5. Sinai: ritratti di donne

Penisola del Sinai – 07-13 marzo 2008

La sabbia tra le mani

In questa comunità, un’anziana donna mi invita a rilassarmi sul mucchio di sabbia – parte di un cantiere – su cui stavo guardando i bambini giocare. Io esito; la sabbia è un piacevole ricordo di bambina, ma ora è scomoda, invadente e fastidiosa.

Lei invece ci si butta, si siede, e con la mano ne appiattisce un po’ al suo lato, con dei colpettini, e mi fa segno di sedermi. Ne prende poi una manciata, la sbriciola, se la rigira nelle mani, e mi sorride. Mi sta dicendo che è piacevole da tenere nella mani, è fresca.

Una bambina mi dà un bacio e la madre insiste perché mi regali la sua collana di perline gialla e blu. Io cerco
di rifiutare, perché purtroppo non ho nessun regalo da dare in cambio, ma non me la danno vinta. E poi mi chiedono se sono sposata e ho bambini.

L'accoglienza

In questo sito sono particolarmente poveri. Le donne mi aspettavano sempre tutte assieme in una sala, e mi hanno accolta in una maniera particolarmente calorosa. Vi è sempre una specie di “matrona” nel gruppo, che parla con “lo straniero”, spiega e coordina le presentazioni, offre il thè. Tutte si sporgevano per stringermi la mano, le bimbe ridevano, la “matrona” mi teneva la mano e mi tirava verso l’interno. Purtroppo non c’era abbastanza tempo: “un’altra volta allora ti fermi di più!”, mi ha detto.

E’ difficile gestire
questo entusiasmo (per me) immotivato, la consapevolezza delle aspettative riposte dall’altro, questa sensazione di responsabilità, e di impotenza. Mi fa sentire piccola. Quando esco dalla “casa delle donne”, la mia ospite mi sistema la stola sulla spalle.

***

Insieme a Rhim ho visitato altre donne. Quelle di oggi erano diverse, coperte quasi integralmente. Alcune si aggiustavano sempre il nikab, stringendo quanto più la fessura attorno agli occhi; altre si tiravano giù il secondo velo, coprendosi completamente anche gli occhi. Seppur coperti, si riuscivano a distinguere bene sotto il velo. Altre avevano i guanti; altre ancora stringevano la mano da sotto il velo. Una ragazza aveva un neonato (quanti bimbi piccoli ho visto oggi!), e per allattarlo se lo è infilato sotto il velo - che la copriva per metà - dove teneva il seno scoperto. Quando si è sollevata il velo e per ficcarci sotto il bimbo, non ha avuto tuttavia reticenza a mostrare il seno. Tra donne, è tutto naturale.

“Ma io ti amo!” - 
Dialogo tra una coppia di beduini 

Lei è la donna bellissima della foto. 
Lui è un uomo anziano, di almeno vent'anni più vecchio di lei.

- Lei, rivolta al mio collega Khaled: Io non ho diritto ai sacchi di riso, perché sono la sua seconda moglie, perciò non sono beneficiaria del programma. Che dire, ho sposato l’uomo sbagliato (ammicca al marito, sorridendo). E che devo fare ora, chiedo il divorzio? (ride)
- Lui: Eh sì, bisogna che chiedi il divorzio!
-
Lei: Ma io non mi voglio divorziare da te, io ti amo!
- Lui: Beh, se mi dessero 15.000 pounds, io mi divorzierei da te!

- Lei: Va bene, allora divorziamo, ti prendi i soldi, però poi fammi restare con te.
(ridono assieme).
Mi è parso uno scambio di affetto tanto dolce, tra una donna giovane e bella e il suo marito anziano,
che si vogliono bene sinceramente, in una condizione di estrema povertà. (Per dare un’idea dell’abisso economico: quello che per loro corrispondeva ad una somma da lotteria era inferiore a un mio stipendio mensile).

Mi metto il velo
Oggi mi sono velata, e devo dire che va molto meglio. Non so se si trattasse di un miglioramento oggettivo o se fosse un’impressione personale, perché mi sentivo più rilassata. In ogni modo è il risultato che conta, e io mi sentivo più a mio agio. E certo non mi costa nulla pormi un velo in testa, tanto più che qui nel deserto, tra il vento e la sabbia è una vera e propria esigenza - e scopro in un istante quali siano le origini di questa usanza. Tutti si coprono, anche uomini, bambine e bambini. Non sono rari gli uomini che si coprono anche la bocca. Sanno girare, piegare e fissare il velo in modi diversi, creando la versione primordiale del niquab.

