6. Lettera a un amico

26 febbraio 2008

Ciao A.,

le prime due settimane sono passate, e con loro anche i mille pensieri dei primi giorni. Ho avuto due settimane che mi paiono due mesi ma ora quasi tutto è sistemanto e sto iniziando a tutti gli effetti la mia vita cairota.

Mi sono iscritta in palestra; il corso di arabo invece aspetterà ancora un paio di settimane e non vedo l’ora perché è impossibile vivere altrimenti. Non vedo l’ora di essere completamente sistemata, perché sì, ora sono esattamente nel periodo di maggiore entusiasmo, anche se in realtà tutto ti provoca un gran stress.

Culturalmente è tutto nuovo e mi rendo di non capire a fondo tutti i contesti. Il livello di allerta è sempre alto e cio' fa si' che la sera mi ritrovi stanchissima ma senza sapere perché...in realtà è il cervello che non ha più automatismi, è sommerso di stimoli nuovi, da una lingua che non capisce e che crea un continuo rumore di fondo, e di situazioni che non sa prevedere o gestire...

Ho trovato un appartemento decente nella zona considerata top (mah...), dove stanno la maggioranza degli expats. Lo scorso weekend sono andata in centro, in una parte popolare e vecchia dove fanno il mercato tutti i giorni. Mi sono anche presa da mangiare in una di quelle bancarelle e non mi è capitato niente...Purtroppo non riesco ancora a fare foto, e non so se, quando e come ci riuscirò.

Gli egiziani sono calmi ed ospitali. Certo mi sento osservata come se fossi un animale strano, e anche se sai che è così e te ne fai una ragione, è una sensazione pesante, e mi rincuora sapere che anche le altre ragazze che magari sono qui da più tempo provano la stessa cosa. E’ come se ti facessero sentire nuda perennemente. E poi ti guardano davvero tutti, maschi e femmine e pure i bambini, che poi chiedono alle mamme qualche spiegazione, forse sui capelli al vento...

Per il resto il mondo arabo è tosto, è davvero tutta un’altra cosa. Non dico che sia difficile, perché io alla fine sono legittimata a restare me stessa. Ma viverlo da espatriato non è comunque scontato. Senti proprio che non condividi più il filtro della cultura, del sistema di valori più profondo. Non mi era mai capitato. Sai che su certi argomenti non ti potrai mai capire.


E’ bello quello che sto vivendo, ma io sono diversa. Le altre volte che partivo, era una “solo andata”, senza pensare al ritorno, chiudevo il capitolo precedente (più o meno consapevolmente) con l’idea di lasciarmi trascinare dai flussi, e vivevo la mia nuova vita come un nuovo inizio, ogni volta definitivo, anche perché andandomene sentivo sempre che non avevo niente da perdere; anzi, al massimo scappavo da qualcosa. Questa è la prima volta invece che ho davvero dovuto lasciare una situazione in cui mi stavo bene. E quindi il ponte Europa è ancora in piedi. Significa che so che voglio tornare in Europa, anche se non so dove, e soprattutto a fare cosa. Bruxelles è una possibilità.

Quello che vedi dal di fuori non è che il risultato di un percorso non facile per cui ho dovuto sacrificare e lottare tanto, e per cui ancora sto continuando a rimandare o a mettere in gioco delle cose importanti. Magari sembra tutto luccicare, ma semplicemente non sai dove stanno le toppe, o gli imperativi della ragione che non coincidono con quelli delle emozioni. La cosa che conta alla fine però, credo sia il fatto che rifarei tutto.

Dalla mia parte infine, posso sempre invidiare la qualità della tua vita, che ti permette di assaporare le cose in tutt’altra maniera, con un ritmo più umano e consono, che mi manca da tanto. Avresti potuto suonare la batteria in questi ultimi anni con la vita che ho fatto io? Io voglio una casa fissa così potrò riavere un pianoforte.

