9. Una seduzione privata

Sabato 28 agosto 2008

L’altro giorno in metro sedevano accanto a me due giovani ragazze, una delle quali completamente velata, in niquab. Entrambe guardavano gli appunti dell’università sul quaderno della ragazza coperta. Come facevamo anche noi a scuola, questa aveva disegnato a penna al lato della pagina dei busti femminili; a differenza di noi, in questo caso si trattava di busti velati: due schizzi di donna in niquab il cui fulcro erano due occhi marcatissimi, intensi, ammalianti, dalle ciglia lunghe e i contorni di kajal.

Credo le donne col niquab si dividano in due gruppi.

Da un lato le donne (spesso di mezza età) dagli abiti sdruciti e trasandati per cui il nascondersi è un atto di silenzio, una rinuncia alla personalità in cambio della possibilità di uscire dalle mura domestiche. Alcune di queste donne sembrano esprimere sulle loro figlie le loro vanità represse. Non è raro vedere donne velate, anche completamente (intendo, con anche gli occhi coperti), con bambine estremamente curate e femminili, persino con mini-gonne o la pancia scoperta. L’altro giorno ho visto una donna, integralmente coperta, con una bimba di massimo un anno e mezzo. A parte gli orecchini, che tutte le bambine appena nate già hanno, aveva una collana e anelli in entrambe le mani, tutto dorato.

Dall’altro lato – e si nota soprattutto nelle ragazze giovani – il nascondersi diventa un gioco alla seduzione, una seduzione di cui forse hanno paura, perché demonizzata. Sicuramente è un modo per gestire una sensualità che la loro cultura non gli dà modo, spazio e codici per esprimere. E quindi reinterpretano la seduzione tramite il codice della sua negazione: il coprirsi. Colgo in quei disegni e nell’intensità ammaliante di quegli sguardi un atto affermativo forte riguardo a questa scelta di coprirsi (per tanti lati scelta indotta, ok...ma questo è un altro discorso). È un gioco ad un’affermazione per negazione.

Alcuna di queste ragazze hanno i tradizionali abiti neri, abayatagliati finemente sui fianchi, che lasciano intuire – certo non vedere – le forme del corpo. Gli abiti sono decorati da ricami argentei o paiettes che seguono le linee principali del corpo; se le mani non sono coperte da guanti sottili, spesso il dito medio è decorato da un cordoncino attaccato alle maniche del vestito, che ne assicura la lunghezza. Gli occhi e le sopracciglia sono spesso sorprendentemente curati e truccati.

Che cosa c’è sotto?

Mi hanno ripetuto spesso che in Arabia Saudita, nonostante non sia imposto dalla legge, la maggior parte delle donne indossa il niquab. Mi hanno anche raccontato di come le si veda arrivare dall’estetista e scoprire da sotto quei veli, corpi e visi curati nei minimi dettagli. Anche gli abiti che portano sotto sono femminili e sexy. Qualche volta assisto a rituali simili in palestra.

Mi rendo conto di come, ancora più forte delle implicazioni e ragioni sociali del velo, sia la sua dimensione intima. Io comincio a capire e sentire questo fascino nel rapporto con l’uomo, col proprio uomo. Un gioco di sensualità e possessività carnale molto forti emanano da questo "implicito" riservarsi solo per il proprio uomo (implicito perché la funzione primaria e condivisa del velo è invece un'altra).

Noi occidentali siamo abituate a vedere solo il lato sottrattivo del velo: sottrazione della libertà, del corpo, della bellezza dei capelli; ma in realtà non percepiamo e non sappiamo nulla del riflesso interiore e intimo di questo artificio, che è come un’espansione, una propagazione interiore della femminilità, profonda e ancestrale (una sensazione che riesco a ricostruire solo pensando al contatto con la mia nonna di giù).

L’uomo arabo, da parte sua, sia sente sia trasmette questa “cosa”, e devo ammettere che mi piace e che mi fa sentire in qualche modo valorizzata. Oddio, non posso davvero immaginarmi dire questo ma è così - pur consapevole di tutti i meccanismi sociologici ecc. ecc...sento questa cosa! Con lui sento così. Anche se non metto il velo - perché non posso, non voglio e nessuno se lo aspetta, sarei ridicola - ho capito che fa parte anche di un gioco a due.

