10. Donne e bambini

Mercoledì 4 giugno 2008

Credo che una delle più belle esperienze che quest’ anno mi sta regalando sia la metro e suoi i vagoni femminili. Uno spaccato della vita private delle donne tra le donne, al di fuori del loro ruolo di mogli e dell’immagine di fronte al mondo maschile.

La metro è piena di bambini piccolissimi, tutti portati in braccio avvolti in un panno - dato che i marsupi e le carrozzine paiono non esistere.

Ogni tanto una donna si alza il velo scoprendo un bambino attaccato al seno. Ieri ce n’era uno che avrà avuto sui due anni. Se ne è stato pacifico sotto il velo a poppare facendo spuntare solo una mano, con cui cercava e toccava la mamma, o giocava con le donne lì intorno.

Scopro una dolcezza ancestrale e sconosciuta di queste madri coi loro bambini. Queste donne giocano e se li stringono come non ho mai visto fare in Europa, ora. Forse le nostre nonne sì, facevano così, e mi viene in mente la voce cristallina di mia nonna mentre cantava le filastrocche e faceva saltellare qualche nipote sulle ginocchia. Ma è come se per la prima volta vedessi una madre, oppure un modo di essere madre che non avevo mai conosciuto prima. 

Donne che sono una cosa sola coi loro bambini, che giocano con loro e ridono come bambini, che sembrano bambine anche loro, e sorelle delle loro figlie più grandi.

Se nella metro non c’è posto e una donna deve restare in piedi, oppure ha troppi figli da badare, le donne si passano, si scambiano e si tengono i bambini. Con molta probabilità, il bambino comincia a passare di ginocchia in ginocchia, tra le mani di lunghe file di donne in niquab. Mi chiedo cosa pensino i bambini di queste maschere nere, tutte uguali e irriconoscibili.

Donne e bambini sembrano condividere tutto, ritmi, spazi e, per quanto riguarda i bambini più grandi, anche responsabilità. I ragazzi più grandi, fino ai 10-12 anni, seguono la madre nel vagone delle donne, badano i fratelli più piccoli e portano le borse e pesi. Oggi ho visto un ragazzino sui dieci anni salire con la madre e portare un sacco grande in testa come fanno le donne - anni luce dai bambini arroganti e capricciosi con le scarpe Nike che vedo in Italia.

Mi rendo conto di quello che è stata la vita delle donne per millenni, prima che le contraddizioni di questa nostra società occidentale ci portassero a rincorrere modelli di felicità inconsistenti, che in realtà, quanto più ti trascinano lontano dalla naturalezza della vita, tanto più ti rendono impossibile essere felice. 

In questo contesto, d’un tratto mi si illumina un testo letto all’università per il modulo di storia sociale, nell’esame di storia moderna. Un tale storico del ‘500 di cui non ricordo il nome si esprimeva sul ruolo della donna e dell’uomo e sulle relative intelligenze. Senza entrare nel merito delle idee discriminatorie espresse, mi colpì che uno degli argomenti apportati per dimostrare l’inferiorità naturale della donna era proprio l’assimilazione di questa coi bambini - intesi questi come esseri umani in stato pre-logico: dalle fattezze fisiche (senza peli, senza forza), alle dinamiche emotive, ai ritmi di vita, tra donne e bambini non vi era soluzione di continuità, vivendo in piena simbiosi e identificazione reciproca.

Di vero c’è solo che in società tradizionali (dove la ripartizione dei ruoli è fissa e rigida nonché a scapito dell’indipendenza femminile) e in più basate sul concetto di “segregazione sessuale” (ovvero dove un rapporto diretto tra uomo e donna può esistere solo all’interno di ruoli familiari codificati – fratello, padre, marito, zio… - si leggano a questo proposito i lavori della sociologa Fatema Mernissi), le donne non hanno altro che i loro bambini come vero contatto emotivo e d'amore. E conoscendo come si basano qui i rapporti di coppia nelle classi medio-basse, so che di fatto è così. Tuttavia questa naturalezza affettiva che da noi non ho mai visto, e mi strega.

Mi chiedo anche, di fatto, cosa abbiamo guadagnato io e le mie amiche; a quasi trent'anni ancora a barcamenarci tra una carriera che non decolla a causa del precariatola consapevolezza che comunque potremmo perderla in un attimo se incinte, e bloccate tra coetanei a cui la prospettiva di avere figli non sfiora nemmeno l'anticamera del cervello. 

Dall'altra parte ci sono poi le donne che hanno represso l'istinto di maternità - perso non si sa in quale fase della nostra educazione - marginalizzato come se fosse il retaggio di una società antiquata. Queste donne ora mi fanno paura, carrieriste e denaturalizzate; perché vi è una bella differenza tra l'entrare in contatto con la natura della propria femminilità, e il pensare che il desiderio di un figlio sia solo il bisogno "indotto" di un mondo antiquato

O ancora, è forse sana una società che risponde alla frustrazione femminile con l'attenuante che "tanto ora i figli si cominciano a fare a 40 anni" - magari con compagni di ormai 50 anni che nel frattempo forse sono maturati - là dove di fatto non lascia altra scelta? Io non lo vedo tutto questo tempo, e  non siamo giovani per sempre come ci vogliono fare credere. E poi non è solo perché una cosa è possibile che è desiderabile o giusta. Tutto ciò è perversoNoi occidentali in questo siamo diventati perversi.

