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1. L'oasi di Siwa

Giovedì 2 ottobre 2008

Sara è la terza volta che torna a Siwa nel giro di un anno e dice che già l’ha vista cambiare molto. 

I ragazzi si perdono nel rombo di motociclette cinesi, mentre poco più di anno fa si girava solo in asino. Ora cominciano ad esserci varie macchine, e la cosa peggiore è che suonano il clacson! La piazza centrale, dove i negozi erano solo un paio, stanno riempendosi di insegne invadenti che rovinano tutta l'atmosfera visiva, enormi e dai colori sgargianti, tipo quelle delle compagnie di telecomunicazioni. Il personale locale – tutto rigorosamente maschile – è gentilissimo. E sono bellissimi!


Venerdì 3 ottobre 2008

Abbiamo passato tutto il giorno con Youssef, un ragazzino di quindici anni, nel suo taxi: un carretto trainato da Al Pacino, il suo asinoAbbiamo visto due templi, più il cosiddetto “Bagno di Cleopatra”. La sera siamo andati a Fatna Island, dove abbiamo visto il tramonto. Palmeti, olivi, silenzio, solo il ragliare degli asini.
I carretti sono portati solo dagli uomini, dai bambini o dalle bambine. Le donne sposate siedono nel carretto, ma devono sempre essere accompagnate, se non da un uomo, per lo meno dai bambini. Si tirano giù il velo del niquab nascondendo anche gli occhi e si ricoprono dalla testa ai piedi con il loro telo tradizionale blu dai ricami sui toni dell’arancione.

Non ho visto alcun viso di donna sopra i diciotto - vent’anni. Da quando si sposano le loro fattezze scompaiono interamente dalla comunità. Il loro viso continua ad esistere solo per le altre donne e per i pochi uomini che compongono il nucleo familiare. Per la strada, si riconoscono tra loro dalle scarpe, o dall’andatura, o dai bambini che le accompagnano.

Dal lieve movimento della loro testa, io e Sara vedevamo che da sotto il velo nero, sedute immobili sul carretto, il loro sguardo ci seguiva.

Sabato 4 ottobre 2008

Quanto sono belli questi bimbi.

Stamattina avevo poco appetito; una svogliatezza nel mangiare che si è poi trasformata in un tappo alla bocca dello stomaco e in una sensazione di sazietà immediata dopo appena due cucchiaiate di zuppa a colazione, che sfiorava la nausea.


9. Una seduzione privata

Sabato 28 agosto 2008

L’altro giorno in metro sedevano accanto a me due giovani ragazze, una delle quali completamente velata, in niquab. Entrambe guardavano gli appunti dell’università sul quaderno della ragazza coperta. Come facevamo anche noi a scuola, questa aveva disegnato a penna al lato della pagina dei busti femminili; a differenza di noi, in questo caso si trattava di busti velati: due schizzi di donna in niquab il cui fulcro erano due occhi marcatissimi, intensi, ammalianti, dalle ciglia lunghe e i contorni di kajal.

Credo le donne col niquab si dividano in due gruppi.

Da un lato le donne (spesso di mezza età) dagli abiti sdruciti e trasandati per cui il nascondersi è un atto di silenzio, una rinuncia alla personalità in cambio della possibilità di uscire dalle mura domestiche. Alcune di queste donne sembrano esprimere sulle loro figlie le loro vanità represse. Non è raro vedere donne velate, anche completamente (intendo, con anche gli occhi coperti), con bambine estremamente curate e femminili, persino con mini-gonne o la pancia scoperta. L’altro giorno ho visto una donna, integralmente coperta, con una bimba di massimo un anno e mezzo. A parte gli orecchini, che tutte le bambine appena nate già hanno, aveva una collana e anelli in entrambe le mani, tutto dorato.

Dall’altro lato – e si nota soprattutto nelle ragazze giovani – il nascondersi diventa un gioco alla seduzione, una seduzione di cui forse hanno paura, perché demonizzata. Sicuramente è un modo per gestire una sensualità che la loro cultura non gli dà modo, spazio e codici per esprimere. E quindi reinterpretano la seduzione tramite il codice della sua negazione: il coprirsi. Colgo in quei disegni e nell’intensità ammaliante di quegli sguardi un atto affermativo forte riguardo a questa scelta di coprirsi (per tanti lati scelta indotta, ok...ma questo è un altro discorso). È un gioco ad un’affermazione per negazione.

Alcuna di queste ragazze hanno i tradizionali abiti neri, abayatagliati finemente sui fianchi, che lasciano intuire – certo non vedere – le forme del corpo. Gli abiti sono decorati da ricami argentei o paiettes che seguono le linee principali del corpo; se le mani non sono coperte da guanti sottili, spesso il dito medio è decorato da un cordoncino attaccato alle maniche del vestito, che ne assicura la lunghezza. Gli occhi e le sopracciglia sono spesso sorprendentemente curati e truccati.

