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4. Perché non posso vivere al Cairo

8 dicembre 2008
Devo accettare che non tutte le vite possono fare per noi, e seguire ciò che mi fa stare bene.

• Non riesco a respirare (il Cairo è la città al mondo con la maggiore concentrazione di polveri fini nell'aria). 


• Non riesco a camminare per strada (in quanto non riesco a respirare)


• Ogni mattina mi sveglio coi polmoni chiusi e la gola che raschia, per lo smog del giorno prima. 


• Non posso aprire la finestra quando voglio, per lo smog.

• Non mi sento libera.


• I bauab (portieri) controllano e sanno ogni gesto o movimento e di fatto non posso fare salire liberamente le persone a casa mia (specialmente di sesso opposto). 


• I bauab sono sempre dietro a chiedere mance, per Pasqua, per Ramadam, per l’Aid, per Natale...(ogni festa è buona, non fanno la differenza fra cristiani e musulmani!)


• Non ne posso più di questo pensiero fisso di “coprirmi”. 


• Non so come vestirmi. Qualsiasi cosa mi metto mi sento a disagio. O mi sento un sacco. O mi sento una bigotta negli anni ’50. O mi sento kitch. Ma mai una donna.


• Non sopporto di comprarmi vestiti e poi comunque non potermeli mettere perché non sono mai adatti o “decent”.

• Perché mi passa la voglia quando penso che devo raggiungere un luogo da sola - io che ho sempre fatto qualsiasi cosa da sola.

• Non si riesce a visitare un solo monumento (per non parlare di riuscire a leggere una solo riga da una guida) senza essere molestati. 


• Mi stresso ad attraversare la strada.




• Il suono dei clacson annienta i miei sensi. 


• C’è l’aria condizionata a 17° ovunque e tutto l’anno, quando fuori ce ne sono 45 e quando ce ne sono 15. 


• Non riesco a trovare i libri che voglio.

• Non sopporto questi cavalcavia in mezzo al centro storico


• Non ho ancora trovato un luogo rilassante (non dico verde...) e accessibile (a meno di mezz’ora di auto) in cui distendermi. 


• Il bello, il luogo bello (parchi, giardini, tavoli all’aperto), è tutto a pagamento, o all’interno di compounds (Malls, Hotels) a sottolinearne l’alterità rispetto allo spazio pubblico “normale”, regolare. Non esiste un concetto di bello come pubblico. 


• Non riesco a trovare la poesia in niente. Nemmeno nella decadenza, che è poetica per definizione. Perché qui si va oltre la decadenza. E’ solo spreco, degrado e mancanza di rispetto per il loro unico passato.



Il Nilo. Con la nebbia la mattina. La quantità di persone che ogni giorno passeggiano lungo la courniche, e si affacciano alla balaustra dei ponti, e le coppie che semplicemente lo stanno a guardare con la mano nella mano, questa è l’anima e la poesia dell’ Egitto. Ma non riesce da sola a ripagarmi…

1. L'oasi di Siwa

Giovedì 2 ottobre 2008

Sara è la terza volta che torna a Siwa nel giro di un anno e dice che già l’ha vista cambiare molto. 

I ragazzi si perdono nel rombo di motociclette cinesi, mentre poco più di anno fa si girava solo in asino. Ora cominciano ad esserci varie macchine, e la cosa peggiore è che suonano il clacson! La piazza centrale, dove i negozi erano solo un paio, stanno riempendosi di insegne invadenti che rovinano tutta l'atmosfera visiva, enormi e dai colori sgargianti, tipo quelle delle compagnie di telecomunicazioni. Il personale locale – tutto rigorosamente maschile – è gentilissimo. E sono bellissimi!