***

C’è una donna, giovane, che vedo spesso la mattina in metro. Non è velata e spesso porta maniche corte. Dall’abbigliamento e la pettinatura mi sembra essere cristiana copta. Non ci salutiamo, ma ci facciamo cenno e sorridiamo.

Ero in piedi davanti a lei e le davo la schiena. Lei da dietro mi ha messo a posto la maglia, che forse era andata un po’ in su.

Lo stesso mi è capitato nel bagno pubblico di un centro commerciale. Ero appena uscita dal bagno e davanti allo specchio mi lavavo le mani. Non mi ero tirata giù bene la maglia, e la donna delle pulizie mi si è avvicinata e me l’ha sistemata.

Queste donne, quelle di classe più bassa, accudiscono, curano, esprimono la premura e solidarietà in ogni gesto verso le altre donne, verso i bambini degli altri e verso il mondo intero.

Martedì 17 giugno 2008

Oggi ho visto una donna, tutta coperta col niquab, coi suoi tre bambini maschi.

I primi due avranno avuto rispettivamente cinque e sette anni, mentre il terzo era piccolo, di un anno e mezzo. Lei e i due bambini più grande si passavano il più piccolo in continuazione: ho visto il fratello di 5-6 anni tenere in braccio questo pupazzetto e poi passarlo al fratello più grande che lo sballottava e gli dava i baci.



























La madre era tranquilla e li lasciava fare. Io avevo paura che gli cadesse e mi stupivo sia della tranquillità della madre, sia dell’affetto e della responsabilità degli altri due fratelli, entrambi maschi tra l’altro. Una scena così io non l’ho mai vista in Europa, dove i bambini sono spesso egoisti, dispettosi e viziati. Io vedo un amore e un affetto tra queste persone che non ho mai visto; così semplice e autentico che mi commuove.

In generale, mi sono più volte sorpresa a guardare le dimostrazioni di affetto tra bambini e fratelli, o le premure e i giochi degli uomini (a partire dagli adolescenti) verso bambini e bambine piccoli.

9. Fantasmagoria

Certe volte semplicemente non riesco a rimanere ancorata alla realtà. Non so se è una difesa o cosa. Ma è sempre più spesso che mi ritrovo a vivere nel mio mondo. Torno per terra solo quando è strettamente necessario, e con sforzo, ovvero quando lavoro, o quando devo parlare con qualcuno. Ma appena mi siedo in un taxi o mi aggrappo alla maniglia della metro, o comincio a camminare nelle macchine in palestra, o lavo i piatti, o semplicmente cammino per la strada e guardo i negozi, mi trasformo in un personaggio dei miei sogni. Tutto ciò mi fa pensare a Clara de “La casa degli spiriti”.

Non so se preoccuparmi di questa cosa. L’ho sempre avuta, certo. Ma in questo periodo è particolarmente accentuata e non so se la devo leggere come il sintomo di un’insoddisfazione o di un problema da qualche parte più in profondità.

Non ho voglia di sentire la televisone, di leggere i giornali, di andare alle feste mondane. Ho solo voglia di stare in casa con la mia musica a scrivere o leggere o parlare con le amiche, ma solo quelle strette. Mi sento di non poter più sostenere una convivenza e una parte di me ha rinunciato alla prospettiva di una storia stabile; allora cerco di immaginare come potrebbe essere la mia vita da sola, ma non mi piace. D’altra parte però vedo come rigetto, rifiuto, ogni tentativo di avvicinamento nei miei confronti, senza più pormi il problema di distinguere tra chi fa il marpione e chi invece magari esprime un affetto sincero. Getto scariche di spine ai malcapitati ed ergo muri di ghiaccio inesplicabili per chi si basa sugli schemi più classici del rapporto uomo-donna.

Continuo a perdermi tra omuncoli di cui non me ne frega nulla e non mi stupisco della loro rabbia poi. Ora qui c’è Ahmed. Lo stimo e mi piace tanto, anche se mi sembra il solito stronzetto, determinato, competitivo e un po’ egoista. Fa il suo gioco e il suo interesse, e chissà quando e come ammetterà di averne altre. Continua con le sue domande, è carino e non è invadente anche perché credo proprio che non si azzardi, data la sua posizione; lui ora non mi conosce e per questo sa che cosa rischia se solo io fossi una stronza che gli monta un casino sul lavoro. Forse aspetta che gli dia io il la, mentre io aspetto di vedere fino a dove si spinge. Lui continua a fare domande, tutte intelligenti. Davvero mi trasmette tanta vita, forse quella che non ho in questo periodo, che sono tutta presa in una fase di digestione di non so quante vite precedenti. Davvero è un contatto positivo, e io ho voglia di rivederlo. Lui dice che gli piacciono le mie espressioni del mio viso, me lo dice sempre dal primo giorno, quando mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto fare l’attrice.