Al velo sono stati attribuiti nel tempo strati di significati legati alla decenza, alla protezione dagli sguardi indiscreti, al rispetto; significati che la religione musulmana ha fatto propri e acuito. Ma sono convinta che il suo uso nelle zone rurali sia ancora legato a una componente essenziale del suo significato: quella funzionale, componente con la quale altrove si è completamente perso il contatto nel tempo.


Alle origini delle usanze e delle tradizioni, anche quelle che ci sembrano più inspiegabili e arbitrarie, c’è sempre una relazione diretta con una condizione oggettiva; una ragione, un motivo, un collegamento col mondo dei fatti e della natura. Nel perpetuarsi e nelle ripetizioni dell’usanza, durante le generazioni, questo motivo iniziale viene progressivamente dimenticato, e resta solo la forma finale, il rituale.

***

Oggi ho una maglia un po’ più scollata. Appena toltami la felpa, noto che una delle partner governative fa notare qualcosa in arabo a Rhim, perché me lo traducesse. Ho capito subito di cosa si parlasse: della spallina del mio reggiseno che spuntava da sotto la la maglia...

Nekhel


A Nekhel, al centro del Sinai, ci siamo fermati in un piccolo alimentari. Al banco, un uomo e la sua donna, coperta col niquab. Mi ha osservato intensamente con quegli occhi neri, da dietro la sua “maschera”. Al momento di pagare ho chiesto a Kassem di tradurmi il prezzo. Solo a quel punto ha domandato “ma non parla arabo?” – “No, è italiana”, le ha detto Kassem.

Non so perché, ma il suo sguardo si è rilassato, e ha detto qualcosa; “she says you are very beautiful”, traduce Kassam. Ringrazio in arabo. Sorride, si avvicina, allunga le braccia, mi prende una mano e mi bacia, con le labbra coperte dal velo. Ricambio, entrambe sorridiamo, lei solo con gli occhi. Mi ha riempito di calore, e quando me ne sono andata di nuovo, si è protesa verso di me, e io le ho preso una mano salutandola.

Io avevo il capo coperto da una sciarpa legata all’indietro come un concio, in una maniera non tradizionale; in più ero vestita con pantaloni sportivi e una felpa. Per essere araba
forse sarei stata un po’ trasgressiva, e lo sguardo indagatorio o confuso dell’inizio poteva essere forse dovuto a un pregiudizio. Tutto si è ribaltato comunque quando ha saputo che ero italiana, forse per l'entusiasmo di vedere uno “straniero”, per di più col velo.

4. Sinai: nelle tende dei beduini

Penisola del Sinai – 07-13 marzo 2008

Il
Viaggio

In partenza per il Sinai. L’emozione per le cose nuove, in me, quasi sempre prende le forme dell’insicurezza. Perché? Ancora non l’ho capito che me la sono sempre cavata?

Deserto giallo fuori il Cairo, e bianco subito dopo il Canale di Suez, costeggiando il Mar Rosso; e poi più aspro e rosso verso l’interno, con montagne dai fianchi stratificati. Qualche cammello ci taglia la strada.

Lungo viaggio verso Al Arish, con pausa a Nekhel. La strada tra Santa Caterina e Nekhel, così come quella che risale a Nord per Al-Arish è piena di check point, per la vicinanza ad Israele. Al-Arish è proprio la città dove poco più di un mese fa i palestinesi hanno sfondato il muro e sono entrati per rifornirsi di cibo, acqua e benzina, col beneplacido del governo egiziano.

Nei posti di blocco continuano a fermarci. Ora siamo fermi da forse un quarto d’ora (a causa mia) e come altre volte mi hanno chiesto il passaporto.

- Un cane malandato passa a testa bassa e muove timidamente la coda, solo per il fatto di trovarsi a qualche metro da un essere umano -.

Sì, ero io il problema. Nessuno straniero ha il permesso di passare attraverso questi territori, perché zona di confine con Israele e punto di aggregazione di terroristi, e io non ho il passaporto blu. Troviamo per terra un elmetto arrugginito israeliano della guerra del ’73.