Che cosa c’è sotto?

Mi hanno ripetuto spesso che in Arabia Saudita, nonostante non sia imposto dalla legge, la maggior parte delle donne indossa il niquab. Mi hanno anche raccontato di come le si veda arrivare dall’estetista e scoprire da sotto quei veli, corpi e visi curati nei minimi dettagli. Anche gli abiti che portano sotto sono femminili e sexy. Qualche volta assisto a rituali simili in palestra.

Mi rendo conto di come, ancora più forte delle implicazioni e ragioni sociali del velo, sia la sua dimensione intima. Io comincio a capire e sentire questo fascino nel rapporto con l’uomo, col proprio uomo. Un gioco di sensualità e possessività carnale molto forti emanano da questo "implicito" riservarsi solo per il proprio uomo (implicito perché la funzione primaria e condivisa del velo è invece un'altra).

Noi occidentali siamo abituate a vedere solo il lato sottrattivo del velo: sottrazione della libertà, del corpo, della bellezza dei capelli; ma in realtà non percepiamo e non sappiamo nulla del riflesso interiore e intimo di questo artificio, che è come un’espansione, una propagazione interiore della femminilità, profonda e ancestrale (una sensazione che riesco a ricostruire solo pensando al contatto con la mia nonna di giù).

L’uomo arabo, da parte sua, sia sente sia trasmette questa “cosa”, e devo ammettere che mi piace e che mi fa sentire in qualche modo valorizzata. Oddio, non posso davvero immaginarmi dire questo ma è così - pur consapevole di tutti i meccanismi sociologici ecc. ecc...sento questa cosa! Con lui sento così. Anche se non metto il velo - perché non posso, non voglio e nessuno se lo aspetta, sarei ridicola - ho capito che fa parte anche di un gioco a due.

E comunque. Mai nessuno prima di lui è stato capace di farmi sentire così serenamente fragile. C'è una forza, una sicurezza e una naturalezza nel suo prendersi cura di me che gli altri non hanno, non così. Come se la maggior parte dei ragazzi occidentali abbia perso la capacità e il piacere di proteggere una donna.

[Si vedano anche i post Il velo: decenza o intrigo?, Matrimonio pre-romantico e oltre, Donne e bambini e Incipit]

3. Un velo non è per sempre

Martedì 12 agosto

Ghada è una mia collega, ha 24 anni e non si copre la testa. Domenica le ho fatto mille domande sul velo e ho scoperto dinamiche che proprio non mi aspettavo.

Da occidentalo, ho sempre pensato all’assunzione del velo come un processo in bianco e nero, ovvero, o bianco o nero: o lo si porta, lo si accetta e ci si crede, oppure no. O lo si comincia a indossare durante la pubertà, per tenerlo tutta la vita, oppure probabilmente si fa parte di una cerchia di persone la cui mentalità non lo riconosce come un elemento di valore.

E invece non è così! Almeno in Egitto, è un processo mutevole che ha a che vedere in certi casi con le fasi della vita, più che con una scelta ideologica di base!

Mi ha parlato di sua madre, che se lo è messo da un paio d’anni dopo essere stata alla Mecca, perché “a una certa età le donne cominciano a vestire in maniera conservatrice; lei ha 50 anni e in più dato che aveva fatto il pellegrinaggio, ha còlto l’occasione - perché di solito così si usa dopo essere stati alla Mecca”.

“Tra le ragazze giovani semplicemente c’è chi non si sente di prendere questo tipo di impegno in giovane età, ovvero di rinunciare alla propria bellezza, alla possibilità di vestirsi come gli pare da giovani” – e qui si potrebbe aprire una discussione infinita sulla contraddizione intrinseca di una tale posizione, essendo il velo un segno di discrezione nonché un modo della donna di affermare la propria distanza dalla vanità o dell’estetica fine a se stessa, di rivendicare un ruolo che va oltre quello di mero oggetto sessuale…

“C’era una mia amica – continua Ghada – una di quelle completamente convinte dell’inutilità del velo, di quelle che non se lo metteranno mai, che per loro non ha nulla a che vedere con l’essere un buon musulmano, ma solo con una limitazione della propria libertà… Beh, lei usciva con un ragazzo. Quando lei gli ha detto con tanta determinazione come la pensava sul velo, e come mai e poi mai se lo sarebbe messo, lui è rimasto completamente schockato!”

“Ma come, se già uscivano insieme e lei non era velata...di cosa si è stupito? Non era implicito che lei la pensasse così se non era coperta?” – ho chiesto.

“E invece no, non era scontato! Il fatto è che molti ragazzi vedono il fatto di essere scoperte come una cosa di gioventù che poi passerà; e comunque pensano che una volta che una donna cresce e si impegni con loro, se lo metta”.

