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5. Sinai: ritratti di donne

Penisola del Sinai – 07-13 marzo 2008

La sabbia tra le mani

In questa comunità, un’anziana donna mi invita a rilassarmi sul mucchio di sabbia – parte di un cantiere – su cui stavo guardando i bambini giocare. Io esito; la sabbia è un piacevole ricordo di bambina, ma ora è scomoda, invadente e fastidiosa.

Lei invece ci si butta, si siede, e con la mano ne appiattisce un po’ al suo lato, con dei colpettini, e mi fa segno di sedermi. Ne prende poi una manciata, la sbriciola, se la rigira nelle mani, e mi sorride. Mi sta dicendo che è piacevole da tenere nella mani, è fresca.

Una bambina mi dà un bacio e la madre insiste perché mi regali la sua collana di perline gialla e blu. Io cerco
di rifiutare, perché purtroppo non ho nessun regalo da dare in cambio, ma non me la danno vinta. E poi mi chiedono se sono sposata e ho bambini.

L'accoglienza

In questo sito sono particolarmente poveri. Le donne mi aspettavano sempre tutte assieme in una sala, e mi hanno accolta in una maniera particolarmente calorosa. Vi è sempre una specie di “matrona” nel gruppo, che parla con “lo straniero”, spiega e coordina le presentazioni, offre il thè. Tutte si sporgevano per stringermi la mano, le bimbe ridevano, la “matrona” mi teneva la mano e mi tirava verso l’interno. Purtroppo non c’era abbastanza tempo: “un’altra volta allora ti fermi di più!”, mi ha detto.

E’ difficile gestire
questo entusiasmo (per me) immotivato, la consapevolezza delle aspettative riposte dall’altro, questa sensazione di responsabilità, e di impotenza. Mi fa sentire piccola. Quando esco dalla “casa delle donne”, la mia ospite mi sistema la stola sulla spalle.

***

Insieme a Rhim ho visitato altre donne. Quelle di oggi erano diverse, coperte quasi integralmente. Alcune si aggiustavano sempre il nikab, stringendo quanto più la fessura attorno agli occhi; altre si tiravano giù il secondo velo, coprendosi completamente anche gli occhi. Seppur coperti, si riuscivano a distinguere bene sotto il velo. Altre avevano i guanti; altre ancora stringevano la mano da sotto il velo. Una ragazza aveva un neonato (quanti bimbi piccoli ho visto oggi!), e per allattarlo se lo è infilato sotto il velo - che la copriva per metà - dove teneva il seno scoperto. Quando si è sollevata il velo e per ficcarci sotto il bimbo, non ha avuto tuttavia reticenza a mostrare il seno. Tra donne, è tutto naturale.

“Ma io ti amo!” - 
Dialogo tra una coppia di beduini 

Lei è la donna bellissima della foto. 
Lui è un uomo anziano, di almeno vent'anni più vecchio di lei.

- Lei, rivolta al mio collega Khaled: Io non ho diritto ai sacchi di riso, perché sono la sua seconda moglie, perciò non sono beneficiaria del programma. Che dire, ho sposato l’uomo sbagliato (ammicca al marito, sorridendo). E che devo fare ora, chiedo il divorzio? (ride)
- Lui: Eh sì, bisogna che chiedi il divorzio!
-
Lei: Ma io non mi voglio divorziare da te, io ti amo!
- Lui: Beh, se mi dessero 15.000 pounds, io mi divorzierei da te!

- Lei: Va bene, allora divorziamo, ti prendi i soldi, però poi fammi restare con te.
(ridono assieme).
Mi è parso uno scambio di affetto tanto dolce, tra una donna giovane e bella e il suo marito anziano,
che si vogliono bene sinceramente, in una condizione di estrema povertà. (Per dare un’idea dell’abisso economico: quello che per loro corrispondeva ad una somma da lotteria era inferiore a un mio stipendio mensile).