Venerdì 3 ottobre 2008

Abbiamo passato tutto il giorno con Youssef, un ragazzino di quindici anni, nel suo taxi: un carretto trainato da Al Pacino, il suo asinoAbbiamo visto due templi, più il cosiddetto “Bagno di Cleopatra”. La sera siamo andati a Fatna Island, dove abbiamo visto il tramonto. Palmeti, olivi, silenzio, solo il ragliare degli asini.
I carretti sono portati solo dagli uomini, dai bambini o dalle bambine. Le donne sposate siedono nel carretto, ma devono sempre essere accompagnate, se non da un uomo, per lo meno dai bambini. Si tirano giù il velo del niquab nascondendo anche gli occhi e si ricoprono dalla testa ai piedi con il loro telo tradizionale blu dai ricami sui toni dell’arancione.

Non ho visto alcun viso di donna sopra i diciotto - vent’anni. Da quando si sposano le loro fattezze scompaiono interamente dalla comunità. Il loro viso continua ad esistere solo per le altre donne e per i pochi uomini che compongono il nucleo familiare. Per la strada, si riconoscono tra loro dalle scarpe, o dall’andatura, o dai bambini che le accompagnano.

Dal lieve movimento della loro testa, io e Sara vedevamo che da sotto il velo nero, sedute immobili sul carretto, il loro sguardo ci seguiva.

Sabato 4 ottobre 2008

Quanto sono belli questi bimbi.

Stamattina avevo poco appetito; una svogliatezza nel mangiare che si è poi trasformata in un tappo alla bocca dello stomaco e in una sensazione di sazietà immediata dopo appena due cucchiaiate di zuppa a colazione, che sfiorava la nausea.


3. Una vita a metà

Venerdì 12 settembre 2008
Ancora mi dico di restare qui, mi contraddico in continuazione e non prendo una decisione.

Poi penso che non ce la posso fare, che questa è una vita a metà; il fatto che abbia trovato un modo mio di affrontare questa realtà, non vuol dire che ci stia bene e che mi realizzi.

Fondamentalmente è limitante, ecco tutto. Manca la libertà, molto semplice. E questo è un cancro che ti si deposita negli atteggiamenti fino a che non te ne accorgi più, fa parte di te e pensi che sia la tua pelle, ma non è vero, non sei tu. E io non voglio essere la persona che sono qui.

Ieri mi ha chiamato A. Telefonata tranquilla e serena. Gli ho parlato della mia situazione. Lui mi diceva, dai, che è una vita emozionante, pensa a chi deve timbrare il cartellino tutti i giorni. Ma non è quello...(e magari! Quasi, ho voglia di annoiarmi a timbrare il cartellino...). Non si può capire. Lui non può capire.

Gli ho parlato di tutto il vuoto affettivo che una vita così provoca.

Dei genitori che gli devo fare io da genitore.

Della nonna che chiude ogni telefonata con le stesse parole: “spero di riuscire a rivederti”.

Degli amici che sono gli unici su cui puoi contare ma che sono lontani. Del dolore che è stato lasciare Bruxelles - e in quel momento la voce mi si è rotta per il pianto ma sono riuscita a nasconderlo.

Delle storie sentimentali, che non ti puoi mai lasciare andare perché sai che te ne devi andare, ed ergi ormai un muro a proteggerti, insormontabile, o invisibile per i più.

Delle persone che conosci, che a un certo punto non ti vuoi più dare, perché lo spazio dentro di te è già occupato, e perché comunque sei stanco di investire per poi dovertene andare.

Dei tuoi colleghi, i veterani della cooperazione, single, separati o ancora in coppia, ma comunque o scoppiati, o depressi, o disadattati, o cinici, o che è peggio, ancora bambini, illusi, eterni playboy ed egoisti, che si appoggiano a te, che sei giovane. Sono pochi a stare bene.

E’ una vita atomizzata

Questo lavoro è più di un lavoro; ti chiede la vita! Ti chiede di mettere da parte te stesso e la tua vita, per dedicartivi. Ma non è possible farlo se non si possa contare su un “contrappesoemozionale, emotivo. Si deve avere una qualche fonte d’amore, se no questa dimensione ti risucchia. Se non hai un sostegno alle spalle, affettivo, o per lo meno psicologico, non ce la puoi fare a metabolizzare l'umanità e le difficoltà che ti circondano. Sapere poi che le cose nella tua famiglia non vanno bene, è un’ulteriore aggravante, che ti rende debole.