E comunque. Mai nessuno prima di lui è stato capace di farmi sentire così serenamente fragile. C'è una forza, una sicurezza e una naturalezza nel suo prendersi cura di me che gli altri non hanno, non così. Come se la maggior parte dei ragazzi occidentali abbia perso la capacità e il piacere di proteggere una donna.

[Si vedano anche i post Il velo: decenza o intrigo?, Matrimonio pre-romantico e oltre, Donne e bambini e Incipit]

8. A scuola sono arrivate le sedie!

Giovedì 26 agosto 2008

È un giorno come un altro in ufficio e tra le tante mail riceviamo un rapporto dal nostro collega sul campo. Hassan è fisso in una delle regioni più arretrate e povere del paese, qualche centinaio di chilometri a sud del Cairo, e lavora nell'area "children at risk", per un progetto di costruzione di scuole.





























Sento la mia collega sridacchiare dalla scrivania di fianco a me, mentre inizio a leggere la sua relazione. Più che altro è un raccont sul sole, la terra, il vento, i bambini e la loro semplicità. Ha uno stile leggero e sensibile, e dopo avere introdotto il contesto comincia a raccontare la sua attività.

Si trattava di aprire un nuovo spazio educativo, una nuova scuola di comunità, e quello era il giorno in cui avrebbero portato i mobili nelle scuole. Il suo racconto si concentrava sull’entusiasmo dei bambini che, contenti e impazienti di vedere le aule arredate, hanno esultato all’arrivo dei mobili e sono andati di persona a prendersi le sedie per trasportarle in classe. Descriveva il momento, facce, sorrisi, espressioni, il rumore, l'energia, risa.

Per come sono sensibile in questo periodo, a me sono uscite le lacrime. Per bisogno di condividere, domando alla mia collega se lo avesse letto. Lei è una bella ragazza di 34 anni, molto self-confident; una di quelle persone che dominano la stanza e sono abituate a ottenere quello che vogliono. Del resto, fa parte di una delle famiglie più in vista del Cairo, è sposata, ha due figlie, e varie governanti, tra cui la tata che vive in casa con loro. Del resto, è facile essere self-confident se nessuno nella vita ti ha mai contraddetto.

“Certo che l’ho letto, è per quello che stavo ridendo! Ma che rapporto è, sembra una poesia. E poi dai…cosa vuol dire che 'sono usciti a prendersi le sedie'! Ma te ci credi?! Io non ce le vedo le mie figlie a fare così.”

Io sono rimasta delusa e amareggiata pensando “ma questa vive in Egitto o cosa? È mai uscita dal Cairo? Lavora per i bambini ma non capisce che i suoi sono dei privilegiati e per il restante 95% avere una scuola è un regalo?”

Ecco, per questo non sopporto questo posto in cui lavoro. 

7. Lo spirito E il capitalismo

Martedì 12 agosto 2008

Ieri ho parlato col mio collega tedesco Wolfram del concetto di
lavoro qui. Di quanto tutto sia disorganizzato e completamente fondato non su delle procedure, ma sulla simpatia.

In Europa le procedure ci precedono. Almeno a Bruxelles (in Italia è un po' diverso), non abbiamo il problema di fare favori, di fare regali e sorrisi, perché tutto si muove di vita propria e segue dinamiche che attengono al “è giusto così” e al “si fa così”. A volta fino al limite dell'assurdo e del controproducente, di quando non si sa nemmeno più perché si applica una regola, ma nonostante l'assurdità, non si possono fare eccezioni. Per esempio, perché al capolinea dell'autobus mentre fuori nevica non posso salire sul mezzo mentre è ancora fermo ma devo aspettarlo congelando alla fermata? Perché è così, non si può salire prima.  Perché quando ho dimenticato la valigia sul vagone del treno svedese dalla stazione dalla stazione non hanno potuto chiamare il personale a bordo mentre il treno era ancora in corsa, individuando così la valigia? Perché non si può, e lei dovrà aspettare che la portino all'ufficio oggetti smarriti (dove non arrivò mai).


Qui invece – come anche nel Sud d’Europa del resto, ma in modo molto più accentuato - è tutto flessibile. E’ tutto fattibile. Non c’è un modo piuttosto che un altro. Tutto dipende da chi hai di fronte, e da come ti comporti tu. 

