3. Storie di egiziana amministrazione

Il muffin
Bar di una delle palestre più in del Cairo. Si tratta di un Costa cafè, una nota catena fondata da italiani e di rinomata qualità - a parte eccezioni... 

Ho un’ora di tempo prima di andare dal fisioterapista. Ho appena fatto due ore di allenamento e sono fiera di me, ma non posso aspettare così tanto. La voragine si impone. Ok, prendo un succo di fragola; no, ho proprio fame; ok, mi concedo un dolce. Uhm, c’è rimasto poco. Due muffin giganti (li visualizzo come due noci di burro giganti), un croissant salato, e due confezioni con 4 mini-muffin l’uno. Riescono a passare il test delle calorie, molto blando dato il mio stato. 

Seduta al tavolino, addento il mio primo muffin. CRACK. Non dovrebbe fare questo suono. Ci rimetto per poco un dente e la gengiva è compromessa. Non dovrebbe essere così un muffin. Gli riporto il pacchettino da quattro, con un muffin mezzo addentato. 

- Scusa, è un po’ duro. Stringo il muffin tra due dita e non lo incrino di mezzo millimetro. Lui non fa una piega. 
- Ah, si, allora prendi questi. E mi dà il secondo pacchettino che stava in vetrina, distinto dal primo solo da un velo di zucchero sopra. Uhm. Sta scherzando spero. Oppure sono stati prodotti in ere geologiche differenti. 
Prendo uno dei muffin spolverati in mano e la non-reazione è uguale. - Ma scusa – lo guardo attonita – anche questi sono duri! I muffin non è che sono proprio così...Lui mi guarda fisso e non dice nulla. Il tipico spirito di reazione! 

- Che cosa posso prendere per 13 pounds che sia buono? - Indico il croissant. - No, anche quello è vecchio! - Mi dice candidamente. 

Sento l’incudine cadermi sulla testa, e la gocciolina accanto alla guancia. MA ALLORA LI VUOI TOGLIERE DALLA VETRINA???! 

Mi riverso su una torta ai datteri e pasta frolla, fresca, buona, felice di vanificare le mie due ore di allenamento. 


Il festival di cinema
Uno ti chiede - ma perché sei sempre stanca
- Risposta: perché abito al Cairo
- E allora? Che fai al Cairo di tanto stressate
- Eh, sai, devo attraversare via 26 luglio due volte al giorno...Devo comprare i biglietti della metro...Devo prendere un taxi per arrivare in un posto che non conosco...ordinare il lunch per telefono...Prendere un appuntamento dall’estestista...andare all’Opera per il festival del cinema. Sai com’è. 
- Ah. Ehmbé? 
Ebbene. 

Decido di accompagnare Liliana all’Opera, dove si sta tenendo il festival annuale di cinema e Liliana voleva vedere un filme serbo. Voglio solo passeggiare in un contesto architettonicamente sensato, e poi andarmene a casa perché sono troppo fusa per vedere il film. 

Nonostante il proverbiale senso dell’orientamento di Liliana raggiungiamo la palazzina in questione in modo abbastanza fluido. Ecco, quella deve essere la sala piccola. La lunga vetrata lascia intravedere la fila di poltroncine. Bisogna solo entrare e prendere il biglietto. 

Appunto. 
Entrare = trovare l’entrata + trovare un’entrata che sia praticabile + trovare un’entrata che sia giusta. 

Prendere il biglietto = trovare un botteghino dei biglietti + trovare un botteghino che venda i biglietti + trovare un impiegato che sappia in quali sale si tengano i film + darti la giusta combinazione biglietto-sala. 
L’avreste mai detto? 

Giriamo intorno alla sala, ma il passaggio è ostruito da ogni parte. Lateralmente ci sono transenne intersecate con cavi nel pavimento. Giriamo attorno, ma di fronte ai muri inizia a prendere forma un’immensa struttura di palco scenico, di cui non si capisce la forma, l’inizio e la fine. 

Sembra una costruzioni di lego. Non c’è alcun corpo centrale, e sembra piuttosto una serie di corridoi sopraelevati e ricoperti di appezzamenti di moquette rossa e blu. Dei ragazzetti ci dicono che non si può passare in mezzo alla struttura e di andare dritto. Ripieghiamo e continuiamo a muoverci in maniera parallela alle mura della palazzina che dobbiamo raggiungere, continuando a girarci intorno, in cerca di un varco. 

Arriviamo di fronte al lato principale. Si tratta chiaramente dell’entrata. Sì, c’è una grande entrata dietro...dietro il palco. Siamo arrivati anche di fronte a quello che sembra il corpo principale del palco, che essendo rialzato copre con la sua piattaforma l’entrata, fino a metà. E che, ci deve essere un passaggio laterale, un piccolo corridoietto che per la prospettiva non riusciamo a vedere. Dato che venivamo da sinistra, senza successo, continuiamo a girare attorno verso destra, cercando un varco. Ma no invece, è bloccato anche di qua, e un ragazzetto che spunta da dietro a una transenna ce lo sottolinea. 