Un bacio,
Margot

5. Khan el-Khalili e Bab Zuela

Sabato 23 febbraio 2008

Ieri con Sara siamo andate ai mercati di Kan Al Khalili (quello turistico) e Bab Zayla (fuori dagli itinerari noti), addentrandoci sempre più nella parte popolare. Ora capisco perché Zamalek è considerata essere la zona bene. Ho comprato delle sciarpe bellissime per 3 euro e un paio di ciabattine rosse fiammanti. Il contatto con questa vita brulicante è bellissimo. E’ inutile che a parole descriva atmosfera e colori.

Purtroppo non riesco nemmeno a fare foto in queste circorstanze. Sento di rompere l’osmosi con le persone, e interromperei lo scorrere delle emozioni sul mio corpo, proiettandomi in una dimensione estranea, risucchiando e annientando la spontaneità dei loro sorrisi, o incanalando forzatamente la direzione dei loro sguardi. So che non posso più fotografare le scene che amo di più. Un po’ mi sono rassegnata a sentirle solo sul momento, sapendo che prima o poi si perderanno nel marasma dei ricordi. Le immagini e la composizione delle situazioni specifice se ne andranno, però so che manterrò il ricordo dell’intensità e della genuinità dell’emozione provata.

Per i bambini, come previsto, eravamo un’attrazione. Provavano le poche frasi in inglese imparate a scuola: welcome, hello, welcome to Egypt, happy new year. Ho sentito un dito che mi toccava la spalla. Volevano sentire se avevamo la loro stessa consistenza?

Una vecchina ottuagenaria ci ha seguita continuando a dire “hello”, e poi toccandoci. Voleva soldi. Gli uomini ci guardavano come esseri strani, ma non erano molesti. In generale sembravano rispettosi; o forse sono timidi. Abbiamo preso del pane in una delle bancarelle sulla strada, quella che ci sembrava più pulita. Per il resto, davvero il peggio della sporcizia...e poi capre, conigli, galline, gatti, cani...L’atmosfera era serena comunque. Abdel l’altro giorno mi ha detto che gli egiziani “are not angry with their lifes”. Stanno bene nella loro situazione, è vero, almeno così sembra. Certo, il loro fatalismo certamente aiuta.


E’ finita la settimana di spaesamento. Ora sta iniziando l’appropriazione di questa città. E piano piano mi staccherò dal mio passato più recente, sfumandone i ricordi e passando definitivamente al capitolo successivo.Mi sento già meglio. La casa e la presenza di Sara certo fanno tanto, e anche aver aperto un conto in banca. Ora sono in quel periodo dove è grande l’impulso a scoprire, e nello stesso tempo ci si sente un po' più a proprio agio, seppur ancora disorientati.



Lunedì 25 febbraio 2008

Lo smog mi uccide. E ho paura dell’acqua del rubinetto. Oggi durante il security briefing il tipo mi ha terrorizzata a suon di “virus that squat in you liver”. Penso a quanto ne risentirà il mio fisico per questo anno qui. Sogno le colline toscane, gli aperitivi all’aperto, le strade di Roma, la possibilità di mettermi un bel vestito, i giri in bicicletta. Quanto è malsana la vita qui. E loro non lo sanno, camminano tranquilli nello smog. E mi chiedono perché mi imbavaglio, e io cerco di fargli capire che quello che respirano è avvelenato, ma loro mi guardano come pazza.
***
Due giorni fa un mio collaga, Mohamed, mi ha chiesto se potesse farmi una domanda.
-
Do you live alone or with your husband? Are you married?
– No, I am not married. Here I live alone, for the moment I am hosted by a friend
– Ah, do you live with a friend?
– Yes, an Italian girl, but I will move soon to live alone.

Solo a quel punto mi ha detto che se mi può far piacere, mi potrebbe accompagnare a visitare la Old Cairo. Io gli dico di sì che mi interesserebbe molto - anche se non sono molto convinta di andare con lui. -
And obviously it’s for free, you can trust me, I do not want anything, you know what I mean...!- ha aggiunto.

Non sono sicura di capire cosa intenda in realtà, ma certo
all’inizio credevo che si interessasse del mio stato civile per fini suoi...in realtà era solo per constatare le precondizioni per invitarmi: credo che se fossi stata sposata non avrebbe mai osato invitarmi! Ha poi voluto sottolineare come non ci fosse nessun interesse sotto.