I documenti non ha senso metterli in un ordine sistematizzato. Basta buttarli sullo shared-drive e poi si troveranno, perché si chiede a qualcuno; qualcuno che ricordi a prescindere da una classificazione razionale e accessibile dall’esterno. C’è sempre qualcuno a cui si deve chiedere per finire un lavoro e per ritrovare un documento. Perché le procedure non esistono, la logica è contingente e relativa, e quindi bisogna ricostruirla ad hoc volta per volta. Ovviamente non esiste garanzia di nulla e in nulla, ma nel momento in cui si riescono a controllare bene i fili del meccanismo è possibile procedere in maniera molto snella se non più efficiente che da noi. 

Per quanto riguarda il lavoro, almeno nel mio ufficio ho l'impressione che resti un puro mezzo di sussistenza, dove i risultati sono piuttosto un modo di ottenere riconoscimento, e forse una promozione, dal capo. Ma raramente c’è un fine più grande e più astratto, precedente, che motiva. I dipendenti locali lavorano qui a ** perché questo è coerente e adeguato allo status sociale della loro famiglia di origine e perché lo stipendio è buono, ma non perché vogliono contribuire a sollevare il mio paese dalla fame.

Però, esiste anche una dimensione positiva di questo maggiore distacco dal lavoro. Qui non esiste quell’etica del lavoro malsana che abbiamo in Europa, in quanto tutte le loro energie migliori vanno alla loro parte spirituale. Che lo si chiami Cristo, Maometto, Buddha, Yoga, Mindfulness meditation o contemplazione, questo è qualcosa di bello che noi abbiamo perduto e facciamo fatica a reintegrare nella nostra quotidianità

6. Una bambina in metro

Domenica 17 agosto 2008 

Ero davanti alla porta della metro, al centro, aspettando di uscire.

Alla mia destra una bimba di massimo sei anni. Dalla parte opposta la madre, dall’età indefinibile, certo giovane, ma sciupata e pesante. Era coperta alla maniera della gente più povera, col velo lungo e intero, ma aperto in viso. Portava una busta grande, piena di un misto indefinibile di sacchetti e pezzi di stoffa.

Come sempre all’avvicinarsi della fermata Al Taharir, le donne si accalcano verso la porta e iniziano a spingere, preparandosi a quella che è una vera e propria “espulsione”, dove a volte i piedi nemmeno riescono a toccare terra. Quando le porte si aprono, le donne in attesa di salire vengono avanti senza aspettare che le altre scendano e io ogni volta ringrazio di riuscire ad arrivare al suolo con entrambe le ciabatte ai piedi, e soprattutto di non cadere con un piede nel largo varco che separa il vagone dalla banchina.

La donna mi guardava. Io distoglievo lo sguardo, imbarazzata dal mio benessere. Il treno già rallenta e la bimba vacilla vistosamente, mentre la donna le dice qualcosa che ovviamente non capisco.

Allungo un braccio istintivamente verso la sua spalla per sostenerla. Non la afferro, solo pongo una mano come contrappeso nel caso avesse perso l’equilibrio. Al mio contatto, si gira e mi guarda. La mia mano è ancora lì, non glie la sto porgendo, ma lei, come se fosse la cosa più naturale, la afferra, e poi torna a voltare, tranquilla, lo sguardo verso la porta. La madre – occupata con due mani a sollevare il borsone, mi ricambia con un sorriso riconoscente ma altrettanto naturale - forse compiaciuto di vedere una ricca occidentale aiutare la sua bambina.

Le porte si aprono, la madre riesce a sgattaiolare subito fuori trovandosi a un’estremità della porta. Io sono al centro, e ho tra le mani questa stretta confidente. La tengo stretta e poi quasi sollevandola da sotto le braccia la aiuto a oltrepassare quel varco, non senza esitazione data la spinta contraria della massa entrante.

Dopo il salto la lascio. La madre mi stava sorridendo tranquilla. Ho ricambiato il sorriso con affetto, salutato, e sono andata via. Non so se glie l’avesse detto la madre di prendermi la mano sperando facessi loro la carità per il Ramadan; non è detto… di fatto nella carrozza delle donne è naturale suddividersi e farsi carico di queste mansioni coi bambini. Non potevo saperlo, ma mentre mi allontanavo con ancora il calore di quella stretta, nel vuoto che sto vivendo, ho sentito come se l’avessero fatta a me la carità. 