Mi metto il velo
Oggi mi sono velata, e devo dire che va molto meglio. Non so se si trattasse di un miglioramento oggettivo o se fosse un’impressione personale, perché mi sentivo più rilassata. In ogni modo è il risultato che conta, e io mi sentivo più a mio agio. E certo non mi costa nulla pormi un velo in testa, tanto più che qui nel deserto, tra il vento e la sabbia è una vera e propria esigenza - e scopro in un istante quali siano le origini di questa usanza. Tutti si coprono, anche uomini, bambine e bambini. Non sono rari gli uomini che si coprono anche la bocca. Sanno girare, piegare e fissare il velo in modi diversi, creando la versione primordiale del niquab.

Al velo sono stati attribuiti nel tempo strati di significati legati alla decenza, alla protezione dagli sguardi indiscreti, al rispetto; significati che la religione musulmana ha fatto propri e acuito. Ma sono convinta che il suo uso nelle zone rurali sia ancora legato a una componente essenziale del suo significato: quella funzionale, componente con la quale altrove si è completamente perso il contatto nel tempo.


Alle origini delle usanze e delle tradizioni, anche quelle che ci sembrano più inspiegabili e arbitrarie, c’è sempre una relazione diretta con una condizione oggettiva; una ragione, un motivo, un collegamento col mondo dei fatti e della natura. Nel perpetuarsi e nelle ripetizioni dell’usanza, durante le generazioni, questo motivo iniziale viene progressivamente dimenticato, e resta solo la forma finale, il rituale.

***

Oggi ho una maglia un po’ più scollata. Appena toltami la felpa, noto che una delle partner governative fa notare qualcosa in arabo a Rhim, perché me lo traducesse. Ho capito subito di cosa si parlasse: della spallina del mio reggiseno che spuntava da sotto la la maglia...

Nekhel


A Nekhel, al centro del Sinai, ci siamo fermati in un piccolo alimentari. Al banco, un uomo e la sua donna, coperta col niquab. Mi ha osservato intensamente con quegli occhi neri, da dietro la sua “maschera”. Al momento di pagare ho chiesto a Kassem di tradurmi il prezzo. Solo a quel punto ha domandato “ma non parla arabo?” – “No, è italiana”, le ha detto Kassem.

Non so perché, ma il suo sguardo si è rilassato, e ha detto qualcosa; “she says you are very beautiful”, traduce Kassam. Ringrazio in arabo. Sorride, si avvicina, allunga le braccia, mi prende una mano e mi bacia, con le labbra coperte dal velo. Ricambio, entrambe sorridiamo, lei solo con gli occhi. Mi ha riempito di calore, e quando me ne sono andata di nuovo, si è protesa verso di me, e io le ho preso una mano salutandola.

Io avevo il capo coperto da una sciarpa legata all’indietro come un concio, in una maniera non tradizionale; in più ero vestita con pantaloni sportivi e una felpa. Per essere araba
forse sarei stata un po’ trasgressiva, e lo sguardo indagatorio o confuso dell’inizio poteva essere forse dovuto a un pregiudizio. Tutto si è ribaltato comunque quando ha saputo che ero italiana, forse per l'entusiasmo di vedere uno “straniero”, per di più col velo.

4. Sinai: nelle tende dei beduini

Penisola del Sinai – 07-13 marzo 2008

Il
Viaggio

In partenza per il Sinai. L’emozione per le cose nuove, in me, quasi sempre prende le forme dell’insicurezza. Perché? Ancora non l’ho capito che me la sono sempre cavata?

Deserto giallo fuori il Cairo, e bianco subito dopo il Canale di Suez, costeggiando il Mar Rosso; e poi più aspro e rosso verso l’interno, con montagne dai fianchi stratificati. Qualche cammello ci taglia la strada.