4. La casa

Mercoledì 20 febbraio 2008

Oggi ho visto quattro case, con Abdel. Due erano improponibili. Una era carina, ma con la lavatrice semiautomatica, che vuol dire che l’acqua glie la devi cambiare tu. Un’altra mi piace abbastanza, magari è un po’ spoglia, ma è pulita e tutto è in condizioni abbastanza buone. Solo devo capire come si apre la lavatrice, ché non ci sono riuscita. E se i due boiler funzionano bene, perché quello che mi interessa è avere una bella doccia.

Giovedì 21 febbraio 2008

Questa sera ho deciso per la casa, per l’appartamento più piccolo. E’ leggermento meno cozy dell'altro, ma mi sento più a casa, perché è più raccolto e meno labirintico. Coi soldi che mi risparmio anche solo il primo mese posso comprare le cose per renderlo più carino. Abdu si è meritato mille cene con tutte le volte che l’ho chiamato.

Mi ha quindi portato a conoscere la padrona. Doctor Agaya è una signora sulla settantina, col viso che sembrava una maschera di cera che si sta sciogliendo, due occhi che mi hanno fatto pensare a Micheal Jackson, e il naso che sembrava scolpito nel sapone. Mi sembra una plasticata in via di liquefazione.

Lo spazio della casa era diviso da architetture di legno biancho arabeggianti. I mobili erano in tipico stile “goldy” locale - una specie di Luigi XV ma molto più carico e marcato, decisamente pacchiano - dalle imbottiture tutte macchiate e sdrucite. Tutto tendeva al dorato e al rosa. Anche il grande tappeto all'ingresso, che copriva una larga depressione nel pavimento dove mancavano le piastrelle, aveva l'aria di essere stato rosa...

Il salotto era diviso da due archi di legno da cui pendevano due pagliaccetti. Da una bacheca nel muro alla mia sinistra invece mi guardava una bambola. Poco più in là una foto della signora di almeno 40 anni prima, vestita con la casacca e il cappello accademici e una pergamena in mano. Insegnava all'università.

Intanto che io mi fissavo sui particolari di questa casa posticcia come il viso della sua padrona, e che avrebbe potuto benissimo essere la scenografia di un film di horror psicologico, Abdel e lei discutevano animatamente (urlavano, litigavano) in arabo per contrattare il prezzo. Alla fine la signora si è convinta a darmelo per 3600 pounds invece che 4000.

Domenica vado a firmare il contratto e a portare i soldi, ma non potrò entrare in casa fino a martedì. Spero davvero che la signora faccia tutti i lavori che ha promesso. Non vedo l’ora di andare nella mia nuova casetta, sperando che tutto funzioni. Ho solo paura del fatto che sono al settimo piano. Come farò a salire sulla sedia per mettere le tende...

3. I primi sguardi (intorno a/su di me)

Martedì 19 febbraio 2008

Come osservano, tutti, donne e uomini.

Io non mi castigo, ma pare che qualsiasi centimetro visibile della mia pella sia degno di essere guardato con stupore. Molte saranno paranoie, però di fatto mi portano a controllare ogni minimo mio gesto. Oggi per esempio mentre aspettavo la metro volevo tirarmi su il gambaletto che scendeva, e così facendo ho tirato su anche il jeans scoprendo mezzo polpaccio. Mi sono chiesta se le arabe lo avrebbero mai fatto, se fosse considerato inadeguato, o se semplicemente il solo fatto che a farlo sia un’europea bionda dalla pella così bianca rende quei centimetri di pelle più curiosi.

Le donne nella metro mi guardano tanto. Sicuramente si chiedono perché una “ricca europea” debba, o voglia, mischiarsi a loro. Non solo gli europei che vanno in metro sono pochissimi, quasi inesistenti; ma pare che a prendere la metro siano le persone delle categorie più svantaggiate e conservatrici, per cui la mia distanza da loro è ancora più forte. Ci sono molte donne coperte integralmente con niquab e guanti. Oggi una mi era seduta davanti. Già mi fissava prima che il posto di fronte a lei si liberasse e io andassi a sedermici. Poi non mi ha letteralmente staccato gli occhi di dosso, guardandomi sia il viso sia le mani. Gli uomini guardano un sacco e dicono non so cosa...meglio non saperlo.