E poi non lo so, davvero non ho idea di come gestirla qua...fare salire un uomo in casa non è molto ben visto, ed io sono super controllata dai miei bauab.

8. In moschea

Dopo un giro a Kan Al Khalili, io e Grazia siamo etrate in una moschea bellissima, grandissima, con una corte all’aperto tutta di marmo. 

Il sole rifletteva su quel bianco lucido ed era abbagliante. Impossibile da concepire una pace così a un passo dal caos del Cairo. 

Ci siamo riparate per una mez’oretta all’ombra e nella pace. C’era qualche uomo che riposava, uno che studiava. Poi c’è stato il richiamo alla preghiera e ne è entrato qualcuno in più. 

A un certo punto un uomo è arrivato e ci ha fatto spostare. Non capivamo dove volesse che ci muovessimo...lui indicava qualche metro più in là, giusto dopo la colonna. Ci dovevamo mettere dietro una colonna, perché il gruppetto poco più in là non ci vedesse, altrimenti li avremmo distratti dalla preghiera. Dopo un po’ è ripassato, indicandomi la schiena. Non mi ero accorta che la canottiera era su, e si vedeva un pezzo di bassa schiena. Incredibile quanto mi sia sentita inadeguata e in colpa.

In generale mi sento di rispettare questo loro modo di coprirsi. Anche questo è un segno del mio adattamento e cambiamento. I primi giorni quello che sentivo era senso di inadeguatezza, vergogna, prigione, ansia. Ora, perché forse ci ho preso le misure e so quanto mi posso permettere...non mi sento più così costretta e se mi va di scoprirmi un po’ di più lo faccio. Ma a dir la verità va molto a giorni e cambia subitamente da ambiente ad ambiente, a seconda di con chi sono e come mi si guarda…

Oggi c’erano 39°C, e io sono vestita con ballerine, pantaloni neri lunghi, canottiera, maglia a mezze maniche, maglia a maniche lunghe incrociata sopra, e sempre una stola per evenienze varie. Non avrei mai pensato di ritrovarmi vestita così con 40°C. 


7. I bambini hanno fame

Venerdì 2 maggio 2008

Oggi per la strada verso l’ufficio, una bambina si stacca da un gruppetto di quattro o cinque bambine e mi viene incontro porgendomi la mano per stringermela. Con due occhi aperti, sorridenti, incantati, felici mi salutava - “Hello! hello!” – tutta contenta che mi aveva stretto la mano. Io poi forse quel giorno ero particolarmente “esotica” con gli occhiali da sole e i capelli, biondi, per una volta sciolti.

Sabato 3 maggio 2008

Bimba che si avvicina alla 
macchina ci chiede i wafer
Stavo camminando per una stradina con Anna. Una bambina ci è venuta vicino continuando a dire qualcosa che non capivo. Ho pensato volesse soldi e cercando di non intenerirmi ho rifuggito l’istinto di darle qualcosa, sapendo quanto fosse inutile.

Stavo bevendo un succo di frutta in bottiglietta e d’improvviso mi rendo conto come fosse quello il centro della sua attenzione: la bimba mima il gesto di bere. Appena me ne sono resa conto le ho dato la mia bottiglietta, già mezza vuota, e lei si è allontana bevendola.

Mi sono accorta poi che avevamo con noi un’altra bottiglietta intera e che… ma lei era già lontana. 


Un paio di giorni fa a Sakkara mentre ero ferma in macchina, una bambina si avvicina perché mi vede mangiare i wafer. La fine dei wafer è mostrata nella foto qui sopra.

Lunedì 19 maggio 2008

Questi sono tempi difficili in Egitto, le cose vanno proprio male. La food crisis è al suo culmine, i prezzi sono schizzati alle stelle e le persone non riescono più a mangiare. Gli Egiziani sempre più poveri…a volte non ce la faccio. 

Sulla metro ci vanno notoriamente le persone di classe medio-bassa. Nonostante ciò, si aiutano tra loro. Quando passa un venditore di fazzoletti, gli porgono sempre un pound, senza nemmeno sempre prendere i fazzoletti. E qui i mendicanti sono veri invalidi o poveri. In particolare in questi giorni vedo sempre un uomo cieco.

La reazione è stata invece diversa quando una volta è salita una bambinetta sui 6 anni, completamente velata, vestita col tradizionale abito lungo, blu. Anche lei vendeva i fazzoletti, ma nessuno glie li ha comprati. Mi domando se per un qualche motivo etico riguardante il lavoro infantile.

Sabato 30 maggio 2008

Ho dato il succo di frutta al mio bimbo per strada, quello che lavora sotto casa mia. Non credeva ai suoi occhi,e non capiva come e se doveva accettarlo. E poi da lontano mi sono fermata a guardare come ha smesso di lavorare e si è andato a sedere in un angolo all’ombra per berselo. Piccolo…Il giorno dopo mi è rivenuto vicino, si ricordava di me. Solo che io non avevo nulla ed ero al telefono in mezzo al traffico, per cui non ho potuto badargli…

Domenica 31 maggio 2008


Strada Shagarett Al Dorr, sotto casa mia, h.8.00. Un bambino raccoglie da terra, vicino ad alcune piante e arbusti piantati per strada, un vaso di terracotta poggiato lì accanto. E ci beve dentro.