Lungo viaggio verso Al Arish, con pausa a Nekhel. La strada tra Santa Caterina e Nekhel, così come quella che risale a Nord per Al-Arish è piena di check point, per la vicinanza ad Israele. Al-Arish è proprio la città dove poco più di un mese fa i palestinesi hanno sfondato il muro e sono entrati per rifornirsi di cibo, acqua e benzina, col beneplacido del governo egiziano.

Nei posti di blocco continuano a fermarci. Ora siamo fermi da forse un quarto d’ora (a causa mia) e come altre volte mi hanno chiesto il passaporto.

- Un cane malandato passa a testa bassa e muove timidamente la coda, solo per il fatto di trovarsi a qualche metro da un essere umano -.

Sì, ero io il problema. Nessuno straniero ha il permesso di passare attraverso questi territori, perché zona di confine con Israele e punto di aggregazione di terroristi, e io non ho il passaporto blu. Troviamo per terra un elmetto arrugginito israeliano della guerra del ’73.

Khaled mi ha raccontato come durante gli anni di occupazione israeliana i beduini siano stati viziati e “comprati” dagli israeliani, e come ora sia così difficile lavorarci, perché quello che gli interessa sono le macchine e la possibilità di far denaro.

- Ragazzini che corrono dietro un cammello carico di tappeti che si perde nell’oscurità. Uomini vestiti in abiti tradizionali. Anche loro si coprono il capo –.

La guesthouse degli uomini


Primo villaggio. Sono la sola donna nella stanza, quella principale del villaggio, la “guesthouse” maschile. Siamo tutti senza scarpe, seduti lungo i muri della stanza. Alcuni uomini non mi hanno stretto la mano, ritirandola in fretta con una specie di schiocco, secondo il gesto usuale.

Sono l’unica non velata. Ho i calzettini bassi e mi si vede un po’ di caviglia. Oddio come mi guardano. Ci sono vari giovani. E i bambini. C’è anche una bambina sugli 8 anni, con un lungo vestito blu e un velo bianco, lunghissimo, chiuso sul davanti. Io non tengo le gambe incrociate come gli uomini, ma ma unite e allungate di lato. Non so davvero cosa è accettato e cosa no, e come mi possano considerare. Mi facevano male le gambe, e alla fine mi sono messa a gambe incrociate; non ce la facevo più.

Poi sono andata nella stanza delle donne assieme a Rhim, che riusciva un po’ a tradurre. Abbiamo fatto un po’ di foto e bevuto l'ennesimo thè. Mi mostrano i loro lavori e mi chiedono se sono sposata o fidanzata. La più anziana mi dà un bacio, e mi dice che avrebbe un nipote da farmi sposare.

Secondo villaggio. Non mi ci sono nemmeno seduta alla riunione degli uomini; devo ammettere che mi sento troppo a disagio. Sono andata direttamente dalle donne. Abbiamo fatto un po’ di foto, mi hanno fatto vedere i vestiti che ricamano, e poi mi hanno presa e mi hanno messo prima il velo, e poi sopra il niquab. Mi hanno portato in giro per il villaggio, mostrandomi la gabbia dei piccioni.

Terzo villaggio. Siamo nella guesthouse. La partner del governo si è seduta con le gambe allungate, ma con lo scialle si copre i piedi. Mi pare di ricordare che per loro mostrare le piante dei piedi sia molto offensivo. Odore delle loro sigarette egiziane.

Nella comunità successiva, prima di entrare nella guesthouse, il capo mi si rivolge in arabo, indicando intanto la casa delle donne. Il nostro partner gli dice in arabo, probabilmente, che io dovevo stare con loro, e quindi mi ha invitato a entrare.

Ancora mi chiedo quanto possa essere strano per loro avere una donna nelle loro riunioni.

Gli occhi


In questo sito hanno gli occhi a mandorla, zigomi alti e nasi spigolosi.
Sembrano più tesi, più poveri, più disorientati. Sono meno curati: le unghie, i veli che hanno in testa. Ci sono disturbi della vista ricorrenti. All’inizio mi pareva ci fossero degli occhi chiari, poi ho visto che si trattava di disturbi della retina, o della cornea...Khaled dice che deriva dall'alimentazione.