ODDIO ODDIO ODDIO. Io e Liliana cominciamo a pronunciare questa parola col consueto tono. Ma dove cazzo si entraaaa allora??? In risposta, solito sguardo egiziano che non si capacita. 

Dal palco. Chiaro. Saltiamo sul palco, percorriamo la distanza che ci separa dal grande atrio in vetro, e saltiamo giù dal palco, direttamente all’interno del palazzo. C’est pas plus simple que ça. C’est evident! 

Ora Liliana deve prendere i biglietti. C’è un tipo che parla appoggiato alla biglietteria. All’inizio non ci facciamo caso, poi ci svegliamo e ci accorgiamo che sta telefonando a uno a uno a tutti i suoi amici e parenti per sapere che posti vogliono all’Opera! E’ lì da più di 10 minuti e ovviamente non si sposta. Liliana si fa breccia e riesce a chiedere all’impiegato, per sicurezza, se è lì che si vendono i biglietti per i film. Sì. Ok, almeno aspetto sicura. 

Terminata la consultazione familiare e toltosi il tipo da quel posto, Liliana si fa avanti e chiede il biglietto per il film. Ah no, non è qui che si vendono. Ma come prima mi ha detto...? Inutile. Perché insistere a fare domande di questo genere. 

Io distrutta e col mal di pancia abbandono la mia amica e vado a casa. Non avrei sostenuto altri due salti su e giù dal palco dato come stavo, e ho voluto cercare un’uscita...più lineare. Ho trovato una porta aperta sul lato della sala, con tanto di guardia. Ne sono uscita scavalcando una serie di lunghi rotoli di moquette ammassati uno sull’altro e che ricoprivano sia l'uscita che il porticato al di là del passaggio.

Il giorno dopo avrei saputo che dopo aver acquistato il biglietto (non mi ricordo dove ci è poi riuscita) per il film serbo, ed essersi seduta nella sala, si è accorta che quello non era il film giusto, ma un film inglese! Tornata per chiedere spiegazioni gli hanno detto candidamente che il suo film stava nell’altra sala. Grazie per l’informazione. 


Venerdì sera, sulla courniche
Stavo tornando con Ahmed da Maadi verso Zamalek sulla courniche di Giza, una delle arterie principali del Cairo. Il traffico si muoveva su quattro file. Anzi, stava fermo. Ahmed imprecava, ché non capiva perché non si muoveva. Io ho detto che è venerdì e che è normale, la gente esce. No invece, non a questo punto. Arriviamo in prossimità del parco faraonico. C’è più movimento, ci deve essere qualcosa, dice lui. 

Sì, sembrava un grande evento, e soprattutto la causa del traffico. Le macchine avevano parcheggiato in doppia fila e una macchina con le quattro frecce davanti a noi stava inaugurando la terza, subito seguita da altre, lasciando alle macchine solo una fila su quattro in cui passare. 

Dalla macchina scendono due energumeni tamarri e tre fighette coi tacchi da 10 cm. Io pensavo che la macchina si fosse fermata per lasciar scendere le fighette coi trampoli e poi andare a parcheggiare più avanti. E invece nooooo! Come nulla fosse hanno chiuso la macchina e hanno raggiunto le rimbambite, che aspettavano girate, con il peso su un anca e una mano su un fianco.

Non ci potevo credere! Ho riversato i miei sguardi più carichi di disgusto, e la cosa più frustrante è stato ricevere indietro sguardi attoniti e interrogativi. 

E voi direte: anche a Roma parcheggiano in doppia fila
Ok, ma quando magari in tutta la città non si trova più nemmeno un posto in prima (e comunque magari per inaugurare la terza già si fanno degli scrupoli...). 

Qui no! A soli 50 METRI dall’entrata del locale infatti il marciapiede era COMPLETAMENTE VUOTO! Tutto purché non camminare - qui considerata un'abitudine da straccioni. E la cosa più intollerante è che lo stato glie lo lascia fare, l’importante è avere i soldi per pagare le mandrie di soldati che tappezzano la città. Poco importa se un'ambulanza non riesce a correre all’ospedale.