Sabato 14 giugno 2008



Questa mattina per la strada per andare da Liliana, vicino a strada 26 di luglio, vedo tutti i bimbi a vendere i fusticelli di erbe.

Cerco tra gli altri il bimbo che conosco, ed è lì. Sono in tutto tre bimbi piccoli piccoli, di non più di sei anni. L’altro giorno due si prendevano a botte, come due adulti. Poi ce n’è uno più grande, pure un po’ ciccio, che ne può avere al massimo otto e che già vende con l’insistenza di un adulto. Mentre i tre piccolini sono ancora timidi. E infine una ragazzina, forse sui dieci anni, velata.

Uno dei piccoli si avvicina, quello moro. Io non so fare altro che accarezzargli la testa. Gli altri due vedendo il loro amico che attirava le attenzioni, si sono precipitati, tutti gridando “madame, madame!”, ognuno che voleva vincere sugli altri. Poi arriva il bimbo grande, di gran lunga più arrogante. La ragazzina si avvicina per ultima timidamente, e perché il gruppetto ormai si era formato. Erano tutti intorno a me che sgomitavano, e si urlavano l’un l’altro di essere arrivati prima.

Io sapevo di avere molti spicci, per tutti. Mi ero ripromessa di non dargli soldi. Ma questa volta non ce l’ho fatta e ho messo mano al portafoglio. Loro continuavano a lottare. Ho fatto il gesto con la mano perché aspettassero. Si fermavano mezzo secondo e ricominciavano, il bimbo moro in prima fila, perché era stato il primo ad avvicinarmi. Il mio bimbo restava più in disparte. Una, due volte ancora ho dovuto fermarmi e fare con la mano il gesto che fanno loro per dire “aspetta” – equivalente al nostro “ma che vuoi?!”.

Ho tirato fuori cinque pound contati, e per un attimo ho pensato che non sarei riuscita a distribuirli, tanto si affannavano e dimenavano; fino a che non hanno capito che ce n’era per tutti e si sono calmati. Fremevano ma hanno aspettato il loro turno. Il bimbo moro moderava, e sottolineava ogni consegna con un “Ok”. Infine è stato lui quello che è restato per darmi il mio mazzetto di menta. - Malish, malish (va bene così) - Thank you!

Ora mi sono fregata, e non mi lasceranno più vivere. Sono arrivata a casa di Liliana col cuore sciolto e anche sentendomi una stupida per avergli dato soldi. 

6. La manicure

Venerdì 16 maggio 2008

Andiamo a passare un week end a Ras Sudr, io, Liliana e Duncan. Spiagge stupende e acqua cristallina, anche se molto ventoso.

Alla reception io e Liliana – così, per curiosità – chiediamo se è possibile avere una manicure. Il ragazzo di turno risponde – manicure? One moment. - E scompare. Normale. Ogni volta che chiedi a qualcuno qualcosa, questo deve andare a chiamare qualcun’altro, che poi a sua volta andrà a cercare quello che parla inglese.

Questa volta, siccome dubitavamo fortemente che ci fosse il servizio manicure in quell’hotel, e siccome il ragazzo non accennava a tornare, ci siamo direttamente avviati verso la spiaggia, abituate a rinunciare alle risposte.

Dopo venti minuti, quando ormai avevamo dimenticato totalmente il fatto, vediamo trotterellare sulla passerella il ragazzetto, che, fedele al compito assunto, ci portava il suo responso: no, non c’è manicure. Eravamo quasi commosse da tanto zelo e dedizione.

h.23.45 circa. Già addormentata da circa mezz’ora dopo un lauto aperitivo offerto da Duncan, mi svegliano le voci di Liliana e di due uomini, e la luce proveniente dalla porta d’ingresso della stanza. La porta si richiude e Liliana rientra in stanza scocciata sospirando concitata “Questa è un’altra storia egiziana!”.

Io non mi ero accorta di nulla. Il ragazzetto era stato insistentemente a bussare alla nostra porta, e a quella accanto alla nostra, di Duncan, fino a che Liliana non si è svegliata e gli ha aperto!

Ha trovato il ragazzetto che le porgeva una boccetta di smalto. 

“No no, thank you”. Mezza addormentata Liliana lo ha liquidato e ha richiuso la porta senza capire bene il senso di questa visita; solo dopo ha ricollegato che era lo stesso della mattina, e che gli portava lo smalto, anzi, secondo lui, “la manicure”! Poverino, identificando la manicure con lo smalto avrà sicuramente fatto i salti mortali per procurarsi quello smalto, pensando pure di tirarsi su una bella mancia; ma a quell’ora della notte! 