***

Ora ricordo, quando eravamo a cena e parlavamo del velo. Io lo so com’è lui. Ha detto che per le donne il velo è una tradizione, e infine, “Il velo per me è ok”.  Lui è uno di quelli che vuole fare il buono e il cattivo tempo con le straniere, ma la sua donna deve essere vergine e velata.

2. Scomparire, ma senza il velo

Sabato 2 agosto 2008

Simmel, uno dei miei sociologi preferiti, diceva che si comincia ad esistere agli occhi dell’altro solo quando guardiamo; ovvero, esistiamo non quando e non solo se lo sguardo altrui ci raggiunge (quando cioè siamo visibili, visti, guardati), ma quando lo sguardo altrui è ricambiato e validato dal nostro, nella reciprocità.

In verità lui dice che “The eye cannot take unless at the same time it gives...In the same act in which the observer seeks to know the observed, he surrenders himself to be understood by the observed”, ovvero non si può guardare senza non essere visti; o, per la reciprocità, non si è visti che nel momento in cui si guarda, si ricambia lo sguardo.

Io sono una persona aperta, che guarda tutto, che gira la testa, che guarda le facce di chi mi sta intorno. Se sono circondata da uomini, certo mi viene da esplorarne il viso. Nulla di più inappropriato qui, perché è un gesto che trasmette automaticamente disponibilità

Lo sguardo di un uomo non si ricambia, non si deve incrociare.

Quando cammino per la strada, e mi sento tutti gli occhi addosso, devo cercare di resistere alla tentazione di guardare. Per me è molto difficile perciò camminare a testa bassa, guardando in terra. Mi sento di implodere, di annullare la mia esistenza. Di scomparire.

Scomparire, questo è quello che queste donne vogliono. Annullare la loro presenza sociale, nascondendosi dentro vestiti a sacco e a un enorme velo nero, integrale, che a volte copre persino gli occhi. Quanto darei per averne uno e annullarmi…

Ma io non posso. Qui il velo non è obbligatorio e loro sanno benissimo che non fa parte della nostra cultura, e non ci giudicano per questo. E allora che penserebbero di una donna occidentale che se lo mette? Sarebbe una cosa senza senso alcuno, quasi un’offesa, equivalente a dire loro che non sono abbastanza civilizzati da accettare le differenze culturali. Una donna occidentale al Cairo col velo è semplicemente ridicola. Alcune turiste lo fanno, e tutti convengono sul fatto che sono ridicole.

E allora ho trovato anche io un modo per non dover camminare a testa bassa, cosa a cui non sono abituata e che mi umilia; per guardare ma non essere vista mentre guardo. Gli occhiali da sole!

Con quelli riesco a camminare a testa alta senza sembrare sfacciata. Riesco a vedere gli occhi di chi mi guarda, senza in realtà validare il loro sguardo, che resta perciò sospeso nel vuoto, e non brilla di quel disgustoso e insolente fremito di desiderio quando si accorge di incrociare il mio.

***


Lunedì 04 Agosto 2008

Ho comprato una gonna lunga nera, doppio strato. Un po’ bombata tanto per non sembrare una scopa. Di quelle che si sono viste solo nella foto in bianco e nero della tua bisnonna.

Non mi è mai piaciuto come mi stanno le gonne lunghe e non le ho mai portate, ma qui lentamente mi sto adattando a forza di vederle in giro. E poi mi permettono di sentirmi un po’ femminile, non ne posso più di pantaloni lunghi e maglie lunghe che coprono il culo…

Non riesco più a sentire il mio corpo, ad accettarne la sensualità. Ne ho bisogno, mi manca, mi sento mutilata, ma non posso darle voce, devo solo occuparmi a scomparire. 

Ahmed è l'unico momento di respiro in cui possa ricordarmi di essere donna. Ed è così, nel privato, che le donne arabe riservano la loro femminilità solo per i loro uomini.

11. Il velo: decenza o intrigo?

Mercoledì 30 luglio

Primo classificato in molestie sessuali

Questa sera sono andata a cena con Nada e due sue amiche al Sequoia, un locale abbastanza in vista proprio sulla punta meridionale dell’isola di Zamalek.

May, l’amica di Nada, è egiziana, ha 45 anni, è cresciuta nel Regno Unito e ora lavora in una ONG. Abbiamo parlato a lungo di cosa vuol dire vivere da donna al Cairo, e mi ha spiegato come al momento l’Egitto non abbia eguali nel mondo arabo in materia di sexual harrassment.