Khaled mi ha raccontato come durante gli anni di occupazione israeliana i beduini siano stati viziati e “comprati” dagli israeliani, e come ora sia così difficile lavorarci, perché quello che gli interessa sono le macchine e la possibilità di far denaro.

- Ragazzini che corrono dietro un cammello carico di tappeti che si perde nell’oscurità. Uomini vestiti in abiti tradizionali. Anche loro si coprono il capo –.

La guesthouse degli uomini


Primo villaggio. Sono la sola donna nella stanza, quella principale del villaggio, la “guesthouse” maschile. Siamo tutti senza scarpe, seduti lungo i muri della stanza. Alcuni uomini non mi hanno stretto la mano, ritirandola in fretta con una specie di schiocco, secondo il gesto usuale.

Sono l’unica non velata. Ho i calzettini bassi e mi si vede un po’ di caviglia. Oddio come mi guardano. Ci sono vari giovani. E i bambini. C’è anche una bambina sugli 8 anni, con un lungo vestito blu e un velo bianco, lunghissimo, chiuso sul davanti. Io non tengo le gambe incrociate come gli uomini, ma ma unite e allungate di lato. Non so davvero cosa è accettato e cosa no, e come mi possano considerare. Mi facevano male le gambe, e alla fine mi sono messa a gambe incrociate; non ce la facevo più.

Poi sono andata nella stanza delle donne assieme a Rhim, che riusciva un po’ a tradurre. Abbiamo fatto un po’ di foto e bevuto l'ennesimo thè. Mi mostrano i loro lavori e mi chiedono se sono sposata o fidanzata. La più anziana mi dà un bacio, e mi dice che avrebbe un nipote da farmi sposare.

Secondo villaggio. Non mi ci sono nemmeno seduta alla riunione degli uomini; devo ammettere che mi sento troppo a disagio. Sono andata direttamente dalle donne. Abbiamo fatto un po’ di foto, mi hanno fatto vedere i vestiti che ricamano, e poi mi hanno presa e mi hanno messo prima il velo, e poi sopra il niquab. Mi hanno portato in giro per il villaggio, mostrandomi la gabbia dei piccioni.

Terzo villaggio. Siamo nella guesthouse. La partner del governo si è seduta con le gambe allungate, ma con lo scialle si copre i piedi. Mi pare di ricordare che per loro mostrare le piante dei piedi sia molto offensivo. Odore delle loro sigarette egiziane.

Nella comunità successiva, prima di entrare nella guesthouse, il capo mi si rivolge in arabo, indicando intanto la casa delle donne. Il nostro partner gli dice in arabo, probabilmente, che io dovevo stare con loro, e quindi mi ha invitato a entrare.

Ancora mi chiedo quanto possa essere strano per loro avere una donna nelle loro riunioni.

Gli occhi


In questo sito hanno gli occhi a mandorla, zigomi alti e nasi spigolosi.
Sembrano più tesi, più poveri, più disorientati. Sono meno curati: le unghie, i veli che hanno in testa. Ci sono disturbi della vista ricorrenti. All’inizio mi pareva ci fossero degli occhi chiari, poi ho visto che si trattava di disturbi della retina, o della cornea...Khaled dice che deriva dall'alimentazione.

In un villaggio, c’è un uomo completamente cieco, senza le orbite degli occhi. Gli mancava anche una mano, portata via da una mina. Una bambinetta gli era accanto, ho saputo dopo che era la figlia, e lo assisteva. E’ interessante vedere come in queste comunità, questi soggetti vengano comunque integrati e fatti sposare, e aiutati da tutta la comunità. Nella nostra società ad esempio non era così, e i soggetti anormali erano nascosti e colpevolizzati, in quanto l’anormalità corporea era considerata m
anifestazione di qualche colpa e punizione divina...

L'aria


Questa gente ama gli spazi aperti, ama la distesa gialla del suo deserto. Ama il contatto con la terra e con l’aria, e con loro non vuole nessuna discontinuità. Nelle case molti non fanno nemmeno la gettata di cemento, ma lasciano la terra.

Questa comunità sembra in migliore condizione di quella di ieri. La sala è molto pulita, cuscini puliti, vestiti puliti, visi più sereni, sani, molto rispettosi. La guesthouse ha una finestra. Ha anche gli infissi e i cardini, ma la finestra, semplicemente, è stata rimossa (che se ne fanno…). Altre comunità hanno invece un buco nel soffitto.