Ieri dopo il lavoro ho fatto un giro a Zamalek, il quartiere dove abito, un'isola sul Nilo. E’ pieno di negozietti e sempre pieno di gente. Ovviamente questo casco biondo che mi trovo in testa è qualcosa di davvero fastidioso. Sono tentata di tingermi in capelli di scuro, ma sarebbe un casino poi mantenerli.

Il velo noi lo associamo alla frustrazione o alla negazione della libertà, o della femminilità, ma per me non è affatto così. Sì, di base nasce per quello, ovvero, è il simbolo della limitazione dell’identità sociale della donna, della restrizione della sua libertà di movimento al di fuori delle mura domestiche (come scrive Fatima Mernissi). Ma è anche noto come le società si appropriano di certi costumi facendoli evolvere e generando dinamiche nuove.

Io queste ragazze le vedo presissime dalla loro femminilità, e sensuali e intriganti lo sono davvero. Si sistemano i veli in tanti modi diversi, come se fossero vere e proprie pettinature. Ed esistono una tale varietà di modelli tali da disegnare e creare tutta una gamma di segni e posizionamenti all’interno del loro codice di gusto. E’ bello vedere le diverse combinazioni e i diversi dosaggi tra elementi arabi e occidentali. Si va dalla ragazzina vestita da rapper ma col velo, alla donna in tailleur sempre col velo, a quella compleatamente occidentale, a quella col niquab, a quella vestita in tunica lunga ma con veli tutto pizzi e provocanti. Mi piacerebbe comprarmi un niquab. Può sembrare stupido detto dalla mia posizione, lo so, detto da me, ma mi piace...

Oggi un mio collega mi ha fatto un briefing sui beduini. Mi ha detto come da loro il velo integrale nelle donne non sia da collegarsi tanto, o per lo meno non solo, alla religione quanto soprattutto alle asperità del territorio. Anche gli uomini infatti si coprono testa e volto (soprattutto bocca), e persino in città ne vedo tanti.

Questo pare un tipico caso in cui in quella che pare una manifestazione culturale del tutto “arbitraria” (perché coprire la testa e non i piedi come in Cina??), si riescono a determinarne le radici “relative” a una precisa componente contingente e fattuale. Ovviamente la cultura si deposita e si manifesta per strati, e in questo caso la componente religiosa potrebbe avere formalizzato e arricchito di significato rituale un fenomeno che esisteva già come manifestazione di un’esigenza pratica, in particolare quella di ripararsi dalla sabbia e dal sole.

2. L'arrivo


Domenica 17 febbraio 2008

Sono atterrata ieri.

Questa sensazione la conosco, ma quando mi prese a Santiago del Cile non era tanto forte.

E’ un senso di smarrimento, che quando ti guardi intorno ti chiedi che diavolo ci fai lì. In questo paese così vicino e così lontano. Il Latinoamerica in confronto è dietro l’angolo. Provi a proiettarti fra 10 mesi e pensi che non ce la farai mai a sopportare un anno in queste condizioni. Provi a immaginarti quanta vita scorre là dove hai lasciato le persone a cui vuoi bene, e pensi che non riuscirai mai più a colmare la frattura, anche se continui a ripeterti che l’esperienza ti ha dimostrato che non è vero.

La realtà è che sei tu che hai paura di cambiare, di perdere il controllo di quello che sei ora, coi tuoi gusti, le tue esigenze, i tuoi amori, le tue priorità. Sai che il cambiamento è ineluttabile, e così intrinseco che non hai modo di controllarlo. Hai paura di ritrovarti fra un anno senza riconoscerti, senza più sapere che posto andare a rivestire nella società che a malincuore hai appena lasciato, e nella quale avevi abbozzato finalmente un percorso in cui ti riconoscevi e identificavi. E ora che cos’è questo lavoro che mi ritrovo? E’ ora in grado di sopperire a un mio bisogno esistenziale? No...Dove ero io ora? In un mondo fatato, è vero, però era diventato per una volta il mio mondo.