[Si veda anche il post Donne e bambini]

5. Se è l'uomo a far le spese della tradizione

Giovedì 14 agosto 2008

Oggi il mio collega Khaled si è confidato con me dicendomi che sua moglie non ce la fa più a stare al Cairo e vuole tornare ad Alessandria, di cui entrambi sono originari. 

Sono quattro anni che lui è al Cairo perché con UN ha un ottimo lavoro, e non lo può lasciare perché all’università prenderebbe un decimo di quello che prende ora.

Lei semplicemente ha detto che qui non respira, non riesce ad integrarsi e si sente sola. Lui ha cercato di presentarle persone, di spingerla ad uscire e fare varie attività, a lavorare. Ma niente. Lei non ha nemmeno provato. Semplicemente l’ha messo davanti a una scelta.

“Tre ore di treno tutti i giorni, all’andata e al ritorno. Dovrò svegliarmi alle cinque tutti i giorni e sarò a casa alle 10 di sera. Non avrò nemmeno voglia di mangiare, mi trasformerò in un ombra. E lei sarà da sola ugualmente, perché io di fatto non ci sarò per tutto il giorno, tornerò a casa e sarò morto. Fino a che non esploderò. Ma voglio spingermi fino al mio limite più estremo”.

“Ma come può farti questo Khaled?”. Come può una donna fare questo alla persona che ama? Come possono esistere donne così, che non si sforzano, che non riescono ad affrontare i problemi, che si adagiano e pensano che tutto sia loro dovuto? E uomini come Khaled che si sacrificano a questo punto, annullandosi. 

“Come puoi accettare una cosa simile?” - “Non ho scelta. Amo la mia famiglia. Lo sai come sono le donne egiziane. Spoiled. Non sono ‘fighters’. Non si sforzano. Sono abituate a lasciare ogni responsabilità al marito. Tutto ciò che si svolge fuori dalla casa, è lasciato al marito. Lei non ne vuole sapere nulla. Persino gli scontrini di quello che compra mi dà, perché qualsiasi problema ci sia non ne vuole sapere nulla. Queste donne non sono state cresciute per sapersi prendere delle responsabilità. Lo so, fa parte della nostra cultura, ma queste sono le conseguenze”.

L’ingresso ai luoghi della socialità deve essere completamente controllato dall’uomo. Questo è quello su cui si fonda la società islamica.

Ora ai giorni nostri, quando tradizione e progresso ancora stanno cercando il loro equilibrio, e le vecchie e le nuove abitudini convivono non senza contrasti, queste sono le contraddizioni che ricadono su persone progressiste e di buon cuore come Khaled. La donna in questo caso attinge a suo piacere, e a seconda della convenienza, sia dalla tradizione “segregatrice” (per quanto riguarda le beghe quotidiane) che dalle “moderne” possibilità di emancipazione.   

4. Matrimonio pre-romantico e oltre

Mercoledì 13 agosto 2008

Nelle società tradizionali o arcaiche, il rapporto uomo-donna si basa più sul ruolo sociale che sull’amore per l’individuo. Nella società musulmana tradizionale in particolare, il rapporto uomo-donna e il matrimonio di fatto coincidono, non dandosi possibilità di interazione tra uomo e donna al di là di relazioni e ruoli familiari.

Per quanto riguarda le classi più basse quindi, qui le persone cercano una buona moglie o un bravo marito piuttosto che un compagno di vita con cui capirsi profondamente e da amare. La coppia è quella tradizionale basata sulla reciproca sussistenza.

Dato questo aspetto funzionale, è logico che il ruolo della seduzione è del tutto secondario nelle fasce sociali più povere. Le donne, da brave madri e mogli, non curano più di tanto il loro aspetto, e non credo dipenda solo dalla povertà. Vi è infatti una sciatteria in alcune donne (veli strappati e non ricuciti, o esageratamente sporchi) che non c’entra necessariamente con l’essere poveri.

Anche da noi era così in una certa misura, sia per i matrimoni “funzionali”, sia per la mancanza di seduzione. Ma quello che cambia qui, è forse la posizione dell’uomo rispetto a questo.

Da noi l’apprezzamento degli uomini per le belle donne è sempre stato affermato e rivendicato, senza particolari sensi di colpa e nonostante i tabù cattolici che pur permanevano e il senso di "peccato" da questi generato. A parte nel medioevo, la seduzione femminile non è stata più associata fortemente a qualcosa di pericoloso e diabolico.