Lo sciacallo

Arrivati a una comunità, il vecchio del villaggio mi indica una gabbia, ché notassi qualcosa: avevano imprigionato uno sciacallo, perché mangiava loro tutte le capre. L’avevano rinchiuso in una gabbia di un metro quadrato.

Povera creatura. Non poteva né alzarsi ne camminare. Le zampe anteriori e quelle posteriori gli erano state legate assieme, a due a due. Quelle anteriori avevano un ulteriore laccio che gli impediva di stendere completamente il polso. Ma la cosa più orribile era la museruola fatta di filo di ferro che gli aveva ferito tutta la bocca, ormai completamente piena di sangue; era fissata sul collo, e dava l’idea di stringergli, tant’è che il povero animale aveva gli occhi sembravano scoppiare ed erano completamente rossi di sangue.


I beduini, e anche i nostri partner del governo, ridevano. Io ho avuto uno shock, non riuscivo a mascherare il mio disgusto. Non sono riuscita a raggiungere il mio collega nella discussione con gli uomini. Facevo domande, enfatizzavo il mio sconvolgimento, ma sapevo che non avrebbero capito il mio punto di vista; era impossibile.

Sono la legge della sopravvivenza e la superstizione a dettare le logiche. Lo sciacallo si mangiava tutte le loro capre. Anche Rhim non capiva il mio atteggiamento. E allora perché non lo uccidono? Che senso ha tenerlo così? Sono riuscita a farmi spiegare infine, che di lì a poco lo avrebbero sì sacrificato, perché il grasso e il fegato dello sciacallo sono considerati curativi.

Falsi progressi 

Pare proprio che in questi posti della nostra cultura arrivino solo i valori negativi legati al consumismo. Quelli positivi legati ai diritti, no. La mentalità resta la stessa: quella contadina, ma con l’aggravante di un’avidità e una bramosia per la ricchezza facile che di solito non appartiene alle popolazioni rurali.
Arrivano i cellulari, il satellite, i 4X4; ma i diritti no. Le donne continuano a vivere nei loro timori e nella loro timidezza, gli animali continuano ad essere sacrificati in base a superstiziosi ancestrali (come lo sciacallo). Altre volte penso semplicemente che la cooperazione allo sviluppo è una bufala; non ce la faranno ma; e poi penso: ehmbè? Stanno tanto bene loro, perché dovrebbero diventare come noi? Guardo questi bambini: probabilmente non andranno mai al di là della scuola primaria, ma...noi nel nostro mondo siamo contenti?

(to be continued)

3. La direzione sbagliata

lunedí 3 marzo 2008

Mi spaventa questo falso sviluppo sfrenato. Si bada a dare il cibo alle persone, a soddisfare i loro bisogni primari, d’accordo; ma nulla si fa per provocare cambiamenti all’interno dei processi tradizionali, economici e sociali, che già si sono rivelati non sostenibili. In ufficio non facciamo nemmeno la raccolta carta; però produciamo bellissimi papers sul climate change.

Il falso mito dello sviluppo non si riesce ancora a sfatare, e si preferisce misurare la ricchezza di un popolo dal numero di auto possedute (poco importa se sono delle fiat 128 degli anni ’60) piuttosto che dalla qualità dell’aria che respirano; si preferisce illudersi che l’immondizia non esista, e che scompaia dietro alla porta di casa, piuttosto che pensare che alle porte del Cairo si erga Manshiyat naser, una vera e propria città di rifiuti. Perché loro si ostinano a voler ripercorrere tutti gli stadi percorsi da noi, perpetuando i nostri errori? Anzi, perché noi li incoraggiamo (di fatto) a farlo? 
La middle class qui vede noi europei come modello; pensa che noi siamo tutti sconsideratamente ricchi, e che possiamo ottenere tutto quello che vogliamo. Che la nostra vita coicida con la parola “potere”.

La realizzazione assume così per
loro le forme del consumismo sfrenato, dell’incuranza e dello spreco – la peggiore delle nostre lezioni. E pensano che noi non riusciamo a capire il loro stato perché abbiamo tutto, abbiamo sempre avuto tutto. Difficile far capire che i nostri risultati, che il nostro benessere sono il frutto invece della parola “volere”, di tanti sforzi, di rinunce, di fatica, di risparmio, di lotte, di guerre, di fame, di morti.