Tuttavia, di nuovo, se pure si avesse un partner nella vita privata, vedo che molte volte le storie vanno a finire male dopo un po’ di anni di questa vita. Decisamente credo che la possano fare solo persone con un dispositivo emotivo, umanistico ed estetico diverso dal mio. Forse persone più pragmatiche, o più stabili.

Margot to Eleonora 12:05 AM
Cara Ele,
sono contenta di sentirti e immaginarti nella tua casetta immersa nel verde, sul mare. E' un'immagine da favola! Per favore, appena puoi mandaci delle foto!

Ovviamente, al di là dei sogni, so come siano le prime settimane...tieni duro! Sai, continuo a parlare con persone che magari mi invidiano per quello che faccio (e per carità, adoro quello che faccio!), ma sento proprio un gap e l'impossibilità di fargli capire che non è tutto rose e fiori quando ti trovi a vivere in queste circostanze! In due comunque deve essere diverso...

Io al Cairo come hai detto tu ho trovato il mio equilibrio, seppur fatto di incorporamento delle
limitazioni. Di fatto, si tratta qui di imparare a gestire la mancanza di libertà. Non c'è altra scelta. Poi, quando ti sembra di esserti finalmente abituato, ti svegli un giorno e ti dici che non sei tu quella, e che no, non puoi vivere così! Ma va bene, è un'esperienza di vita, e interculturale, intensissima.

Torno in Europa a dicembre. Ora non ho ancora cominciato a cercare lavoro. Ora mi devo buttare...mancano solo 3 mesi. Però non sono più preoccupata come una volta. Mi sento molto più self confident, e anche appagata per quanto riguarda le mie esperienze, e questo dà tranquillità.

Io ti auguro tutto il meglio e sono ansiosa di essere aggiornata. Un abbraccio!
Margot 

[Si veda anche Vita da cooperante e Molteplici vite]

2. Scomparire, ma senza il velo

Sabato 2 agosto 2008

Simmel, uno dei miei sociologi preferiti, diceva che si comincia ad esistere agli occhi dell’altro solo quando guardiamo; ovvero, esistiamo non quando e non solo se lo sguardo altrui ci raggiunge (quando cioè siamo visibili, visti, guardati), ma quando lo sguardo altrui è ricambiato e validato dal nostro, nella reciprocità.

In verità lui dice che “The eye cannot take unless at the same time it gives...In the same act in which the observer seeks to know the observed, he surrenders himself to be understood by the observed”, ovvero non si può guardare senza non essere visti; o, per la reciprocità, non si è visti che nel momento in cui si guarda, si ricambia lo sguardo.

Io sono una persona aperta, che guarda tutto, che gira la testa, che guarda le facce di chi mi sta intorno. Se sono circondata da uomini, certo mi viene da esplorarne il viso. Nulla di più inappropriato qui, perché è un gesto che trasmette automaticamente disponibilità

Lo sguardo di un uomo non si ricambia, non si deve incrociare.

Quando cammino per la strada, e mi sento tutti gli occhi addosso, devo cercare di resistere alla tentazione di guardare. Per me è molto difficile perciò camminare a testa bassa, guardando in terra. Mi sento di implodere, di annullare la mia esistenza. Di scomparire.

Scomparire, questo è quello che queste donne vogliono. Annullare la loro presenza sociale, nascondendosi dentro vestiti a sacco e a un enorme velo nero, integrale, che a volte copre persino gli occhi. Quanto darei per averne uno e annullarmi…

Ma io non posso. Qui il velo non è obbligatorio e loro sanno benissimo che non fa parte della nostra cultura, e non ci giudicano per questo. E allora che penserebbero di una donna occidentale che se lo mette? Sarebbe una cosa senza senso alcuno, quasi un’offesa, equivalente a dire loro che non sono abbastanza civilizzati da accettare le differenze culturali. Una donna occidentale al Cairo col velo è semplicemente ridicola. Alcune turiste lo fanno, e tutti convengono sul fatto che sono ridicole.