Comparati con l’Egitto infatti: il Maghreb è molto più libero sessualmente e vi è quindi meno frustrazione; nel Golfo - fermo restando l’adeguarsi alle loro regole - sono più abituati a trattare con gli stranieri per scopi commerciali e ne interpretano meglio i comportamenti. Come ha detto May, “capiscono, ad esempio, che essere non-vergini non coincide con la disponibilità immediata, né col poter/voler far sesso con qualunque uomo: insomma sanno che anche le donne amano scegliere con chi avere una storia, indipendentemente da se sono vergini o no!", (e ancora mi torna in mente la scena di Persepolis, dove la nonna racconta come gli uomini si relazionino alle donne divorziate)! Infine, in Libano e Syria sono più conservatori, ma lo stesso non succede come qua.

Questa triste primato egiziano è legato alla progressiva crescita della fascia di popolazione maschile “frustrata”, e questo dipende da varie dinamiche sociali:

- Il miglioramento delle condizioni di vita assieme alla sopravvivenza di modelli familiari di tipo tradizionale continuano ad alimentare il boom demografico, facendo sì che i giovani costituiscano più della metà della popolazione.

- L’età del matrimonio si è progressivamente spostata in avanti, un po’ perché più giovani hanno accesso agli studi, un po’ perché col recente peggiorare della situazione economica ci vuole sempre più tempo per mettere da parte i soldi necessari a sposarsi. Va da sé che per chi fa parte della classe medio-bassa ci sono ben poche possibilità di entrare in contatto con una donna al di fuori del matrimonio. L’amico di Sara che mi ha aiutato a trovare casa ha 31 anni, e mi ha detto che è vergine, e io a vederlo ci credo.

Il velo integrale: decenza o intrigo?

Il problema ha assunto una portata importante ed è già elemento di dibattito in alcune arene politiche (questo mi solleva, perché vuol dire che non sono io a esagerare e a non saperlo gestire!). Inoltre, lungi dal riguardare solo le donne straniere, colpisce sempre di più anche le donne egiziane velate, e persino quelle col niquab, ovvero coperte completamente.

A proposito di questo, il nostro security officer, Amir, ci ha raccontato un aneddoto molto eloquente. Un uomo – portato alla polizia per aver molestato una donna coperta – avrebbe detto: “era tutta coperta…chissà cosa c’è sotto!”. Una tale affermazione è interessante, in quanto disconosce di fatto il sistema di valori della cultura islamica!

Il ruolo e l’effetto del coprirsi o del nascondersi è molto diverso tra mondo occidentale e orientale.

"Hot!"
Il commento di un mio amico (italiano) quando ho pubblicato su facebook questo primo piano di tre donne, in cui si scorgono solo gli occhi sotto i niquab, è stato:hot!”. In una società come la nostra dove tutte le frontiere del corpo sono state socialmente abbattute e tutto è posto alla portata di tutti, se pure l’occhio dell’uomo occidentale è abituato a cercare la carne nuda, apparentemente non rimane indifferente al suo contrario e resta intrigato da ciò che è troppo nascosto: ciò che non si vede resta uno stimolo per la curiosità.

Nella società araba tradizionale invece il coprirsi non è una scelta bensì una condizione imprescindibile per la donna, e a differenza della società occidentale, non vi corrisponde alternativa. Anche il concetto di pudore di conseguenza è diverso. In occidente il pudore si oppone alla volgarità, mentre qui resta un concetto molto più neutro, che corrisponde piuttosto a un’affermazione di modestia e discrezione, e non ha necessariamente a che vedere con la repressione. Non avverto in questa cultura il concetto di volgarità, o se lo vedo, è sempre derivato da un’estetica importata dall’occidente.

Le sostenitrici del velo fanno coincidere il coprirsi con l’affermazione della propria esistenza di donna al di là della dimensione sessuale: portare il velo vuol dire mostrarsi prima di tutto come donna e persona, invece di oggetto di attrazione sessuale.

Con questo non voglio né negare l’esistenza di un’ingente pressione sociale a favore del velo, esercitata sia dalle donne che dagli uomini; né il fatto che le donne a sostegno del velo abbiano semplicemente introiettano il sistema di valori dominante; né l’esistenza di una grande ipocrisia in questo ambito. 


Noto solo come in un paese dove mettere in mostra le proprie carni non ha mai fatto parte delle opzioni, la scelta di mantenersi fedeli alle proprie tradizioni e il distacco dall’estetica occidentale non è vissuta dalle donne necessariamente come una privazione, ma al contrario come un’affermazione della propria identità, di donna, e di donna araba.

Escluso quindi l’elemento di “repressione” (L'Egitto non è una società estremista) e tralasciando la mia opinione personale a riguardo, ma mettendomi nei loro panni, perché le donne arabe dovrebbero smettere di portare il velo? Siamo noi donne occidentali forse più rispettate perché non lo portiamo? 


Inoltre, lungi dal limitare l’espressività, il velo è un codice vestimentario come un altro, declinato in mille modi, anche sensuali (e qui si aprirebbe un dibattito complicatissimo sulle contaminazioni occidentali e le differenti maniere di indossare e interpretare il velo...). 