Quello che vediamo invece noi in loro è tante volte proprio un’inerzia della volontà: io non provo automaticamente pena per persone fataliste che misurano le proprie occasioni a forza di "Inshalla"; senza contare poi che il loro modello si basa completamente sul privilegio, su una società fortemente gerarchica dove chi sta più in alto per nulla al mondo si sporcherebbe le mani con masioni che pertengono a un livello più basso del loro, provocando così continue paralisi, dove il rispetto per la forma prevale sull’obiettivo finale.

Al lavoro, Lara mi ha detto che Mohammed, da quando è stato promosso a clerical officer, non è più disposto a fare il caffè; una volta, mentre lei si stava facendo le fotocopie, da sola, qualcuno le ha commentato tra lo stupore e indignazione che quello non era il suo lavoro – che qualcun'altro avrebbe dovuto farlo per lei. E ancora, Saad ha sgranato gli occhi incredulo quando gli ho risposto con naturalezza che il mio week end lo avevo passato a pulire la mia nuova casa. Non immaginano che le donne europee continuano a infilarsi un paio di guanti e a pulire il loro cesso di casa. E non sanno nemmeno che in Europa siamo di base tutti uguali, e che la vita costa molto.

L’Europa ha creato un’isola di benessere basato sulla responsabilità, adesso, o almeno ci prova, a cambiare (...). Ma appena ne esci vedi ovviamente l’imperversare del nostro peggiore capitalismo. La domanda è allora, cosa succederà alla terra nei prossimi 50 anni con lo spuntare improvvisso e massiccio di paesi incuranti di qualsiasi accortezza ambientale, sprovvisti ancora di una cultura di base diffusa su larga scala? - contando che il mondo occidentale in 50 anni è stato capace di ridurre la terra in questo stato, con un incremento dei consumi peraltro molto più basso prima degli anni '70.

Persino gli strati più alti della società continuano a dirsi che quello che vedono non è “pollution”, ma solo “fog” (infatti non conoscono la parola “smog”), e considerano andare in metro come umiliante. Gli interessa solo comprarsi la macchina.

Vorrei tornarmene sulle colline tosco-emiliane, per non vedere, perché è inutile lottare, perché lo so che non c’è spazio in questi paesi per progetti di sviluppo sostenibile. “Hanno altre priorità. O almeno così dicono loro”, mi ha detto Lara ieri in ufficio. Ma ovviamente non riesco a fare lo struzzo, se no non sarei qui.


***

Oggi ho scoperto che Ayoub, il mio capo, PhD, è un creazionista. Cioè crede che la terra sia stata creata 6000 anni fa. E ha un posto dirigenziale in un'organizzazione internazionale di questo tipo.

2. Taxi

Domenica 2 marzo 2008

Sto imparando a imporre i 5 pounds in taxi, e loro vedendo che sono sicura del prezzo sembrano non fare più tante storie.

I taxi sono una parte fondamentale della nostra vita da espatriati. Sono ovunque. Ti seguono e ti inseguono. Se voglio semplicemente andare a piedi, passo il tempo a scacciare taxi che mi si accostano.

Uno più scassato dell'altro, sono utilitarie anni '60 francesi, italiane e tedesche che vivono qui una seconda vita, dipinte di bianco e nero: Fiat 128, Ritmo, e soprattutto Peugeot 504, quelle che vanno per la maggiore.

Le sovvenzioni statali sulla benzina, e un regolamento che negli anni '90 ha consentito a tutte le vecchie auto di essere convertite in taxi, ha volto il mestiere di taxista al Cairo nella massima ambizione degli strati più poveri dell'interland, causando un afflusso di massa sulla capitale. Il fumo che producono è il più nero e denso di ogni altro veicolo.
I tassisti sono tutti povera gente. Alcuni guidano scalzi.