Qui invece, la donna, soprattutto se bella, è vista come un pericolo da rifuggire perché allontana da Dio [si veda ad esempio il post In moschea]. E quindi, se la propria moglie è brutta o bella, pare valere poco. Almeno in teoria. 
Nella pratica rinnegare l’attrazione fisica vuol dire creare una frustrazione di fondo nella società che ha mille ripercussioni – una delle quali è rendere la vita impossibile alle ragazze giovani che camminano da sole per strada…

Parlando invece di sessoDi fatto la classe bassa soffre di una repressione sessuale maschile fortissima, che crea tra gli uomini non sposati fenomeni come il sesso con animali e tra uomini, oltre alla già citata altissima frustrazione, nota anticamera di tensioni sociale. Per quanto riguarda invece le donne, oggi ho scoperto che circa il 90% delle egiziane ha subìto una mutilazione genitale di qualche tipoe che nella maggior parte dei casi questa pratica ancestrale (originaria del corno d’Africa e che non ha nulla a che veder con l’Islam) è promossa proprio dalle stesse donne, che ne hanno introiettato il valore.

Nonostante tutto questo, ed escludendo gli strati più umili e meno istruiti della popolazione come quelli descritti sopra 
 (che costituiscono direi più del 90% della popolazione), parlando con le persone, osservando e per mia esperienza diretta, resto con la sensazione che qui - negli strati medio-alti e là dove il rapporto uomo-donna funzioni - il sesso abbia caratteristiche più genuine e naturali che da noi (non saprei motivare di più, non ho abbastanza elementi a parte la mia esperienza e cerchia ristretta di conoscenze). Molti uomini occidentali mi sa che son cresciuti con troppi film porno.

Prima di tutto il fattore religioso inquadra il sesso nella prospettiva della procreazione, che è il modo in cui il buon credente partecipa al progetto divino. In secondo luogo, procreazione o meno, l'islam non è impregnato di quell’idea di peccato tipica cristiana, che inconsciamente ricopre l’atto sessuale di un carattere provocatorio e trasgressivo. Non è da tralasciare che Maometto è il primo ad affrontare l'argomento sessuale in maniera naturale (spiegando addirittura come soddisfare una donna degnamente)! Il potere dirompente e disturbante dell'attrazione per la donna è da loro demonizzano, è vero, ma non per questo si trasforma nel concetto di peccato sessuale così come si è radicato nella società occidentale.

Restano osservazioni da approfondire, ma per queste ragioni mi pare abbiano una maniera in un certo senso più naturale di intendere o vivere il sesso, ovviamente all’interno del matrimonio - (cosa che comunque non ha nulla a che vedere col grado di soddisfazione finale della coppia...).

[Si veda anche Coppie egiziane e, per un altro punto di vista sulla seduzione, Il gusto di una seduzione privata]

3. Un velo non è per sempre

Martedì 12 agosto

Ghada è una mia collega, ha 24 anni e non si copre la testa. Domenica le ho fatto mille domande sul velo e ho scoperto dinamiche che proprio non mi aspettavo.

Da occidentalo, ho sempre pensato all’assunzione del velo come un processo in bianco e nero, ovvero, o bianco o nero: o lo si porta, lo si accetta e ci si crede, oppure no. O lo si comincia a indossare durante la pubertà, per tenerlo tutta la vita, oppure probabilmente si fa parte di una cerchia di persone la cui mentalità non lo riconosce come un elemento di valore.

E invece non è così! Almeno in Egitto, è un processo mutevole che ha a che vedere in certi casi con le fasi della vita, più che con una scelta ideologica di base!

Mi ha parlato di sua madre, che se lo è messo da un paio d’anni dopo essere stata alla Mecca, perché “a una certa età le donne cominciano a vestire in maniera conservatrice; lei ha 50 anni e in più dato che aveva fatto il pellegrinaggio, ha còlto l’occasione - perché di solito così si usa dopo essere stati alla Mecca”.