[Si veda anche il post Il gusto di una seduzione di privata]

L’uomo arabo tra oriente e occidente

Ma tornando all'uomo interrogato dalla polizia; affinché un codice, in questo caso il velo, possa generare senso, deve corrispondervi la capacità dell’uomo arabo di interpretarla: in presenza del velo l’uomo d’onore non solo rispetterà, ma proteggerà la donna che aderisca a questo sistema valoriale.

Quello che sta succedendo ora invece, nell’incontro tra culture e nel mischiarsi delle estetiche e dei codici tra oriente e occidente, è che l’uomo arabo è esposto all’estetica e ai codici occidentali; e quindi mentre i codici occidentale e orientale convivono e si sovrappongono, la reciprocità interpretativa non è più scontata e si crea uno scollamento tra il valore tradizionalmente associato a un certo tipo di comportamento (comprese le scelte di abbigliamento) e la loro interpretazione, soprattutto dallo sguardo maschile.

All’interno della stessa cultura araba si è creata una contraddizione valoriale che fa sì che l’uomo arabo vada a importunare la donna in burqua, quella che dovrebbe rispettare, quella "decent" - per dirla come loro sullo stile vestimentario più tradizionale! Questo mi sembra sintomo di una grande confusione simbolico-culturale, in cui versa l'uomo arabo attualmente, stretto tra la volontà di onorare la propria cultura e tradizioni, e l'avanzare della società dell'immagine occidentale, con la sua particolare estetica del corpo femminile.

Dall'altro lato, una donna si copre per conformarsi a certi modelli morali dettati dalla società tradizionale, ma finisce, per lo stesso fatto di coprirsi, per destare esattamente quei desideri che si proponeva di escludere! Così di fatto le donne arabe in Egitto sono private della capacità di padroneggiare i codici della loro stessa civiltà.

Il risultato di tutto ciò è che è impossibile girare per le strade del Cairo per la stizza che ti assale per gli innumerevoli rompipalle. Non che ci sia un reale rischio di essere assalite o violentate - nulla di più impossibile! E’ solo che è psicologicamente talmente profondamente umiliante, talmente la propria femminilità è schiacciata e strumentalizzata che piuttosto che tornare a casa con quella sensazione d’intrinseca sopraffazione e sporcizia, preferisco a volte rimanere in casa. Io sì vorrei potermi nascondere dentro un burqua!

Per concludere, è certo evidente che se una donna ha bisogno di coprirsi (ovvero limitare la libera espressione della naturalezza del proprio corpo) per poter essere considerata come una persona prima di un oggetto di desiderio, qualcuno nella società le sta negando la libertà…di semplicemente esistere! Ma in occidente abbiamo dimostrato di essere così tanto più brave a gestire la nostra “libertà”? E si può considerare tale quando anche questa è fondata sull’estetica ideale maschile?

1. Lettera a Bruxelles

Venerdì 14 Marzo 2008

Questo venerdì l’ho passato in casa. Internet del vicino ha funzionato per un po’, e sono riuscita a scambiare qualche mail con i ragazzi di Bruxelles. Quanto mi mancano.

Poi ho attaccato i disegni dei bambini ai muri (del calendario del lavoro); poi sono andata in libreria a comprare un libro, un romanzo egiziano molto famoso, The Yacoubian Building, di Alaa Al Aswany; e poi a casa a scrivere, a ricordare, a digerire.


Cari amici,

È venerdì e quindi io sono a casa (qua la settimana lavorativa va da Sun a Thu), e trovo l'Internet del vicino in un raro stato di grazia, per cui finalmente posso leggermi tutte le vostre mail, da due settimane a questa parte.

Purtroppo dall'ufficio non riesco a fare nulla, né scrivere mail né vedere facebook, e non ho skype. Ancora non ho internet in casa, spero di riuscirci presto: sarà l'ultima vera tappa per assestarmi. Intanto rido da sola e mi commuovo leggendo le vostre cazzate, sempre nuove e originali...

Non so davvero da dove iniziare a raccontarvi. Forse dall'ultima parte. Sono tornata da poco da una settimana di missione nella penisola del Sinai, dove siamo andati a monitorare dei progetti nelle comunità dei beduini. Mi sono presa tanti thè nel deserto nelle loro capanne, con queste donne bellissime e misteriose e questi bambini liberi. E tanta tanta povertà; appena posso metterò le foto su facebook.

Queste donne che non avevano niente ti accoglievano come se fossi un regalo, e mi si scioglieva il cuore con questi bambini, piccoli, che nella loro vita forse non avevano mai visto un'occidentale, o non capivano perché ero senza velo o coi capelli chiari. Non riuscivano a staccarmi gli occhi di dosso; alcuni avevano paura e scappavano. Poi mi prendeva uno sconforto senza fine pensando a che le cose non andavano assolutamente bene...e non vedevo davvero nessuna via di uscita.