E allora ho trovato anche io un modo per non dover camminare a testa bassa, cosa a cui non sono abituata e che mi umilia; per guardare ma non essere vista mentre guardo. Gli occhiali da sole!

Con quelli riesco a camminare a testa alta senza sembrare sfacciata. Riesco a vedere gli occhi di chi mi guarda, senza in realtà validare il loro sguardo, che resta perciò sospeso nel vuoto, e non brilla di quel disgustoso e insolente fremito di desiderio quando si accorge di incrociare il mio.

***


Lunedì 04 Agosto 2008

Ho comprato una gonna lunga nera, doppio strato. Un po’ bombata tanto per non sembrare una scopa. Di quelle che si sono viste solo nella foto in bianco e nero della tua bisnonna.

Non mi è mai piaciuto come mi stanno le gonne lunghe e non le ho mai portate, ma qui lentamente mi sto adattando a forza di vederle in giro. E poi mi permettono di sentirmi un po’ femminile, non ne posso più di pantaloni lunghi e maglie lunghe che coprono il culo…

Non riesco più a sentire il mio corpo, ad accettarne la sensualità. Ne ho bisogno, mi manca, mi sento mutilata, ma non posso darle voce, devo solo occuparmi a scomparire. 

Ahmed è l'unico momento di respiro in cui possa ricordarmi di essere donna. Ed è così, nel privato, che le donne arabe riservano la loro femminilità solo per i loro uomini.

1. È come mi fanno sentire qui

Venerdì 1 agosto 2008

Io - che fino ad ora ero convinta che la mia esperienza abroad fosse finita, e che questo fosse solo lo strascico di una fase della mia vita ormai conclusa, e che quello che mi aspettasse fosse l'Europa - ora vengo presa dall'entusiasmo e non voglio che tutto ciò finisca. Sento un migliore bilanciamento delle mie energie,  sento di avere voglia di fare cose, di leggere, di conoscere questo paese. Sto leggendo libri sulla società egiziana e ho ripreso in mano la Lonely Planet. Sto pensando ai viaggi. Sento il tempo scorrere, che sono rimasti pochi mesi, e ho voglia di vivere.

Non penso però che questo rinnovato entusiasmo nasca solo dal senso di urgenza provocato dal tempo che passa; credo piuttosto e purtroppo che l’
immobilità che mi ha colta durante i primi mesi non potesse in alcun modo essere contrastata perché faceva parte del normale processo di ambientazione che in questi luoghi – data anche la mia condizione di donna sola – è normale che prenda più tempo. Ma altrettanto continuo a soffrire per questo ormai triennale e itinerante sradicamento dagli affetti, che mi ha portata a ridisegnare la mia vita da capo ogni sei mesi...e che mi ha stancato tanto.

È venerdì e sono a casa (qui è giorno festivo).
Il caldo è soffocante. In camera da letto ho l’aria condizionata, che però fa un rumore rintronante; e in salotto c’è solo la ventola, che non è abbastanza per rendere l’aria respirabile. Mi sono svegliata presto, e ho passato la mattinata individuando le cose da scrivere sul cv. E poi ho finalizzato il mid-term report che devo mandare. Ho letto. < Poi mi è preso il vuoto. Se non ho qualcuno con cui uscire - e non è facile trovare qualcuno con questo caldo - non me la sento. Non è facile andare da sole, è un assillo e un’umiliazione continui, esasperanti, da gridare, da piangere, da prenderli a schiaffi.