Non ho internet a casa né skype in ufficio. Non ho un posto mio ancora, sono lontana dal lavoro. Avere punti di riferimento in arabo è impossibile, e anche ricordarsi le parole e i nomi delle vie. Conosco già questo senso di straniamento, ma è pur sempre sgradevole. Almeno con le lingue europee riesci ad orientarti, qui invece....è arabo.

Anche a Santiago i primi due giorni ho reagito così. Mi ricordo che avevo il magone, che mi mancava tutto, e qualsiasi sciocchezza mi infastidiva: il fatto di non poter buttare la carta igienica nel water, il sapore di cloro dell’acqua, il freddo mentre facevo la doccia, le strade inquinate. Ma dopo una settimana mi ero fatta conquistare dai colori, e dopo un mese non volevo più andarmene.

Ora so che tutto questo malessere dipende solo dalla casa, che è per antonomasia sinonimo di abitudine. Datemi delle abitudini. Non ce la faccio più a ribaltare sempre tutto, a rifare sempre gli stessi processi. Casa, trasporti, sim card, banca, collegamento internet, esplorazione negozi, registrazione al consolato...La mia testa è un intruglio di codici e numeri pin.


Oggi è stato il primo giorno di lavoro, un lavoro bellissimo, quello per cui ho investito tutto, e rinunciato a tanto…Ma non riesco ad esserne entusiasta. Vorrei quello da cui sono sempre scappata: avere la tranquillità di una vita regolare, in una bella città, con il sole, e una dimensione pedonale. Un lavoretto decente ma non per forza super figo, che mi dia i soldi giusti per poter vivere decentemente e metter qualcosa da parte. Arrivare a casa a un ora decente e chiacchierare con un amico davanti a un bicchiere, rilassarmi, curare il mio corpo in palestra, vedere un film con qualcuno, leggere e leggere.


O forse ho semplicemente perso, o meglio, appagato, quella vena antropologica che mi ha sempre spinto ad assimilarmi ai luoghi per poterne cogliere l’anima. Ora preferisco molto di più un’osservazione distaccata, ma pur sempre acuta. Non ho più quella voglia di andare dentro l’altro e il diverso per forza, di capire la sua forma mentis, il perché fa certe cose. Mi piace prendere atto delle sue abitudini, quello sì.


Credo che il mio punto di massima espansione, come lo chiamava P., sia stato toccato. Ora è il tempo del raccoglimento. Credo che dovrò cercare di sistemarmi al più presto, tranquillizzarmi, farmi una buona connessione Internet, concentrarmi sul lavoro, per fare un buon lavoro, e poi cominciare a mandare cv a Bruxelles.
Non ho tanta voglia di uscire al momento. Bruxelles mi ha estenuato nell’ultimo anno. Forse mi verrà tra un paio di mesi...Credo non ci sia nulla di male ora a prendersi un po’ di tempo per ricaricarsi. La città me la godrò più avanti.


***


Non è scontato niente. Non è scontata la salute, non è scontata l’aria che respiri, la sicurezza delle case in cui vivi, delle strade, degli ascensori o delle macchine che guidi, o i controlli sul cibo.

Ho ingurgitato quintali di piombo. Il Cairo è perennemente avvolta dalla nebbia…solo che è smog. Questa città non contempla l’esistenza della parola “pedone” ed è continuamente congestionata dal traffico. Ho marciato in lungo e in largo, cercando di passare da un ponte all’altro del Nilo. A un certo punto mi sono ritrovata su un raccordo – per nulla pedonale – camminando in salita in un marciapiede di 10 cm, interrotto regolarmente da pali della luce, ai quali dovevo attaccarmi ruotando per poter continuare a camminare sulla stretta striscia senza cadere sulla strada dove le macchine sfrecciavano.

Le strade in generale non sono attraversabili, e ovviamente mancano le strisce pedonali. Ci sono militari ad ogni angolo, ma ancora non ho capito a fare cosa, se non per morire di cancro fra 5 anni. L’aria è irrespirabile, e ciononostante le persone passeggiano sui ponti e si affacciano alle balaustre per guardare il Nilo, che sì, è affascinante.