“Tra le ragazze giovani semplicemente c’è chi non si sente di prendere questo tipo di impegno in giovane età, ovvero di rinunciare alla propria bellezza, alla possibilità di vestirsi come gli pare da giovani” – e qui si potrebbe aprire una discussione infinita sulla contraddizione intrinseca di una tale posizione, essendo il velo un segno di discrezione nonché un modo della donna di affermare la propria distanza dalla vanità o dell’estetica fine a se stessa, di rivendicare un ruolo che va oltre quello di mero oggetto sessuale…

“C’era una mia amica – continua Ghada – una di quelle completamente convinte dell’inutilità del velo, di quelle che non se lo metteranno mai, che per loro non ha nulla a che vedere con l’essere un buon musulmano, ma solo con una limitazione della propria libertà… Beh, lei usciva con un ragazzo. Quando lei gli ha detto con tanta determinazione come la pensava sul velo, e come mai e poi mai se lo sarebbe messo, lui è rimasto completamente schockato!”

“Ma come, se già uscivano insieme e lei non era velata...di cosa si è stupito? Non era implicito che lei la pensasse così se non era coperta?” – ho chiesto.

“E invece no, non era scontato! Il fatto è che molti ragazzi vedono il fatto di essere scoperte come una cosa di gioventù che poi passerà; e comunque pensano che una volta che una donna cresce e si impegni con loro, se lo metta”.

***

Ora ricordo, quando eravamo a cena e parlavamo del velo. Io lo so com’è lui. Ha detto che per le donne il velo è una tradizione, e infine, “Il velo per me è ok”.  Lui è uno di quelli che vuole fare il buono e il cattivo tempo con le straniere, ma la sua donna deve essere vergine e velata.

2. Scomparire, ma senza il velo

Sabato 2 agosto 2008

Simmel, uno dei miei sociologi preferiti, diceva che si comincia ad esistere agli occhi dell’altro solo quando guardiamo; ovvero, esistiamo non quando e non solo se lo sguardo altrui ci raggiunge (quando cioè siamo visibili, visti, guardati), ma quando lo sguardo altrui è ricambiato e validato dal nostro, nella reciprocità.

In verità lui dice che “The eye cannot take unless at the same time it gives...In the same act in which the observer seeks to know the observed, he surrenders himself to be understood by the observed”, ovvero non si può guardare senza non essere visti; o, per la reciprocità, non si è visti che nel momento in cui si guarda, si ricambia lo sguardo.

Io sono una persona aperta, che guarda tutto, che gira la testa, che guarda le facce di chi mi sta intorno. Se sono circondata da uomini, certo mi viene da esplorarne il viso. Nulla di più inappropriato qui, perché è un gesto che trasmette automaticamente disponibilità

Lo sguardo di un uomo non si ricambia, non si deve incrociare.

Quando cammino per la strada, e mi sento tutti gli occhi addosso, devo cercare di resistere alla tentazione di guardare. Per me è molto difficile perciò camminare a testa bassa, guardando in terra. Mi sento di implodere, di annullare la mia esistenza. Di scomparire.

Scomparire, questo è quello che queste donne vogliono. Annullare la loro presenza sociale, nascondendosi dentro vestiti a sacco e a un enorme velo nero, integrale, che a volte copre persino gli occhi. Quanto darei per averne uno e annullarmi…

Ma io non posso. Qui il velo non è obbligatorio e loro sanno benissimo che non fa parte della nostra cultura, e non ci giudicano per questo. E allora che penserebbero di una donna occidentale che se lo mette? Sarebbe una cosa senza senso alcuno, quasi un’offesa, equivalente a dire loro che non sono abbastanza civilizzati da accettare le differenze culturali. Una donna occidentale al Cairo col velo è semplicemente ridicola. Alcune turiste lo fanno, e tutti convengono sul fatto che sono ridicole.

E allora ho trovato anche io un modo per non dover camminare a testa bassa, cosa a cui non sono abituata e che mi umilia; per guardare ma non essere vista mentre guardo. Gli occhiali da sole!

Con quelli riesco a camminare a testa alta senza sembrare sfacciata. Riesco a vedere gli occhi di chi mi guarda, senza in realtà validare il loro sguardo, che resta perciò sospeso nel vuoto, e non brilla di quel disgustoso e insolente fremito di desiderio quando si accorge di incrociare il mio.

***


Lunedì 04 Agosto 2008

Ho comprato una gonna lunga nera, doppio strato. Un po’ bombata tanto per non sembrare una scopa. Di quelle che si sono viste solo nella foto in bianco e nero della tua bisnonna.