5. Gabbie dorate

Domenica 18 maggio 2008

Con Ayoub e Souraya oggi siamo andati allo Smart Village ad incontrare gli sponsor del Walk the World, un evento annuale di fund raising contro la fame nel mondo.

L'edificio del Consolato italiano






Siamo passati per la zona di Giza. Per risolvere il traffico non trovano nulla di meglio che costruire raccordi su raccordi, sopraelevate interminabili che tagliano la città in qualunque zona, per kilometri. Un raccordo in costruzione rompeva in due per vari kilometri la strada, oscurando, tappando e schiacciando il secondo piano di palazzi storici lungo un bel viale di fine ottocento. Una cicatrice.

È come se la città fosse a due piani. E magari se ci si affaccia al balcone al quarto piano di qualche bel palazzo francese del secolo scorso si può saltare comodamente sul raccordo, mentre gli altri piani sprofondano nell'ombra e nello smog. È quello che accade anche all'edificio del consolato italiano. 



Set da thè

















Sotto questi ponti grigi, che pretendono essere progresso, ma che per me potrebbero essere anche chiamati "degrado" per antonomasia, i pastori fanno pascolare le capre tra cumuli di spazzatura e rottami, si fanno mercati di polli, e le donne improvvisano tavolini per il thè. Come se resistessero coi gesti della loro quotidianità alla violenza della bruttezza che avanza ed erode come un cancro il loro habitat. 

E noi cha andiamo ad “advocare” per la fine della fame nel mondo allo Smart Village. Un luogo lontano dalla città, inaccessibile al normale cittadino, ispirato al Massachusetts Institute of Technology (MIT), e che raccoglie assieme in un campus le più importanti aziende in campo tecnologico e il ministero della comunicazione e nuove tecnologie.

Insomma, cammineremo contro la fame nel mondo in un luogo che è uno schiaffo alla miseria. Cercheremo di creare consapevolezza su questo problema chiudendoci in questa torre d’avorio. Ci si aspetta la presenza di uomini di affari, personalità del mondo diplomatico e politico, e personaggi famosi. Che si stringeranno la mano parlando della propria ultima auto acquistata? 

La realtà e il lusso sono separati da una porta; tra la normalità della fame e la bellezza esiste una discontinuità che prende la forma di portali d'ingresso e mura, che aprono l’accesso a dimensioni da sogno per incuranti turisti e ricchi.

I palazzi belli e integrati col paesaggio, l’architettura rispettosa, etica ed estetica, non sono costruiti per i normali cittadini, ma sono relegati a contesti artificiali: complessi residenziali, resort, alberghi di lusso, campus futuristici.


Anche il mare non è un luogo per tutti. Bisogna accedervi dai resort, perché non esistono le spiagge libere.

Nella strada che porta al canale di Suez, in mezzo al deserto, c’è una porta, una porta da sola, un grande arco con a fianco altri due archi più piccoli e tutto intorno, davanti e dietro, il deserto, il nulla. Cosa sorgerà dall’altra parte?

Fuori da queste gabbie dorate continuano ad ammucchiarsi gli scarti della loro stessa costruzione. La strada che porta a Stella di Mare (il resort a Ein Sokhna dove andiamo al mare) è un deserto sporcato da macerie e sacchetti di plastica dove si moltiplicano solo le industrie.

La popolazione continua a crescere, continuano a  costruire palazzi a scatoletta uno sopra all'altro, che rimangono rigorosamente senza intonaco, mattoni rossi e cemento armato in vista, il tutto a pochi chilometri dal resort fighissimo con campi irrigati e architetture all'avanguardia. La quantità di acqua necessaria per mantenere fontane e giochi d'acqua è semplicemente irrazionale. 


Invece di valorizzare turisticamente la loro storia e naturalezza, la annullano creando dei non-luoghi artificiali e anonimi al loro interno, progettati per un turismo di relax e di spreco scriteriato. 


Ovvio, io ne usufruisco, e come sempre severa mi chiedo se questo sia coerente. E sì, mi rispondo. Perché io vivo qui e ho bisogno di proteggermi. Non possiedo una bella auto in cui chiudermi e accendere l’aria condizionata. L'aria condizionata è il comune denominatore di tanti discorsi, e vedo essere l’unico modo di vivere bene al Cairo. Un modo basato sul chiudere all’esterno la merda che c’è, confinandosi in un mondo finto.
Basta, l’esotismo non esiste più nei paesi meno sviluppati. Esiste solo la nostra spazzatura amplificata alla massima potenza, perché non esiste nessuna misura di contenimento e controllo dei danni. 

Allo stesso modo, il povero qui non ha diritto alla bellezza - mentre io aggiungo un altro tassello all’identità dell’Europa.   

Martedì 20 maggio 2008

Caro L.,

Qua la vita è da morire. Nel senso che la senti scorrere nelle vene, ma a volte è semplicemente troppa e ti viene voglia di urlare. Anna ti avrà detto dell'intensità, che poi si trasforma in stress e poi ridiventa intensità.

Qui la lotta per fare sopravvivere le più basilari dimensioni estetiche fa sì che non mi riesca di mantenere una dimensione culturale.