Mai nella mia vita ho sentito questo senso di
impotenza e di noia. Mi sento imprigionata in casa, dal caldo, dagli uomini. Vorrei uscire, andare, ma non riesco. Mi sento male nel mio corpo, mi ci fanno sentire. Non è mai abbastanza; vorrei uno dei loro camicioni per nascondermici dentro. Questo è come mi fanno sentire qui.

Non deve essere così per tutte le donne. Ci sono quelle che
se ne fregano, che si sentono meno limitate; le nordiche soprattutto, mi pare. Sicuramente dipende un po' dalla cultura e un po' dal rapporto che ognuna ha col suo corpodalla cultura perché 
le nordiche, e le scandinave in particolare, secondo me vengono da un contesto dove la parità di genere e il rispetto sono talmente acquisiti, che nemmeno hanno i "recettori" per sentirsi offese nella loro dignità di donna. Io da italiana invece (anche se sono cresciuta in un nord progressista) confronto e confermo la mia identità in base ai codici e ai meccanismi della cultura mediterranea, che è la stessa che c'è qui, seppure estrema; dipende infine dal rapporto di ognuna col suo corpo perché penso ci siano donne che vivono "meno in contatto" col loro corpo, o meno abituate a esprimersi tramite esso; forse loro si sentono meno mutilate...

Faccio come le donne egiziane che si
barricano in casa. E poi non saprei proprio dove andare. Non c’è un parco, un bel boulevard...non c’è nulla di piacevole e rilassante durante il giorno. Questa sera andrò in un locale con Nada e Marta.

La mia camminata ha preso la cadenza lenta degli egiziani. È l'unico modo per resistere al caldo.

11. Il velo: decenza o intrigo?

Mercoledì 30 luglio

Primo classificato in molestie sessuali

Questa sera sono andata a cena con Nada e due sue amiche al Sequoia, un locale abbastanza in vista proprio sulla punta meridionale dell’isola di Zamalek.

May, l’amica di Nada, è egiziana, ha 45 anni, è cresciuta nel Regno Unito e ora lavora in una ONG. Abbiamo parlato a lungo di cosa vuol dire vivere da donna al Cairo, e mi ha spiegato come al momento l’Egitto non abbia eguali nel mondo arabo in materia di sexual harrassment.

Comparati con l’Egitto infatti: il Maghreb è molto più libero sessualmente e vi è quindi meno frustrazione; nel Golfo - fermo restando l’adeguarsi alle loro regole - sono più abituati a trattare con gli stranieri per scopi commerciali e ne interpretano meglio i comportamenti. Come ha detto May, “capiscono, ad esempio, che essere non-vergini non coincide con la disponibilità immediata, né col poter/voler far sesso con qualunque uomo: insomma sanno che anche le donne amano scegliere con chi avere una storia, indipendentemente da se sono vergini o no!", (e ancora mi torna in mente la scena di Persepolis, dove la nonna racconta come gli uomini si relazionino alle donne divorziate)! Infine, in Libano e Syria sono più conservatori, ma lo stesso non succede come qua.

Questa triste primato egiziano è legato alla progressiva crescita della fascia di popolazione maschile “frustrata”, e questo dipende da varie dinamiche sociali:

- Il miglioramento delle condizioni di vita assieme alla sopravvivenza di modelli familiari di tipo tradizionale continuano ad alimentare il boom demografico, facendo sì che i giovani costituiscano più della metà della popolazione.

- L’età del matrimonio si è progressivamente spostata in avanti, un po’ perché più giovani hanno accesso agli studi, un po’ perché col recente peggiorare della situazione economica ci vuole sempre più tempo per mettere da parte i soldi necessari a sposarsi. Va da sé che per chi fa parte della classe medio-bassa ci sono ben poche possibilità di entrare in contatto con una donna al di fuori del matrimonio. L’amico di Sara che mi ha aiutato a trovare casa ha 31 anni, e mi ha detto che è vergine, e io a vederlo ci credo.

Il velo integrale: decenza o intrigo?