In questi villaggi, quando arriva un forestiero, uomini e donne si dividono, e si raggruppano ognuno in una differente sala. La prima volta che sono entrata "dalle donne" ero quasi spaventata.

Immaginatevi 20, 30 fantasmi neri di cui si scorgono, da dietro una sottilissima fessura nel "niqab", solo occhi bellissimi, orientali, con un giro di matita nera. Alcune avevano il viso completamente velato. E' stato emozionante quando poco a poco hanno cominciato progressivamente a svelarsi. Quanti strati, quanti modi, quanti lacci...

Alcune si alzavano il velo da davanti agli occhi, altre si levavano tutto il niquab da davanti al viso e restavano solo col velo normale, scoprendo visi bellissimi di mamme giocose e ragazze sorridenti. Bastava l'avvicinarsi di una voce maschile dall'esterno, e in un secondo avveniva la trasformazione: in un attimo non potevi più la persona con cui stavi parlando poco prima.

Il deserto è stupendo. Il territorio dove siamo stati era tutto un incrociarsi di checkpoints, data la vicinanza a Gaza. Una volta me ne stavo andando in giro per la spiaggia, attorno all'hotel, e una guardia mi ha fermato e mi ha detto di rientrare. C'è il coprifuoco in quella parte di spiaggia...

Questo mondo arabo è ricco e intenso, ma duro. Non pensavo potesse essere così. Sapevo che avrei dovuto prestare più attenzione a certe cose, all'abbigliamento soprattutto, ma non mi immaginavo fino a questo punto. Sto cercando di capire come viverlo al meglio. Lo so che sono legittimata a stare svelata e a vestirmi come voglio (nei limiti della loro decenza ovviamente). E le persone non ti giudicano per questo: anche il musulmano più arrogante e estremista (almeno qui in Egitto) non giudica una cristiana (perché ovviamente qui dire di non essere credente, non è un’opzione) perché non si vela; semplicemente sa che abbiamo tradizioni differenti. Anzi, il velarmi al Cairo sarebbe secondo me più simile a un insulto secondo me, come dirgli: non hai raggiunto nemmeno un grado minimo di civiltà per comprendere questa differenza di tradizioni.

Nella pratica però è diverso, forse davvero è il colore dei miei capelli, ma camminare per strada è davvero pesante, e ancora non ci ho fatto l'abitudine. E poi non sono soltanto gli sguardi per strada. E' tutto un particolare tipo di costrizioni di cui è intrisa la società. So che non posso sorridere ad un uomo con la spontaneità con cui potrei farlo in Europa, perché significa certe cose (già incappata in fraitendimenti), so che non posso dare per prima la mano a un uomo, ma aspettare che sia lui a darmela: è considerato sconveniente che un uomo e una donna si tocchino, anche solo per stringersi la mano...solo alcuni uomini te la porgono; ad altri, se la porgi, te la stringono ma malvolentieri...E poi non esiste un minimo di fisicità e sensualità in niente...In casa mi sparo della musica latinoamericana per ricaricarmi perché mi sento a dir poco ingabbiata...sta arrivando l'estate e non oso immaginare a come potrò/dovrò vestirmi.

Cari tutti, queste alcue impressioni sparse. Vi terrò aggiornati più spesso in futuro appena avrò internet. Penso molto a Bruxelles e alla nostra vita là.

A presto. Un abbraccio,

--
Margot

5. Sinai: ritratti di donne

Penisola del Sinai – 07-13 marzo 2008

La sabbia tra le mani

In questa comunità, un’anziana donna mi invita a rilassarmi sul mucchio di sabbia – parte di un cantiere – su cui stavo guardando i bambini giocare. Io esito; la sabbia è un piacevole ricordo di bambina, ma ora è scomoda, invadente e fastidiosa.

Lei invece ci si butta, si siede, e con la mano ne appiattisce un po’ al suo lato, con dei colpettini, e mi fa segno di sedermi. Ne prende poi una manciata, la sbriciola, se la rigira nelle mani, e mi sorride. Mi sta dicendo che è piacevole da tenere nella mani, è fresca.

Una bambina mi dà un bacio e la madre insiste perché mi regali la sua collana di perline gialla e blu. Io cerco
di rifiutare, perché purtroppo non ho nessun regalo da dare in cambio, ma non me la danno vinta. E poi mi chiedono se sono sposata e ho bambini.

L'accoglienza

In questo sito sono particolarmente poveri. Le donne mi aspettavano sempre tutte assieme in una sala, e mi hanno accolta in una maniera particolarmente calorosa. Vi è sempre una specie di “matrona” nel gruppo, che parla con “lo straniero”, spiega e coordina le presentazioni, offre il thè. Tutte si sporgevano per stringermi la mano, le bimbe ridevano, la “matrona” mi teneva la mano e mi tirava verso l’interno. Purtroppo non c’era abbastanza tempo: “un’altra volta allora ti fermi di più!”, mi ha detto.