4. Toccata...e fuga

Lunedì 5 maggio 2008

Aspettavo Anna alla metro Opera per andare in palestra assieme. La chiamo per sapere dov’è, e gradualmente ci mettiamo tutte e due a imprecare al telefono contro di noi e contro il suo tassista che non l’aveva lasciata dalla parte giusta del parco, nonostante le indicazioni date.

Approfittando della mia distrazione, un ragazzetto passa e mi palpa la parte alta del braccio che, quel giorno, avevo lasciato inconsuetamente scoperta in un moto di indipendenza e strafottenza, indossando una maglietta...ben a mezze maniche!

- Vaffanculo, stronzo!! – la tolleranza è minima con 40 gradi e gli affronti continui e quotidiani alla tua rispettabilità.
- Cosaaa??! Oooh, stai calma! – fa Anna al telefono pensando dicessi con lei, mentre si lamentava perché le avevo annunciato che non avrei potuto attenderla, per non fare aspettare troppo Ahmed in palestra. I vaffanculo al ragazzo si sommano e si mischiano ai reciproci nostri.

[Si veda anche Di nuovo, touchée]

Lunedì 19 maggio 2008

Oggi facevo con Liliana la solita strada per andare in palestra, dalla fermata Opera alla Courniche El Nil.

A un certo punto sento una stretta di dietro. Ben stretta e profonda. Mi giro e c’è sto ragazzetto grasso (chiatto, per dirla come Liliana, in napoletano) e di massimo vent’anni che sorride e si mette a correre.

Mi ha completamente congelata e non ho avuto la prontezza di rincorrerlo, né ci sarei riuscita con le ballerine, la borsa della palestra e la mia borsa, eppure correva pure piano, grasso com’era. Gli ho gridato dietro un “fucking bastard” ma non sono riuscita a fare nulla di più. Liliana da parte sua gli ha inveito contro una serie di insulti in un arabo così fluente che ci sono rimasta di stucco; solo che poi mi ha fatto notare che si trattasse invece di napoletano stretto

Lui ha continuato a correre e poi raggiunta una certa distanza ha ricominciato a camminare. Allora io e Liliana ci siamo messe a camminare spedite nella sua direzione; lui era già lontano e irraggiungibile, ma al solo vederci reagire si è rimesso a correre a gambe levate imboccando poi le scale della metro. 

È talmente umiliante, frustrante e dispregiativo che mi sono portata dietro per alcuni giorni la sensazione di quel contatto. È un pubblico scherno e attacco al tuo intimo. Inoltre si avverte chiaramente come l’essere occidentale venga considerato come un “ingresso facilitato”.

[Si veda anche Di nuovo, touchée]

Lun 26 maggio

Percorro il solito tratto di Courniche El Nil che mi porta dalla metro Opera alla palestra. Questo tratto della Courniche è piuttosto chic, ed è tutta un cantiere. Vi sono inoltre case particolari, come per esempio quella della vedova di Sadat, sorvegliate massicciamente.

Capita perciò che in questo percorso si concentrino le due peggiori categorie di uomini, e che, per ragioni inerenti alla categoria, queste si presentino con maggiore probabilità sotto forma di gruppo: sono i muratori, e i soldati. Le mie camminate fino alla palestra sono un supplizio ad occhi bassi, tra cori, fischi e versi di tutti i tipi.

A un certo punto mi sento chiamare “mademoiselle”. Che vuoi, faccio finta di nulla e tiro dritto, occhiali da sole e sguardo basso. Mademoiselle..! La voce si avvicina, come mi rincorresse. Mi volto, e mi trovo un ragazzo sui 35, un po’ grassottello, pelato, di quelli dall’aspetto mansueto e timido.

- Mademoiselle, I just wanted to tell you that a guy there took a photo of your back with his mobile...in case you would like to prevent the police.-

Resto piacevolmente colpita e intenerita, ma col sorriso rassegnato.

- Oh, thank you, it’s really very kind of you...but you know… what could I do...
- Maybe, you should put longer shirts that cover you back.
- I thank you for your advice, but I think of wearing clothes long enough, and that my dressing is in all ways respectful of your habits; I do not want to renounce to my freedom of wearing what I want, since I consider it appropriate anyhow. I think that this is their problem, and not mine…
 
Il ragazzo parla calmo, con voce timida e quasi mortificata. Mi dice che lo fanno spesso, di fare foto (del resto mi è capitato anche ad Alessandria al mare, e durante il viaggio di ritorno da Baharia).

Poi mi racconta di come a certe turiste – di quelle che indossano abiti di sole bretelline, o che non si mettono il reggiseno – dei ragazzini gli abbiano tirato giù le bretelle.

Quando me lo dice, mi trovo però a pensare con una punta di indignazione e un inatteso moralismo che a quelle turiste gli stava proprio bene, e che se lo meritavano, razza di zoccole interculturalmente insensibili! Mi stupisco molto di questo moto e mi rendo conto di come in questi mesi, causa le sensazioni negative accumulate sul mio corpo di donna, abbia  interiorizzato alcuni limiti e adattato la mia sensibilità rispetto a ciò che è socialmente mostrabile o meno. 