Il problema ha assunto una portata importante ed è già elemento di dibattito in alcune arene politiche (questo mi solleva, perché vuol dire che non sono io a esagerare e a non saperlo gestire!). Inoltre, lungi dal riguardare solo le donne straniere, colpisce sempre di più anche le donne egiziane velate, e persino quelle col niquab, ovvero coperte completamente.

A proposito di questo, il nostro security officer, Amir, ci ha raccontato un aneddoto molto eloquente. Un uomo – portato alla polizia per aver molestato una donna coperta – avrebbe detto: “era tutta coperta…chissà cosa c’è sotto!”. Una tale affermazione è interessante, in quanto disconosce di fatto il sistema di valori della cultura islamica!

Il ruolo e l’effetto del coprirsi o del nascondersi è molto diverso tra mondo occidentale e orientale.

"Hot!"
Il commento di un mio amico (italiano) quando ho pubblicato su facebook questo primo piano di tre donne, in cui si scorgono solo gli occhi sotto i niquab, è stato:hot!”. In una società come la nostra dove tutte le frontiere del corpo sono state socialmente abbattute e tutto è posto alla portata di tutti, se pure l’occhio dell’uomo occidentale è abituato a cercare la carne nuda, apparentemente non rimane indifferente al suo contrario e resta intrigato da ciò che è troppo nascosto: ciò che non si vede resta uno stimolo per la curiosità.

Nella società araba tradizionale invece il coprirsi non è una scelta bensì una condizione imprescindibile per la donna, e a differenza della società occidentale, non vi corrisponde alternativa. Anche il concetto di pudore di conseguenza è diverso. In occidente il pudore si oppone alla volgarità, mentre qui resta un concetto molto più neutro, che corrisponde piuttosto a un’affermazione di modestia e discrezione, e non ha necessariamente a che vedere con la repressione. Non avverto in questa cultura il concetto di volgarità, o se lo vedo, è sempre derivato da un’estetica importata dall’occidente.

Le sostenitrici del velo fanno coincidere il coprirsi con l’affermazione della propria esistenza di donna al di là della dimensione sessuale: portare il velo vuol dire mostrarsi prima di tutto come donna e persona, invece di oggetto di attrazione sessuale.

Con questo non voglio né negare l’esistenza di un’ingente pressione sociale a favore del velo, esercitata sia dalle donne che dagli uomini; né il fatto che le donne a sostegno del velo abbiano semplicemente introiettano il sistema di valori dominante; né l’esistenza di una grande ipocrisia in questo ambito. 


Noto solo come in un paese dove mettere in mostra le proprie carni non ha mai fatto parte delle opzioni, la scelta di mantenersi fedeli alle proprie tradizioni e il distacco dall’estetica occidentale non è vissuta dalle donne necessariamente come una privazione, ma al contrario come un’affermazione della propria identità, di donna, e di donna araba.

Escluso quindi l’elemento di “repressione” (L'Egitto non è una società estremista) e tralasciando la mia opinione personale a riguardo, ma mettendomi nei loro panni, perché le donne arabe dovrebbero smettere di portare il velo? Siamo noi donne occidentali forse più rispettate perché non lo portiamo? 


Inoltre, lungi dal limitare l’espressività, il velo è un codice vestimentario come un altro, declinato in mille modi, anche sensuali (e qui si aprirebbe un dibattito complicatissimo sulle contaminazioni occidentali e le differenti maniere di indossare e interpretare il velo...). 


[Si veda anche il post Il gusto di una seduzione di privata]

L’uomo arabo tra oriente e occidente

Ma tornando all'uomo interrogato dalla polizia; affinché un codice, in questo caso il velo, possa generare senso, deve corrispondervi la capacità dell’uomo arabo di interpretarla: in presenza del velo l’uomo d’onore non solo rispetterà, ma proteggerà la donna che aderisca a questo sistema valoriale.

