1. Lettera a Bruxelles

Venerdì 14 Marzo 2008

Questo venerdì l’ho passato in casa. Internet del vicino ha funzionato per un po’, e sono riuscita a scambiare qualche mail con i ragazzi di Bruxelles. Quanto mi mancano.

Poi ho attaccato i disegni dei bambini ai muri (del calendario del lavoro); poi sono andata in libreria a comprare un libro, un romanzo egiziano molto famoso, The Yacoubian Building, di Alaa Al Aswany; e poi a casa a scrivere, a ricordare, a digerire.


Cari amici,

È venerdì e quindi io sono a casa (qua la settimana lavorativa va da Sun a Thu), e trovo l'Internet del vicino in un raro stato di grazia, per cui finalmente posso leggermi tutte le vostre mail, da due settimane a questa parte.

Purtroppo dall'ufficio non riesco a fare nulla, né scrivere mail né vedere facebook, e non ho skype. Ancora non ho internet in casa, spero di riuscirci presto: sarà l'ultima vera tappa per assestarmi. Intanto rido da sola e mi commuovo leggendo le vostre cazzate, sempre nuove e originali...

Non so davvero da dove iniziare a raccontarvi. Forse dall'ultima parte. Sono tornata da poco da una settimana di missione nella penisola del Sinai, dove siamo andati a monitorare dei progetti nelle comunità dei beduini. Mi sono presa tanti thè nel deserto nelle loro capanne, con queste donne bellissime e misteriose e questi bambini liberi. E tanta tanta povertà; appena posso metterò le foto su facebook.

Queste donne che non avevano niente ti accoglievano come se fossi un regalo, e mi si scioglieva il cuore con questi bambini, piccoli, che nella loro vita forse non avevano mai visto un'occidentale, o non capivano perché ero senza velo o coi capelli chiari. Non riuscivano a staccarmi gli occhi di dosso; alcuni avevano paura e scappavano. Poi mi prendeva uno sconforto senza fine pensando a che le cose non andavano assolutamente bene...e non vedevo davvero nessuna via di uscita.

In questi villaggi, quando arriva un forestiero, uomini e donne si dividono, e si raggruppano ognuno in una differente sala. La prima volta che sono entrata "dalle donne" ero quasi spaventata.

Immaginatevi 20, 30 fantasmi neri di cui si scorgono, da dietro una sottilissima fessura nel "niqab", solo occhi bellissimi, orientali, con un giro di matita nera. Alcune avevano il viso completamente velato. E' stato emozionante quando poco a poco hanno cominciato progressivamente a svelarsi. Quanti strati, quanti modi, quanti lacci...

Alcune si alzavano il velo da davanti agli occhi, altre si levavano tutto il niquab da davanti al viso e restavano solo col velo normale, scoprendo visi bellissimi di mamme giocose e ragazze sorridenti. Bastava l'avvicinarsi di una voce maschile dall'esterno, e in un secondo avveniva la trasformazione: in un attimo non potevi più la persona con cui stavi parlando poco prima.

Il deserto è stupendo. Il territorio dove siamo stati era tutto un incrociarsi di checkpoints, data la vicinanza a Gaza. Una volta me ne stavo andando in giro per la spiaggia, attorno all'hotel, e una guardia mi ha fermato e mi ha detto di rientrare. C'è il coprifuoco in quella parte di spiaggia...

Questo mondo arabo è ricco e intenso, ma duro. Non pensavo potesse essere così. Sapevo che avrei dovuto prestare più attenzione a certe cose, all'abbigliamento soprattutto, ma non mi immaginavo fino a questo punto. Sto cercando di capire come viverlo al meglio. Lo so che sono legittimata a stare svelata e a vestirmi come voglio (nei limiti della loro decenza ovviamente). E le persone non ti giudicano per questo: anche il musulmano più arrogante e estremista (almeno qui in Egitto) non giudica una cristiana (perché ovviamente qui dire di non essere credente, non è un’opzione) perché non si vela; semplicemente sa che abbiamo tradizioni differenti. Anzi, il velarmi al Cairo sarebbe secondo me più simile a un insulto secondo me, come dirgli: non hai raggiunto nemmeno un grado minimo di civiltà per comprendere questa differenza di tradizioni.

Nella pratica però è diverso, forse davvero è il colore dei miei capelli, ma camminare per strada è davvero pesante, e ancora non ci ho fatto l'abitudine. E poi non sono soltanto gli sguardi per strada. E' tutto un particolare tipo di costrizioni di cui è intrisa la società. So che non posso sorridere ad un uomo con la spontaneità con cui potrei farlo in Europa, perché significa certe cose (già incappata in fraitendimenti), so che non posso dare per prima la mano a un uomo, ma aspettare che sia lui a darmela: è considerato sconveniente che un uomo e una donna si tocchino, anche solo per stringersi la mano...solo alcuni uomini te la porgono; ad altri, se la porgi, te la stringono ma malvolentieri...E poi non esiste un minimo di fisicità e sensualità in niente...In casa mi sparo della musica latinoamericana per ricaricarmi perché mi sento a dir poco ingabbiata...sta arrivando l'estate e non oso immaginare a come potrò/dovrò vestirmi.

Cari tutti, queste alcue impressioni sparse. Vi terrò aggiornati più spesso in futuro appena avrò internet. Penso molto a Bruxelles e alla nostra vita là.

A presto. Un abbraccio,

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Margot

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