Poi ci salutiamo e io entro nella barca che ospita la mia palestra.

Martedì 27 maggio 2008

Nel percorso dalla metro all’ufficio un minibus - di quelli sempre carichi e con almeno un paio di ragazzi appesi fuori dalla porta aperta – non si limita a suonarmi da dietro, ma fa finta di venirmi addosso. Sparato, mi sfiora e poi si rimette in traiettoria. E gli stronzi appesi dietro ridono. - Bastardi idioti - penso, o forse pronuncio - schiantatevi! - non ne posso più...grido di rabbia.

3. Psycho Taxi

Ven 9 maggio

Per tornare a casa da Baharia Ezz ci ha messo a disposizione un taxi. L’autista – un uomo grasso dagli occhi porcini e la bocca paralizzata in un sorriso triangolare – si era fatto accompagnare dal figlio, un ragazzetto decisamente poco sveglio e  po’ strabico.

I due avevano un che di inquietante. L’autista non ci guardava mai negli occhi, ma ogni volta incrociavo il suo sguardo obliquo nello specchietto retrovisore. Ripeteva sempre le stesse quattro parole in inglese, e poi scoppiava in una risata isterica e troppo forte.

Per arrivare al Cairo ci volevano circa tre ore. Vinte dal caldo e dalla stanchezza, io e Anna abbiamo chiuso gli occhi, seppure la consapevolezza di essere osservata non mi permettesse di rilassarmi veramente. A un certo punto Anna apre gli occhi e vede che il ragazzo ci sta facendo delle foto!

Durante la sosta all’unico bar esistente nella strada che collega il Cairo con Baharia, incontriamo i due ragazzi tedeschi e la loro guida, Omar. Io e Anna oltre ad andare in “bagno” (latrina nera e maleodorante invasa di mosche e senza acqua corrente, che abbiamo evitato in favore delle dune del retrobottega), volevamo prenderci qualcosa da bere. Ci sediamo al tavolo con Omar, ma i nostri autisti però, e non capiamo il perché, volevano ripartire subito e cominciano a metterci pressione anche abbastanza sgarbatamente.

Omar propone allora di portarci lui fino al Cairo, con la scusa che la sua macchina aveva l’aria condizionata, e concorda con i nostri autisti un punto di incontro alle porte del Cairo. Ma come sempre mi accade mentre tento di seguire le negoziazioni in arabo, quando finalmente riesco a capirci qualcosa la decisione è già stata presa. Ed è così che non abbiamo nemmeno avuto il tempo di dire ai nostri autisti che volevamo anche ritirare i bagagli dalla loro macchina che loro si erano già dileguati nella polvere, con tutte le nostre cose.

Noi abbiamo continuato a bere con calma il nostro drink. Solo dopo, pensando a che, di fatto, se ne erano andati con le nostre cose ed erano già stati pagati, comincia a salirmi un po’ di ansia. Li abbiamo inseguiti ma siamo riusciti a raggiungerli solo alla fine, al punto d’incontro stabilito.

Arrivate sotto casa ha pure allungato la mano con fare lamentoso ed elemosinante. Io la mancia non glie l’ho data. Il suo sorriso viscido è svanito in un attimo e ha continuato a lamentarsi dal finestrino. Non me ne frega, mi hai fatto fare un viaggio d’inferno e andare di traverso la coca-cola, ridendo istericamente per tutto il tempo oltre ad averci fotografato e spiato per tutto il tempo dallo specchietto retrovisore. 

2. Anna viene al Cairo

Venerdì 2 maggio

Il piano era di fare un giro in centro e poi raggiungere la cittadella, in cui io non ero ancora mai stata. 
Ovviamente l’autista non capisce dove dobbiamo andare ma fa finta di sì, ci porta fuori strada e poi ci vuole fare pagare la distanza percorsa per sbaglio, e io che mi metto a litigare. 
– Anna esci dal taxi! 
– Cosa? 
– Esci dal taxi ho detto! - Se no non riesco a litigare.

Arrivati finalmente alla piazza della cittadella, abbiamo cercato di capire dove fosse l'entrataUn passante ci ha detto che assolutamente era chiusa di venerdì a quell’ora. Un altro che era aperta e che aveva appena visto gruppi di persone entrare. Un terzo, che ci ha trovate riverse sulla mappa, ci ha chiesto se avevamo bisogno di aiuto, e ha anche anticipato la mia diffidenza, dicendo che non lo faceva per avere una mancia, ma perché era laureato in storia dell’arte, e gli faceva piacere dare informazioni sulla propria città.

Oltre a volerci mandare verso una moschea mai sentita, seguendo le sue indicazioni ci siamo infognate in una stradina sterrata piena di immondizia e carcasse di auto, che finiva in un enorme cancello arrugginito chiuso da un chiavistello. Siamo tornate sui nostri passi. 

Abbiamo camminato in stradine sterrate e fangose, e poi in mezzo allo smog, al caldo, al nero del grasso e dell’olio delle officine sciolti sulla strada, scavalcando immondizia e gatti morti. Infine abbiamo raggiunto l’entrata. 