2. La telefonata tipo: appuntamento dall'estetista

(data la natura del servizio richiesto, ciò si ripeteva regolarmente e senza alcun progresso)

- Sabah El Khir...?
- Hallo, Sabah El Khir. I would like to take an appointment for a wax, full leg, when is it possible?
- Do you want to come today?
- No, not today, in the coming days. When is it possible?
- One moment please (questa frase arriva tra il secondo e il terzo scambio conversazionale, inesorabilmente. Seguono secondi di trambusto e una nuova voce si interfaccia al telefono).
- Hallo?
- Yes, Hallo. I wanted to take an appointment for a wax, in the coming days...
- Today it is fully booked.
- Yes, yes…I guessed so, not today. I would like to know when it is possible. In the afternoon because I work during the day.
- Tomorrow at 1 pm?
- No. In the afternoon, I work at 1 pm, after 6 maybe.
- Do you want to come at 6?
- No, I said that for me it is ok after 6. Anyway. Whenever is more suitable for you, starting from 6.
- I am very sorry, at 6 is not possible, it is fully booked tomorrow.
- Ok. Then. WHEN IS IT POSSIBLE TO COME, AFTER 6? I don’t know, maybe Wednesday or Thursday..?!!
- Can you come at 5?
- At 5? Ehm...maybe, but when?
- At 5 then.
- No, but WHEEN??!!
- On Friday is ok?
- No, it is not ok on Friday, I am not in Cairo on Friday, and it is too late!
- On Saturday?
- Ok, it’s ok, thank you, I will call another time.
- Thank you a lot madame, I am very sorry…
- Yes ok…

1. Metamorfosi

Venerdì 7 novembre 2008

Ciao Andre.

(...) Io sto vivendo un periodo assurdo se ci penso. Sto molto spesso da sola, non esco quasi mai. Perché sono stanca, e perché non voglio conoscere gente. L'anno trascorso a Bruxelles mi ha lasciato un misto di appagamento sociale (perché ho incontrato così tante persone belle che amo da poterci riempire la vita intera) che si traduce nel disinteresse a conoscere nuove persone.

Qui ho poche, brave amiche con cui mi vedo, ci aiutiamo e sosteniamo. Ma quasi mai esco, per stanchezza e perché non riesco a respirare fuori, e rifuggo il rumore assordante che c'è per le strade.

Qualche thè in casa assieme, chiacchere e poco altro. Incontro persone interessanti, ma non ho voglia di approfondire. Non ho voglia di mettere in gioco energie, di scavare, conoscere. Io sono così: se scelgo e decido che una persona è valida, allora indago, chiedo, ascolto. E questo prende così tante energie che io non le ho più.

E allora il mio bisogno di socialità e di affetto si riversa più che altro sul computer, su internet, su facebook, su skype. Ma come giustamente mi ha detto una mia amica qui, perché mai dovrei spendere troppe energie quando sai che molte delle persone che sono qui non le vedrai mai più? Meglio concentrarsi su chi ami.

Pensando a quella che dovrebbe essere la vita reale, o che è stata per millenni, mi dico che sono pazza, che sono una degenerazione della società dell'informazione, che sono malata e socio-patica. Siamo una generazione che l'onda di Internet ci ha travolti per un pelo. E portiamo in noi sia il ricordo del vecchio mondo, che la naturalezza nel cogliere pienamente la nuova dimensione.

E poi c'è il mio grande cambio esistenziale.
Da donna in carriera, penso di starmi trasformando in donna e basta.

Da devota allo studio e all'astratto, che diventava insofferente se stava senza leggere qualcosa per più di un'ora, comincio ora trovare gusto nei lavori manuali, senza però perdere il piacere di conoscere e analizzare. Resto legata al mio mondo fatto di immagini e letture, ma credo di stare lasciando la corsia della competizione, per rifugiarmi in quella della vita privata, o del piacere di vivere.

Sono più disorientata che mai dal punto di vista emotivo e affettivo. Da un lato una storia con un ragazzo di qui, che per quanto non sostenibile in futuro, mi porterà di nuovo a quel senso di vuoto, di mancanza d'aria, nostalgia, e frustrazione, e per cui maledico la mia natura instabile psicologicamente e geograficamente; dall'altro il rincontro con una persona.

Mi sento il più della volte spenta, in standby, con le emozioni congelate, senza sbalzi, né in alto né in basso. A volte mi sento morta dentro. Altri giorni questa piattezza prende però l'aria di stabilità interiore, di pace, e ho l'impressione di avere ricaricato dopo tanti anni le pile per amare, seppure l'idea mi terrorizzi.

Questo paese è pieno di bambini, bellissimi, come la media degli egiziani. E questo è il mio attuale pensiero fisso...e ancora maledico la nostra società perché mi pare che questa fase fondamentale della vita e della natura ci sia ora preclusa.

Eccomi qua, di ritorno dopo un anno di Egitto.
Chissà come cambierò di nuovo con il contatto con il nostro mondo...

Ti abbraccio forte.

Margot

[Si legga anche Incipit]