Ieri, primo giorno, mi hanno mandato l'autista; domani dovro' andare al lavoro da sola. Vedremo come...!


Lunedì 18 febbraio 2008


Oggi A. mi ha mandato una mail. Discreta e asciutta. Mi rendo conto di come, se avessi qualcuno accanto, sarebbe comunque questo tutto quello che vorrei. Qualcuno che sappia entrare poco a poco in me, che non rischi di interrompere gli andirivieni dei miei umori con il suono imposto della voce; ma che si insinui semplicemente nei miei pensieri, tramite poche parole, radicandosi così in maniera più uniforme dentro di me. Quanto invece mi sentivo graffiata dalla videocamera in skype...Ogni giorno, stessa ora, e la schiavitù della voce e della telecamera.

Mi rendo conto di quanto sono sfuggevole. E di quanto il mio mondo interiore sia intricato, e non riesca a sintonizzarsi sulle frequenze esteriori. In questi giorni Sara, che mi ospita, deve starsi chiedendo che cosa mi spinga a chiudermi in camera mia alle 20.30, col mio computer, a scrivere – come le dico.


E’ la mia esigenza di districare i fili, di dipanare la matassa quotidianamente, per poter controllare bene i fili del burattino la mattina dopo. Non riesco a gestire più di tanti input. E ho capito che ho un bisogno quotidiano di farne tabula rasa, ovvero, di digerirli con me stessa.


Questa notte sono riuscita a riposare - inaspettatamente, dato lo stato d’animo di ieri sera – e mi sono svegliata molto bene. La soluzione taxi + metro per andare al lavoro ha funzionato, e mi sono tranquillizzata.


E già entro in quello stato in cui ci si avvicina alle persone, come a Lara per esempio, o Liliana, una signora italiana che ho conosciuto oggi. In fondo, li conosco già gli stadi di adattamento.


Ciao A.,

il viaggio è andato bene, con tanto di solita gente che non è disposta a capire quando qualcuno preferisce ascoltare l’ipod piuttosto che parlare tutto il tempo...


La città è strana...Non riesco a dire che è bella perché i due quartieri che ho visto esteticamente non lo sono, però l’atmosfera mi piace. Credo che abbia tanto da offrire, ora cercherò di scoprirlo. Tutti mi hanno detto che è una città molto sicura, anche per girare da soli. Gli egiziani sembrano proprio tranquilli, a parte che forse osservano un po’.


Ieri per tornare a casa ho preso la metro. Mi sono infilata in un vagone, a caso, e mi sono accorta che erano tutte donne. Insomma, uno dei vagoni centrali è riservato a sole donne. Per fortuna che mi sono infilato in quello giusto! Quando sono uscita dal mio vagone ho visto gli altri che letteralmente straripavano ed erano tutti uomini, aiuto! Forse ci vanno solo le donne di una certa età.


Poi ho preso il mio primo taxi scassato, dopo aver finalmente desistito (dopo quintali di piombo inalato) dal fare l’ultimo tratto di strada a piedi, cercando disperatametne di capire come evitare i raccordi, impossibili da attraversare, che passano attorno al Nilo. Sta mattina mi sono svegliata con quella sensazione di quando hai fumato più del tuo numero solito di sigarette. Ho inoltre capito che il rischio più grande che correrò è quello di essere investita da una macchina. Ho anche scoperto che la mia patente qui non è valida, e sono molto disappointed, ma forse è un bene che non possa gettarmi in questo traffico.


Non ho ancora visto il centro, ci andrò questo weekend. Il Nilo è affascinante, e ci sono vari locali e giardini lungo le sponde. Ma per il resto anche il quartiere che dicono essere un po’ più residenziale e caro (dove lavoro io), in certe parti a me pare comunque popolare...