Quello che sta succedendo ora invece, nell’incontro tra culture e nel mischiarsi delle estetiche e dei codici tra oriente e occidente, è che l’uomo arabo è esposto all’estetica e ai codici occidentali; e quindi mentre i codici occidentale e orientale convivono e si sovrappongono, la reciprocità interpretativa non è più scontata e si crea uno scollamento tra il valore tradizionalmente associato a un certo tipo di comportamento (comprese le scelte di abbigliamento) e la loro interpretazione, soprattutto dallo sguardo maschile.

All’interno della stessa cultura araba si è creata una contraddizione valoriale che fa sì che l’uomo arabo vada a importunare la donna in burqua, quella che dovrebbe rispettare, quella "decent" - per dirla come loro sullo stile vestimentario più tradizionale! Questo mi sembra sintomo di una grande confusione simbolico-culturale, in cui versa l'uomo arabo attualmente, stretto tra la volontà di onorare la propria cultura e tradizioni, e l'avanzare della società dell'immagine occidentale, con la sua particolare estetica del corpo femminile.

Dall'altro lato, una donna si copre per conformarsi a certi modelli morali dettati dalla società tradizionale, ma finisce, per lo stesso fatto di coprirsi, per destare esattamente quei desideri che si proponeva di escludere! Così di fatto le donne arabe in Egitto sono private della capacità di padroneggiare i codici della loro stessa civiltà.

Il risultato di tutto ciò è che è impossibile girare per le strade del Cairo per la stizza che ti assale per gli innumerevoli rompipalle. Non che ci sia un reale rischio di essere assalite o violentate - nulla di più impossibile! E’ solo che è psicologicamente talmente profondamente umiliante, talmente la propria femminilità è schiacciata e strumentalizzata che piuttosto che tornare a casa con quella sensazione d’intrinseca sopraffazione e sporcizia, preferisco a volte rimanere in casa. Io sì vorrei potermi nascondere dentro un burqua!

Per concludere, è certo evidente che se una donna ha bisogno di coprirsi (ovvero limitare la libera espressione della naturalezza del proprio corpo) per poter essere considerata come una persona prima di un oggetto di desiderio, qualcuno nella società le sta negando la libertà…di semplicemente esistere! Ma in occidente abbiamo dimostrato di essere così tanto più brave a gestire la nostra “libertà”? E si può considerare tale quando anche questa è fondata sull’estetica ideale maschile?

8. In flagrante reato

Lunedì 28 Luglio 2008

Il caldo è soffocante e avvolgente. La mia stanza da letto è l’unica della casa con l’aria condizionata, ma è talmente vecchia e rumorosa che non riesco a tenerla accesa per più di dieci minuti. Non si può dormire col rumore di un trattore!

È quasi mezzanotte e Ahmed è ancora da me, nel letto, quando suonano alla porta. A me si ferma il cuore e comincio a farmi mille film: qualcuno può aver riferito alla padrona di casa che un ragazzo egiziano sale sempre in casa mia; che sia lei in persona? o addirittura la polizia? Sono sei mesi di carcere per sesso fuori dal matrimonio (reato di fornicazione)– per un egiziano ovviamente – e io e lui al momento siamo inequivocabili. E se invece è il camerunense, uscito di galera e tornato a vendicarsi? Che gli racconto ad Ahmed!?

Guardo lui, che a sua volta cerca una risposta in me. Tento quindi di restare calma e fare come se mi paresse normale che qualcuno mi suonasse alla porta a mezzanotte (e in effetti, dati gli usi egiziani…), mentre cerco di buttarmi addosso le prime cose – decenti - che trovo sotto mano, tremando.

Non è raro essere ammoniti o rischiare lo sfratto per questo genere di cose, e in generale non è consigliabile attirarsi la riprovazione morale della piccola comunità di vicini e portieri dai quali sei completamente dipendente per ogni evenienza tecnico-pratica. A una mia amica è recentemente stato fatto notare dalla sua padrona di casa come fare salire contemporaneamente a casa (si trattava di una cena!) tre ragazze e tre ragazzi non fosse appropriato. La signora le ha intimato di evitare che ciò si ripetesse. Questi si pensano che facciamo le orge! A un’amica di Sara invece le han mandato la polizia; non ricordo se in casa o in albergo, ma credo in casa, dato che in albergo non si può prendere una camera con un egiziano/a senza esibire il certificato di matrimonio. Lei per risolvere la cosa ha dovuto far intervenire l’ambasciata.

