad esistere solo per le altre donne e per i pochi uomini che compongono il nucleo familiare. Per la strada, si riconoscono tra loro dalle scarpe, o dall’andatura, o dai bambini che le accompagnano.

Dal lieve movimento della loro testa, io e Sara vedevamo che da sotto il velo nero, sedute immobili sul carretto, il loro sguardo ci seguiva.

Sabato 4 ottobre 2008

Quanto sono belli questi bimbi.

Stamattina avevo poco appetito; una svogliatezza nel mangiare che si è poi trasformata in un tappo alla bocca dello stomaco e in una sensazione di sazietà immediata dopo appena due cucchiaiate di zuppa a colazione, che sfiorava la nausea.


7. Di nuovo, touchée

Lunedì 22 settembre 2008

Oggi quando stavo entrando in metro, di nuovo mi hanno toccato. Quanto è umiliante e frustrante. 

Erano in quattro. Tre sono scesi velocemente dalle scale, metre io stavo salendo. L’altro ha indugiato, si è fermato sugli scalini, nella mia traiettoria, aspettando che io salissi e mi spostassi per non andargli addosso, e ha allungato la mano. 

Come sempre quando realizzi, loro sono già lontani. Io e Liliana gli abbiamo urlato insulti, tra cui “porco” in arabo. E loro ridevano, che odio! 

Le guardie erano poco più in là, dentro alla metro, e hanno detto che non possono oltrepassare i cancelli della metro; una ragazza egiziana ci ha appoggiate sostenendo animatamente, in arabo, che o fuori o sulle scale della metro loro possono comunque fare qualcosa se succedono queste cose! Che palle, come mi fa sentire male. 

È la seconda volta che una donna egiziana interviene in nostra difesa in un episodio di molestia. La prima volta era stata ad Alessandria. Penso sia la prova che anche loro sono esasperate.


[Si veda anche Toccata e fuga e Il velo: decenza o intrigo?, quest'ultimo riguardo le molestie alle donne egiziane]

6. Un' altra vita

Venerdi 26 settembre 2008

Oggi è venuto il dottore. È da un po’ che ho degli strani dolori alle articolazioni delle mani e l’altra settimana mi si è gonfiato un dito senza ci fosse stato alcun trauma; dovrò fare delle analisi del sangue per escludere malattie autoimmuni.

Oggi non mi sento bene. Ho un mal di testa terribile e la mente alterata, come in loop. Mi sono presa dell’efferalgan ma non mi è passato. Mi rendo conto che Ahmed mi ha chiamato un’ora fa, ma dato il mio stato mentale mi sembrano passati appena cinque minuti. 

Domenica 28 settembre 2008

Oggi mi è successa la stessa cosa di cui Rania si è lamentata tutto il tempo giovedì scorso al lavoro: qualche perdita che non si era trasformata in un vero e proprio ciclo.

Per un giorno intero è andata e tornata dal bagno domandandosi perché non gli venissero come si deve. Non capivo perché la facesse tanto grave; io di me ho pensato semplicemente che mi stessero arrivando un po’ esitanti e con qualche giorno di anticipo, perché no, capita. Con questo caldo poi. E invece lei seria e direttamente mi ha chiesto: “potresti essere incinta?”.

Come svegliatami da un’amnesia durata dieci giorni, stupita della mia risposta e come se i ricordi appartenessero a un altro, ho risposto “sì”. In che parte della mia memoria si era rifugiato il ricordo di quella notte durante questi ultimi dieci giorni? Era ovvio che era successo un mezzo pasticcio. Perché non me ne ero preoccupata e come potevo non averci pensato prima? Non mi sono nemmeno posta il problema di andare a controllare nel calendario a che giorno fossi. Sì, certo. Solo ora mi accorgo che era il quindicesimo.

Ovviamente, non avendo minimamente realizzato il rischio, la possibilità di una pillola del giorno dopo nemmeno mi aveva sfiorato. La stanchezza, la fatica di comunicare, il pensiero di cercare un medico, chiedergli la prescrizione, spiegargli, sentire la riprovazione, il giudizio, io la bionda che viene in Egitto e…

Ma tutto ciò per ma non vuole dire niente. Non c’è difficoltà che non abbia affrontato da sola, verità che non mi sia svelata, diritto per cui non mi sia battuta, a testa alta. Come è potuto succedere; io che sono sempre onesta con me stessa, che mi metto davanti allo specchio scevrando le parti di me più scomode, costantemente desta, lucida e  impietosa, con me stessa in primis… Che cosa mi sono voluta nascondere?

Ero imbambolata e immobile davanti a Rania, con la paura di stare svelando a una mia collega un segreto. “Si chiama innestation spotting – continua lei – e può avvenire dieci giorni dopo la fecondazione. Può dare luogo a un leggero sanguinamento. Io l’ho avuto in una delle mie gravidanze”.

***
In camicia da notte, sola nel mio appartamento del Cairo, tra le voci, le urla, i clacson e la festa delle notti del Ramadam invadevano la stanza, vedo il pallino del test colorarsi lentamente di rosso, ed è stata l’emozione più grande della mia vita. Sapere che c’era qualcosa dentro di me che viveva ed era profondamente mio. La semplice verità era che io volevo rimanere incinta, ora e da lui.

Stavo parlando in Skype con Anna e glie l’ho detto. Poi ho interrotto la comunicazione per chiamare Sara, perché dovevo trovare un ginecologo. Poi ho mandato un messaggio alla mamma.

Lunedì 29 settembre 2008

La prima cosa che mi ha chiesto Rania quando sono entrata in ufficio è stato: “allora?”

Taccio. Non volevo rischiare che si spargesse la voce. Ma la mia faccia parlava da sola. Immobile, seria. “Congratulazioni!” esclama lei.

Ho pensato a tutte le donne che se le possono vivere col sorriso quelle congratulazioni, perché hanno magari una vita normale, un lavoro stabile, una casa, la città in cui hanno scelto di vivere, una famiglia su cui contare e un uomo di cui si possano fidare; o se non tutte, per lo meno qualcuna di queste cose. Ho pensato che è stato bello comunque averle sentite queste congratulazioni e avere fatto finta che potessero davvero essere per me. 

Martedì 30 settembre 2008

E’ bello pensare di essere in due, che ogni gesto quotidiano come bere un semplice succo di frutta è condiviso e vada a nutrire un altro esserino. Fa venire voglia di prendersi cura ancora di più di sé e di volersi bene. Lui è lì in qualche parte di te, esiste già, ha il suo viso e continua a crescere mentre tu ti muovi, mangi, cammini, lavori, dormi. E pensi a come sarebbe potuto essere.