E’ difficile gestire
questo entusiasmo (per me) immotivato, la consapevolezza delle aspettative riposte dall’altro, questa sensazione di responsabilità, e di impotenza. Mi fa sentire piccola. Quando esco dalla “casa delle donne”, la mia ospite mi sistema la stola sulla spalle.

***

Insieme a Rhim ho visitato altre donne. Quelle di oggi erano diverse, coperte quasi integralmente. Alcune si aggiustavano sempre il nikab, stringendo quanto più la fessura attorno agli occhi; altre si tiravano giù il secondo velo, coprendosi completamente anche gli occhi. Seppur coperti, si riuscivano a distinguere bene sotto il velo. Altre avevano i guanti; altre ancora stringevano la mano da sotto il velo. Una ragazza aveva un neonato (quanti bimbi piccoli ho visto oggi!), e per allattarlo se lo è infilato sotto il velo - che la copriva per metà - dove teneva il seno scoperto. Quando si è sollevata il velo e per ficcarci sotto il bimbo, non ha avuto tuttavia reticenza a mostrare il seno. Tra donne, è tutto naturale.

“Ma io ti amo!” - 
Dialogo tra una coppia di beduini 

Lei è la donna bellissima della foto. 
Lui è un uomo anziano, di almeno vent'anni più vecchio di lei.

- Lei, rivolta al mio collega Khaled: Io non ho diritto ai sacchi di riso, perché sono la sua seconda moglie, perciò non sono beneficiaria del programma. Che dire, ho sposato l’uomo sbagliato (ammicca al marito, sorridendo). E che devo fare ora, chiedo il divorzio? (ride)
- Lui: Eh sì, bisogna che chiedi il divorzio!
-
Lei: Ma io non mi voglio divorziare da te, io ti amo!
- Lui: Beh, se mi dessero 15.000 pounds, io mi divorzierei da te!

- Lei: Va bene, allora divorziamo, ti prendi i soldi, però poi fammi restare con te.
(ridono assieme).
Mi è parso uno scambio di affetto tanto dolce, tra una donna giovane e bella e il suo marito anziano,
che si vogliono bene sinceramente, in una condizione di estrema povertà. (Per dare un’idea dell’abisso economico: quello che per loro corrispondeva ad una somma da lotteria era inferiore a un mio stipendio mensile).

Mi metto il velo
Oggi mi sono velata, e devo dire che va molto meglio. Non so se si trattasse di un miglioramento oggettivo o se fosse un’impressione personale, perché mi sentivo più rilassata. In ogni modo è il risultato che conta, e io mi sentivo più a mio agio. E certo non mi costa nulla pormi un velo in testa, tanto più che qui nel deserto, tra il vento e la sabbia è una vera e propria esigenza - e scopro in un istante quali siano le origini di questa usanza. Tutti si coprono, anche uomini, bambine e bambini. Non sono rari gli uomini che si coprono anche la bocca. Sanno girare, piegare e fissare il velo in modi diversi, creando la versione primordiale del niquab.

Al velo sono stati attribuiti nel tempo strati di significati legati alla decenza, alla protezione dagli sguardi indiscreti, al rispetto; significati che la religione musulmana ha fatto propri e acuito. Ma sono convinta che il suo uso nelle zone rurali sia ancora legato a una componente essenziale del suo significato: quella funzionale, componente con la quale altrove si è completamente perso il contatto nel tempo.


Alle origini delle usanze e delle tradizioni, anche quelle che ci sembrano più inspiegabili e arbitrarie, c’è sempre una relazione diretta con una condizione oggettiva; una ragione, un motivo, un collegamento col mondo dei fatti e della natura. Nel perpetuarsi e nelle ripetizioni dell’usanza, durante le generazioni, questo motivo iniziale viene progressivamente dimenticato, e resta solo la forma finale, il rituale.

***

Oggi ho una maglia un po’ più scollata. Appena toltami la felpa, noto che una delle partner governative fa notare qualcosa in arabo a Rhim, perché me lo traducesse. Ho capito subito di cosa si parlasse: della spallina del mio reggiseno che spuntava da sotto la la maglia...

Nekhel


A Nekhel, al centro del Sinai, ci siamo fermati in un piccolo alimentari. Al banco, un uomo e la sua donna, coperta col niquab. Mi ha osservato intensamente con quegli occhi neri, da dietro la sua “maschera”. Al momento di pagare ho chiesto a Kassem di tradurmi il prezzo. Solo a quel punto ha domandato “ma non parla arabo?” – “No, è italiana”, le ha detto Kassem.