Varietà:

  • Auto senza targa (all'ordine del giorno).
  • Fiat con targa “RE”, "FI", "LE" (sì, Reggio-Emilia, Firenze, Lecce - arancione anni '80) che spunta da sotto la targa araba, quadrata e quindi più corta.
  • Fari che vengono accesi manualmente e a intermittenza (come di solito si fa con gli abbaglianti) dall’autista.
  • Clacson che suona facendo contatto tra due fili.
  • Auto ricavate saldando assieme due auto differenti.
  • Auto “pura struttura”, dove, seduti sul sedile posteriore, sotto i piedi di vedi la strada, tipo “flinstones”.
  • Autisti che tengono la portiera della macchina chiusa con l’ascella.
  • Manovelle del finestrino assenti: l’autista interviene se necessario con una chiave per girare il perno.
  • Aperture delle portiere rotte e sostituite da prolunghe di fil di ferro; apertura altrimenti possibile solo dall’esterno.
  • Cambi non funzionanti, per cui tutto il tragitto al massimo in seconda.
  • Sedili anteriori bloccati nel massimo della loro estensione, obbligando il passeggero posteriore a raccogliere le ginocchia sul sedile (durante viaggi condivisi), o comunque a entrare dall'altra portiera.
Consuetudini:

  • Essendo l'aria condizionata un concetto futuristico negli anni '60, per non morire di caldo i finestrini sono tenuti tassativamente aperti (di solito la manovella è persino rimossa), catapultandoti nel caos dei clacson e rendendo l’aria irrespirabile per lo smog.
  • La radio è accesa a tutto volume. Crediamo che sia – per loro - un segno di attenzione verso il cliente, dal momento che la accendono appena si salga. Non capiscono che per noi possa essere sgradevole. Tra i canali preferiti, quello della lettura del corano, che con il suo ritmo non aiuta di prima mattina ad affrontare il caos quotidiano (io e Liliana lo definiamo con un po' di pudore, “il lamento”)...
Abbellimenti:

  • Appendici delle sicure a forma di teschio o altro.
  • Pellicciotto di vario colore applicato su tutto lo spazio anteriore che va dal volante fino al margine destro del cruscotto.
  • Il pellicciotto può ospitare creature differenti, quali statuette e riproduzioni di vari animali in peluche con scritte tipo “I love you” o "I love Italy".
  • L’interno e l’esterno dei taxi è movimentato da lucine al neon di vario colore
  • Ugualmente vale per specchietti di tutte le dimensioni, usati più per sbirciare il passeggero/a da tutte le angolazioni che per controllare il traffico selvaggio (almeno questo è quello che c’è parso a me e alle mie amiche).
  • Sono inoltre inflazionati le riproduzioni del corano, dei pendenti a forma di uva, e gli stemmi della squadra di calcio locale. Anche riferimenti calcistici all'Italia sono frequenti.

1. Bauab


Attif, uno dei miei due Bauab
Sabato 1 marzo 2008

Ho passato il weekend a pulire la mia nuova casa, e da domani ci andrò a dormire.

Qui le case hanno tutte due portieri, i bauab. Dormono nell'atrio del palazzo, in uno stanzino o nel sottoscala, buttati su un materasso sudicio e sdrucito, su cuscini gialli e senza federe. Indossano la tunica tradizionale – la galabeya – e molti portano il fazzoletto arrotolato in testa.

Oltre a controllare il minimo movimento di chiunque varchi l'uscio del palazzo, si occupano di varie cose, tra cui anche fare alcuni lavoretti in casa – ovviamente in cambio di qualche mancia.

I miei si chiamano Attif e Milad, e ovviamente non spicciano una parola di inglese. Scene esilaranti, dato che io non parlo una parola d'arabo. Mi sento un uomo di Neanderthal: per comunicare non abbiamo nessun altro riferimento se non le mani; un vero teatro. E Attif, rassegnato, sistematicamente si fa delle gran risate vedendo le mie facce che non capisco nulla. Ma è riuscito a farmi capire una cosa, pure astratta: io ti insegno l’arabo se tu mi insegni l’inglese.

Ovviamente, mance a destra e a manca, e non solo con loro due. Ognuno è sempre pronto a farti qualsiasi favore, e tu che no..., che ce la fai benissimo da sola a portarti le sporte della spesa su con l'ascensore...e poi ovviamente devi dargli quei 2-3 pounds di mancia.


[Si veda anche Vita da Bauab]
***

Questi egiziani urlano come matti. Quando parlano si urlano, automaticamente, e sembrano pure incazzati. Poi chiedo cosa si siano detti, e scopro essere cose normalissime.