Non mi è mai piaciuto come mi stanno le gonne lunghe e non le ho mai portate, ma qui lentamente mi sto adattando a forza di vederle in giro. E poi mi permettono di sentirmi un po’ femminile, non ne posso più di pantaloni lunghi e maglie lunghe che coprono il culo…

Non riesco più a sentire il mio corpo, ad accettarne la sensualità. Ne ho bisogno, mi manca, mi sento mutilata, ma non posso darle voce, devo solo occuparmi a scomparire. 

Ahmed è l'unico momento di respiro in cui possa ricordarmi di essere donna. Ed è così, nel privato, che le donne arabe riservano la loro femminilità solo per i loro uomini.

1. È come mi fanno sentire qui

Venerdì 1 agosto 2008

Io - che fino ad ora ero convinta che la mia esperienza abroad fosse finita, e che questo fosse solo lo strascico di una fase della mia vita ormai conclusa, e che quello che mi aspettasse fosse l'Europa - ora vengo presa dall'entusiasmo e non voglio che tutto ciò finisca. Sento un migliore bilanciamento delle mie energie,  sento di avere voglia di fare cose, di leggere, di conoscere questo paese. Sto leggendo libri sulla società egiziana e ho ripreso in mano la Lonely Planet. Sto pensando ai viaggi. Sento il tempo scorrere, che sono rimasti pochi mesi, e ho voglia di vivere.

Non penso però che questo rinnovato entusiasmo nasca solo dal senso di urgenza provocato dal tempo che passa; credo piuttosto e purtroppo che l’
immobilità che mi ha colta durante i primi mesi non potesse in alcun modo essere contrastata perché faceva parte del normale processo di ambientazione che in questi luoghi – data anche la mia condizione di donna sola – è normale che prenda più tempo. Ma altrettanto continuo a soffrire per questo ormai triennale e itinerante sradicamento dagli affetti, che mi ha portata a ridisegnare la mia vita da capo ogni sei mesi...e che mi ha stancato tanto.

È venerdì e sono a casa (qui è giorno festivo).
Il caldo è soffocante. In camera da letto ho l’aria condizionata, che però fa un rumore rintronante; e in salotto c’è solo la ventola, che non è abbastanza per rendere l’aria respirabile. Mi sono svegliata presto, e ho passato la mattinata individuando le cose da scrivere sul cv. E poi ho finalizzato il mid-term report che devo mandare. Ho letto. < Poi mi è preso il vuoto. Se non ho qualcuno con cui uscire - e non è facile trovare qualcuno con questo caldo - non me la sento. Non è facile andare da sole, è un assillo e un’umiliazione continui, esasperanti, da gridare, da piangere, da prenderli a schiaffi.

Mai nella mia vita ho sentito questo senso di
impotenza e di noia. Mi sento imprigionata in casa, dal caldo, dagli uomini. Vorrei uscire, andare, ma non riesco. Mi sento male nel mio corpo, mi ci fanno sentire. Non è mai abbastanza; vorrei uno dei loro camicioni per nascondermici dentro. Questo è come mi fanno sentire qui.

Non deve essere così per tutte le donne. Ci sono quelle che
se ne fregano, che si sentono meno limitate; le nordiche soprattutto, mi pare. Sicuramente dipende un po' dalla cultura e un po' dal rapporto che ognuna ha col suo corpodalla cultura perché 
le nordiche, e le scandinave in particolare, secondo me vengono da un contesto dove la parità di genere e il rispetto sono talmente acquisiti, che nemmeno hanno i "recettori" per sentirsi offese nella loro dignità di donna. Io da italiana invece (anche se sono cresciuta in un nord progressista) confronto e confermo la mia identità in base ai codici e ai meccanismi della cultura mediterranea, che è la stessa che c'è qui, seppure estrema; dipende infine dal rapporto di ognuna col suo corpo perché penso ci siano donne che vivono "meno in contatto" col loro corpo, o meno abituate a esprimersi tramite esso; forse loro si sentono meno mutilate...

Faccio come le donne egiziane che si
barricano in casa. E poi non saprei proprio dove andare. Non c’è un parco, un bel boulevard...non c’è nulla di piacevole e rilassante durante il giorno. Questa sera andrò in un locale con Nada e Marta.

La mia camminata ha preso la cadenza lenta degli egiziani. È l'unico modo per resistere al caldo.