In un villaggio, c’è un uomo completamente cieco, senza le orbite degli occhi. Gli mancava anche una mano, portata via da una mina. Una bambinetta gli era accanto, ho saputo dopo che era la figlia, e lo assisteva. E’ interessante vedere come in queste comunità, questi soggetti vengano comunque integrati e fatti sposare, e aiutati da tutta la comunità. Nella nostra società ad esempio non era così, e i soggetti anormali erano nascosti e colpevolizzati, in quanto l’anormalità corporea era considerata m
anifestazione di qualche colpa e punizione divina...

L'aria


Questa gente ama gli spazi aperti, ama la distesa gialla del suo deserto. Ama il contatto con la terra e con l’aria, e con loro non vuole nessuna discontinuità. Nelle case molti non fanno nemmeno la gettata di cemento, ma lasciano la terra.

Questa comunità sembra in migliore condizione di quella di ieri. La sala è molto pulita, cuscini puliti, vestiti puliti, visi più sereni, sani, molto rispettosi. La guesthouse ha una finestra. Ha anche gli infissi e i cardini, ma la finestra, semplicemente, è stata rimossa (che se ne fanno…). Altre comunità hanno invece un buco nel soffitto.

Lo sciacallo

Arrivati a una comunità, il vecchio del villaggio mi indica una gabbia, ché notassi qualcosa: avevano imprigionato uno sciacallo, perché mangiava loro tutte le capre. L’avevano rinchiuso in una gabbia di un metro quadrato.

Povera creatura. Non poteva né alzarsi ne camminare. Le zampe anteriori e quelle posteriori gli erano state legate assieme, a due a due. Quelle anteriori avevano un ulteriore laccio che gli impediva di stendere completamente il polso. Ma la cosa più orribile era la museruola fatta di filo di ferro che gli aveva ferito tutta la bocca, ormai completamente piena di sangue; era fissata sul collo, e dava l’idea di stringergli, tant’è che il povero animale aveva gli occhi sembravano scoppiare ed erano completamente rossi di sangue.


I beduini, e anche i nostri partner del governo, ridevano. Io ho avuto uno shock, non riuscivo a mascherare il mio disgusto. Non sono riuscita a raggiungere il mio collega nella discussione con gli uomini. Facevo domande, enfatizzavo il mio sconvolgimento, ma sapevo che non avrebbero capito il mio punto di vista; era impossibile.

Sono la legge della sopravvivenza e la superstizione a dettare le logiche. Lo sciacallo si mangiava tutte le loro capre. Anche Rhim non capiva il mio atteggiamento. E allora perché non lo uccidono? Che senso ha tenerlo così? Sono riuscita a farmi spiegare infine, che di lì a poco lo avrebbero sì sacrificato, perché il grasso e il fegato dello sciacallo sono considerati curativi.

Falsi progressi 

Pare proprio che in questi posti della nostra cultura arrivino solo i valori negativi legati al consumismo. Quelli positivi legati ai diritti, no. La mentalità resta la stessa: quella contadina, ma con l’aggravante di un’avidità e una bramosia per la ricchezza facile che di solito non appartiene alle popolazioni rurali.
Arrivano i cellulari, il satellite, i 4X4; ma i diritti no. Le donne continuano a vivere nei loro timori e nella loro timidezza, gli animali continuano ad essere sacrificati in base a superstiziosi ancestrali (come lo sciacallo). Altre volte penso semplicemente che la cooperazione allo sviluppo è una bufala; non ce la faranno ma; e poi penso: ehmbè? Stanno tanto bene loro, perché dovrebbero diventare come noi? Guardo questi bambini: probabilmente non andranno mai al di là della scuola primaria, ma...noi nel nostro mondo siamo contenti?

(to be continued)