Non so perché, ma il suo sguardo si è rilassato, e ha detto qualcosa; “she says you are very beautiful”, traduce Kassam. Ringrazio in arabo. Sorride, si avvicina, allunga le braccia, mi prende una mano e mi bacia, con le labbra coperte dal velo. Ricambio, entrambe sorridiamo, lei solo con gli occhi. Mi ha riempito di calore, e quando me ne sono andata di nuovo, si è protesa verso di me, e io le ho preso una mano salutandola.

Io avevo il capo coperto da una sciarpa legata all’indietro come un concio, in una maniera non tradizionale; in più ero vestita con pantaloni sportivi e una felpa. Per essere araba
forse sarei stata un po’ trasgressiva, e lo sguardo indagatorio o confuso dell’inizio poteva essere forse dovuto a un pregiudizio. Tutto si è ribaltato comunque quando ha saputo che ero italiana, forse per l'entusiasmo di vedere uno “straniero”, per di più col velo.

3. I primi sguardi (intorno a/su di me)

Martedì 19 febbraio 2008

Come osservano, tutti, donne e uomini.

Io non mi castigo, ma pare che qualsiasi centimetro visibile della mia pella sia degno di essere guardato con stupore. Molte saranno paranoie, però di fatto mi portano a controllare ogni minimo mio gesto. Oggi per esempio mentre aspettavo la metro volevo tirarmi su il gambaletto che scendeva, e così facendo ho tirato su anche il jeans scoprendo mezzo polpaccio. Mi sono chiesta se le arabe lo avrebbero mai fatto, se fosse considerato inadeguato, o se semplicemente il solo fatto che a farlo sia un’europea bionda dalla pella così bianca rende quei centimetri di pelle più curiosi.

Le donne nella metro mi guardano tanto. Sicuramente si chiedono perché una “ricca europea” debba, o voglia, mischiarsi a loro. Non solo gli europei che vanno in metro sono pochissimi, quasi inesistenti; ma pare che a prendere la metro siano le persone delle categorie più svantaggiate e conservatrici, per cui la mia distanza da loro è ancora più forte. Ci sono molte donne coperte integralmente con niquab e guanti. Oggi una mi era seduta davanti. Già mi fissava prima che il posto di fronte a lei si liberasse e io andassi a sedermici. Poi non mi ha letteralmente staccato gli occhi di dosso, guardandomi sia il viso sia le mani. Gli uomini guardano un sacco e dicono non so cosa...meglio non saperlo.

Ieri dopo il lavoro ho fatto un giro a Zamalek, il quartiere dove abito, un'isola sul Nilo. E’ pieno di negozietti e sempre pieno di gente. Ovviamente questo casco biondo che mi trovo in testa è qualcosa di davvero fastidioso. Sono tentata di tingermi in capelli di scuro, ma sarebbe un casino poi mantenerli.

Il velo noi lo associamo alla frustrazione o alla negazione della libertà, o della femminilità, ma per me non è affatto così. Sì, di base nasce per quello, ovvero, è il simbolo della limitazione dell’identità sociale della donna, della restrizione della sua libertà di movimento al di fuori delle mura domestiche (come scrive Fatima Mernissi). Ma è anche noto come le società si appropriano di certi costumi facendoli evolvere e generando dinamiche nuove.

Io queste ragazze le vedo presissime dalla loro femminilità, e sensuali e intriganti lo sono davvero. Si sistemano i veli in tanti modi diversi, come se fossero vere e proprie pettinature. Ed esistono una tale varietà di modelli tali da disegnare e creare tutta una gamma di segni e posizionamenti all’interno del loro codice di gusto. E’ bello vedere le diverse combinazioni e i diversi dosaggi tra elementi arabi e occidentali. Si va dalla ragazzina vestita da rapper ma col velo, alla donna in tailleur sempre col velo, a quella compleatamente occidentale, a quella col niquab, a quella vestita in tunica lunga ma con veli tutto pizzi e provocanti. Mi piacerebbe comprarmi un niquab. Può sembrare stupido detto dalla mia posizione, lo so, detto da me, ma mi piace...

Oggi un mio collega mi ha fatto un briefing sui beduini. Mi ha detto come da loro il velo integrale nelle donne non sia da collegarsi tanto, o per lo meno non solo, alla religione quanto soprattutto alle asperità del territorio. Anche gli uomini infatti si coprono testa e volto (soprattutto bocca), e persino in città ne vedo tanti.

Questo pare un tipico caso in cui in quella che pare una manifestazione culturale del tutto “arbitraria” (perché coprire la testa e non i piedi come in Cina??), si riescono a determinarne le radici “relative” a una precisa componente contingente e fattuale. Ovviamente la cultura si deposita e si manifesta per strati, e in questo caso la componente religiosa potrebbe avere formalizzato e arricchito di significato rituale un fenomeno che esisteva già come manifestazione di un’esigenza pratica, in particolare quella di ripararsi dalla sabbia e dal sole.