Mercoledì 7 maggio

Partite dal Cairo alle 7:15 per Baharia. Io e Anna ci siamo stese lungo una duna e siamo state così ad occhi chiusi per vari minuti, fino a che la sabbia non ha iniziato a ricoprirci. Solo un vento reso silenzioso dal contatto con la sabbia. Deserto biancoLa sabbia profuma di pulito. Paesaggio lunare. Compagnia piacevole. Calma.






Giovedi 8 maggio



Ieri sera abbiamo visto una volpe del deserto. Si è avvicinata al nostro fuoco. La sera ci siamo uniti a un altro gruppo, composto da una guida e due ragazzi tedeschi. Canzoni, canti e balli beduini nella tenda di Omar. Ezz suonava il bongo e cantava, e poi si è messo a ballare la “danza del cammello”, una tipica danza matrimoniale femminile, che consiste nell’appoggiarsi a un bastone, e a girarvi intorno lentamente mettendo in evidenza il movimento delle chiappe.


Il deserto è uno stato neutro dell'essere. È un azzerarsi dell'anima. È l'uomo di fronte alla natura. È pulito, è caldo, è secco, è infinito, è ondulato. È una distesa di sabbia, ma mai uguale a se stesso, tutt'altro che monotono. 






1. Ordinaria incomprensione

Mercoledì 30 aprile 2008

Spesa al supermercato con delivery a casa. Avevo bisogno dell’acqua e non ci penso nemmeno a portarmela a casa da sola.

Ora, io ho la fortuna di abitare in una casa che ha anche il numero civico. Solo che anche il palazzo accanto al mio ha il numero civico. Lo stesso numero civico. Senza né A o B. No, semplicemente, un altro 26.

Al che alla cassa spiego quale palazzo è, “dalla parte di Ismail Mahamood, non dalla parte di 26 luglio” e gli lascio il mio nome. Ma non è chiaro, “Miss Margot”, mi richiama uno, si, glie lo rispiego, prende nota anche lui sullo stesso foglio, tutto chiaro, lo dice al collega.

Arrivo a casa, passano due ore, ancora non arrivano. Poi mi chiamano a casa, ancora mi chiedono quale palazzo è, glie lo spiego, non capisce, non parla inglese benemi passa un altro...alla fine optano per farsi dire il nome dei bauab.

Finalmente suonano alla porta. Mi poggia tutto in cucina. Ambdullillah. Do la mancia, chiudo la porta. Manca qualcosa. La cosa più importante. L’acqua! E richiamali.

- “Hallo? I’ve just received an order, but a box of water is missing”. 
– “Miss Margot? Any problem?” 
– (…). “Yes. I was just saying that…A box of water is missing.” 
- “Two box of water?” 
- “No, one box of water!!” And so on…

***

Poco dopo mi squilla il telefono di linea fissa.

-   Hallo? – (....)
-   Hallo?? – Miss Margot?
   Yes it’s me...?
   Hi Margot, it’s Turkey! (nooo, il consulente finanziario di sta mattina in banca…ma che cavolo vuole…sono le 20.54 di sera)
   Miss Margot, this morning I forgot to propose you some investments..
   Ah, yes, I tell you, I will stay here only 1 year so I don’t think that the investments are for me…
   Only one year? So few…so bad…Are you from Italy?
   …Yes, I’m from Italy…” – “Italy…where from Italy???
   Ehm, Bologna…
   Bologna beautiful Bologna, I love Bologna…only one year, so bad…and what are you doing after…
   Yes, as I told you I am happy with my account, ehm I will come back to Europe…Well, thank you then
   Ok, so bad…and now you have my telephone number, so for any thing you can call me, at home or at the mobile, for anything…
   Oh thanks, so kind of you…ok, good evening…
   And hope to see you everyday at the bank, you are always welcome…
   ….



Giovedì 1 maggio 2008

Arriva Anna! H 00.25 Cairo, Terminal 2. La vado a prendere in aeroporto col tassista di fiducia Hamdy.


Venerdì 2 maggio 2008


Io e Anna andiamo a fare la spesa e ordiniamo la consegna a casa. Quando suonano alla porta, è lei che va ad aprire.

Ragazzo: hi, where I bot it.
Anna: what?
Ragazzo: bot it, bot it.
Anna: Yes. Yes, I bought it.
Ragazzo: ??
Anna: yes! I bought it!!
Ragazzo: Where can i bot it?!
Margot: Mi sa che ti sta dicendo “put it”. Here here, come, put it here.

E così come sempre durante le consegne a casa, questi ragazzetti ventenni
limitano la loro presenza sul suolo domestico al minimo necessario, scappando
furtivamente sulla soglia della porta di ingresso dove attendono la loro
mancia, tanto attesa quanto intascata altrettanto furtivamente. Non so perché
abbiano una tale ansia di uscire.

Comunque, gli arabi non distinguono tra i fonemi “b” e “p”. O meglio, non hanno
la “p”, e la riconducono a “b”.