L’inglese qua non è che lo mastichino così tanto bene per la strada. Era tanto che non mi capitava di sentirmi così completamente incapace di comunicare. Poi per quanto riguarda la trascrizione in alfabeto latino...ognuno ha la sua versione e non si capisce mai se si sta parlando dello stesso posto. Appena trovo una casa e mi sistemo, corso di arabo. Va beh, comunque in fondo è un po’ come stare a Napoli ;)


In ufficio non posso installare skype e Sara non ha internet a casa per cui in questi giorni sono un po’ isolata. In compenso ho un nuovo numero egizio: 02 016 9010772


A presto,
Margot

1. Incipit

L'Egitto - Domenica 6 febbraio 2011

"Cara E., (...)ho passato quest' anno in relativa solitudine, per scelta, per stanchezza nel conoscere nuove persone e per difesa dal dolore di poi doverle lasciare per l'ennesima volta. Ho riflettuto molto. Ho vissuto in una delle città più grandi del mondo, che mi lasciava esausta ogni giorno per il solo fatto di non riuscire a respirare normalmente, data la concentrazione di polveri sottili nell'aria tra le più alte nel pianeta. Ho lottato contro il rumore che annientava il mio sistema nervoso, contro la bruttezza del cemento abusivo, e l'avidità di un'industrializzazione e di un turismo che stanno distruggendo ogni risorsa naturale di questo luogo di magia e storia. Ho accumulato una grande frustrazione, e i miei "sensi" sono stati annientati in parte dalla mancanza di stimoli positivi, e in altra parte anestetizzati da me, per sopravvivere alla bruttezza e allo spreco. Penso al sistema gigante in cui sto lavorando, ai pomeriggi spesi in workshop dove si parla e si riparla di sviluppo, ma non si capisce quello che vuol dire umanità, essere umano, Uomo!(...)" (5 Dicembre 2008)

Questa è la storia di un anno - il 2008 - speso tra ironia e sconforto, stupore e fatica. Ho deciso di condividere queste parole. Non sono che le impressioni di una giovane donna arrivata nel Nordafrica di corsa e in carriera - occidentale, non sposata, e pure bionda... - e tornata con l'impressione di avere completato l'ultima tappa di quella corsa. 

Il lavoro e il confronto con una società divisa tra storia e modernità, tradizione e libertà, corruzione e la corsa verso un agognato sviluppo - per tanti solo verso la ricchezza; il velo, le donne, gli uomini, il sesso, l'amore, i bambini, la maternità, la solitudine, la lontananza, il sole, la storia

Una sottile striscia di Mediterraneo riflette, come uno specchio, Roma e Alessandria - così vicine nell'antichità; l'occidentale e l'orientale: davvero così lontani?

Negli ultimi giorni i media italiani si sono divisi tra gli scandali sessuali di Berlusconi e la rivoluzione in Egitto. Da una parte l'insorgere del popolo egiziano nella presa di coscienza dei propri diritti individuali e sociali; dall'altra parte il risveglio delle donne italiane in una riflessione nuova e quanto mai dovuta sul significato attuale della propria femminilità e delle modalità di confronto e relazione con l'altro sesso. Due temi che risuonano in queste riflessioni, iniziate a scrivere esattamente due anni fa.

Durante quell'anno, il mio sguardo ha progressivamente inziato a sdoppiarsi, tra oriente e occidente, tra nord e sud:

lottando in principio contro la frustrazione della mia femminilità occidentale giudicata, oltraggiata e di fatto, lì, limitata;

scoprendone in seguito una nuova, loro, ancestrale, naturale, a tratti dirompente, e altre volte opprimente, insidiosa, incatenata, lacerante; 

stupendomi di quando questa diventasse contradditoria e caricaturale, là dove voleva scappare alle loro repressioni attingendo all'estetica "gonfiata" occidentale; 

e infine, una volta tornata in Europa, guardando con stupore, se non indignazione, in uno shock culturale al contrario, a quelle che sono i nostri disequilibri interazionali e povertà affettive, in particolare nel rapporto uomo-donna

Copio passo passo il mio diario di quei giorni, mantenendone la confusione e le contraddizioni del sentire.

Nel febbraio 2008, al momento della partenza, avevo da poco compiuto 28 anni.
Margot Bezzi