Fino ad ora Ahmed con la sua faccia tosta è sempre riuscito a non farsi bloccare dai portieri all’ingresso, infilandosi nel palazzo come fosse il suo. L’ultima volta però gli hanno chiesto dove stesse andando e lui ha dovuto rispondere, seppur limitandosi a dire solo “al settimo piano”. Un giorno però mentre gli stavo aprendo la porta, Milad l’ha visto entrare da me, mentre era fermo ad aspettava davanti alla porta della mia vicina per consegnargli qualcosa. Il giorno dopo Attif già lo sapeva e mi ha salutato saltellandomi intorno con quei suoi due occhi da faina, sghignazzando. Una volta la mia reputazione imbrattata non mi è rimasto che sparare mance a destra e a manca sperando che nessuno facesse la spia con la padrona e di non incappare nuovamente in situazioni tipo “Cameroun” dove l’aiuto della comunità è necessario [si vedano i due episodi de l'idraulico].

Io non ho nessuna voglia di aprire la porta e non rispondo, però in punta di piedi mi sposto dalla camera all’ingresso e ascolto, sperando che chiunque fosse se ne andasse. Suonano ancora. Ma chi cazzo è, e cosa avrà di tanto importante, è mezzanotte!? Ancora faccio finta di niente, ma mentre mi allontano per tornare in camera sento come un rumore di chiavi; tuttora non sono del tutto sicura di quello che ho udito, ma mi è parso che tentassero di infilare delle chiavi nella toppa!!

È mezzanotte, ci sono più di 38° con un’umidità soffocante, ho la pressione bassissima e sono in uno stato onirico-confusionale. Ho perso completamente il senno. Intanto mi immagino la scenda di Ahmed nudo nel letto còlto in flagrante reato.

“Min?” (“chi è?”), faccio avvicinandomi allo spioncino, obbligata a reagire. Vedo due persone. Sento una voce di donna abbozzare una risposta incerta, e l’uomo accanto a lei bisbigliare qualcosa. Poi, in inglese: “I am the daughter in law of Mrs Agaya, I am here for the rent of July”.

Io non ci credo. Dimmi che non è vero, non può essere vero. Sono tornata dall’Italia con dieci giorni di ritardo per un imprevisto di salute e non ho potuto pagare l’affitto in tempo. Appena tornata ho tentato per quattro giorni di seguito di mettermi in contatto con la padrona di casa e il telefono ha sempre squillato a vuoto. Sicuramente non vedendomi tornare alla data stabilita hanno pensato che fossi scappata per non pagare l’affitto!

Ho aperto la porta e ho pagato, dato che avevo già preparato la busta. Ma non avrei dovuto! Avrei dovuto invece urlargli contro che “è questo forse un orario cristiano [tra l’altro sono cristiani copti] per presentarsi a casa della gente? Che io la mattina mi sveglio presto, e che se vogliono l’affitto che mi chiamassero prima per mettersi d’accordo!”, e sbattergli la porta in faccia.

Invece gli ho gentilmente spiegato che se non avevo aperto era perché dopo una certa ora, se non aspetto nessuno, per sicurezza non apro più, e che per giunta la mattina lavoro e mi sveglio molto presto, e che a mezzanotte io normalmente sto già dormendo da più di un’ora, e che perciò mi avevano svegliato. Li ho fatti sentire un po’ meschini (ma avrei potuto farlo di più data la mia esasperazione per le scampanellate notturne) e loro mi hanno chiesto scusa, un po’ imbarazzati, dicendo che normalmente loro passano anche più tardi a casa della gente!