11. Il velo: decenza o intrigo?

Mercoledì 30 luglio

Primo classificato in molestie sessuali

Questa sera sono andata a cena con Nada e due sue amiche al Sequoia, un locale abbastanza in vista proprio sulla punta meridionale dell’isola di Zamalek.

May, l’amica di Nada, è egiziana, ha 45 anni, è cresciuta nel Regno Unito e ora lavora in una ONG. Abbiamo parlato a lungo di cosa vuol dire vivere da donna al Cairo, e mi ha spiegato come al momento l’Egitto non abbia eguali nel mondo arabo in materia di sexual harrassment.

Comparati con l’Egitto infatti: il Maghreb è molto più libero sessualmente e vi è quindi meno frustrazione; nel Golfo - fermo restando l’adeguarsi alle loro regole - sono più abituati a trattare con gli stranieri per scopi commerciali e ne interpretano meglio i comportamenti. Come ha detto May, “capiscono, ad esempio, che essere non-vergini non coincide con la disponibilità immediata, né col poter/voler far sesso con qualunque uomo: insomma sanno che anche le donne amano scegliere con chi avere una storia, indipendentemente da se sono vergini o no!", (e ancora mi torna in mente la scena di Persepolis, dove la nonna racconta come gli uomini si relazionino alle donne divorziate)! Infine, in Libano e Syria sono più conservatori, ma lo stesso non succede come qua.

Questa triste primato egiziano è legato alla progressiva crescita della fascia di popolazione maschile “frustrata”, e questo dipende da varie dinamiche sociali:

- Il miglioramento delle condizioni di vita assieme alla sopravvivenza di modelli familiari di tipo tradizionale continuano ad alimentare il boom demografico, facendo sì che i giovani costituiscano più della metà della popolazione.

- L’età del matrimonio si è progressivamente spostata in avanti, un po’ perché più giovani hanno accesso agli studi, un po’ perché col recente peggiorare della situazione economica ci vuole sempre più tempo per mettere da parte i soldi necessari a sposarsi. Va da sé che per chi fa parte della classe medio-bassa ci sono ben poche possibilità di entrare in contatto con una donna al di fuori del matrimonio. L’amico di Sara che mi ha aiutato a trovare casa ha 31 anni, e mi ha detto che è vergine, e io a vederlo ci credo.

Il velo integrale: decenza o intrigo?

Il problema ha assunto una portata importante ed è già elemento di dibattito in alcune arene politiche (questo mi solleva, perché vuol dire che non sono io a esagerare e a non saperlo gestire!). Inoltre, lungi dal riguardare solo le donne straniere, colpisce sempre di più anche le donne egiziane velate, e persino quelle col niquab, ovvero coperte completamente.

A proposito di questo, il nostro security officer, Amir, ci ha raccontato un aneddoto molto eloquente. Un uomo – portato alla polizia per aver molestato una donna coperta – avrebbe detto: “era tutta coperta…chissà cosa c’è sotto!”. Una tale affermazione è interessante, in quanto disconosce di fatto il sistema di valori della cultura islamica!

Il ruolo e l’effetto del coprirsi o del nascondersi è molto diverso tra mondo occidentale e orientale.

"Hot!"
Il commento di un mio amico (italiano) quando ho pubblicato su facebook questo primo piano di tre donne, in cui si scorgono solo gli occhi sotto i niquab, è stato:hot!”. In una società come la nostra dove tutte le frontiere del corpo sono state socialmente abbattute e tutto è posto alla portata di tutti, se pure l’occhio dell’uomo occidentale è abituato a cercare la carne nuda, apparentemente non rimane indifferente al suo contrario e resta intrigato da ciò che è troppo nascosto: ciò che non si vede resta uno stimolo per la curiosità.

Nella società araba tradizionale invece il coprirsi non è una scelta bensì una condizione imprescindibile per la donna, e a differenza della società occidentale, non vi corrisponde alternativa. Anche il concetto di pudore di conseguenza è diverso. In occidente il pudore si oppone alla volgarità, mentre qui resta un concetto molto più neutro, che corrisponde piuttosto a un’affermazione di modestia e discrezione, e non ha necessariamente a che vedere con la repressione. Non avverto in questa cultura il concetto di volgarità, o se lo vedo, è sempre derivato da un’estetica importata dall’occidente.

Le sostenitrici del velo fanno coincidere il coprirsi con l’affermazione della propria esistenza di donna al di là della dimensione sessuale: portare il velo vuol dire mostrarsi prima di tutto come donna e persona, invece di oggetto di attrazione sessuale.

Con questo non voglio né negare l’esistenza di un’ingente pressione sociale a favore del velo, esercitata sia dalle donne che dagli uomini; né il fatto che le donne a sostegno del velo abbiano semplicemente introiettano il sistema di valori dominante; né l’esistenza di una grande ipocrisia in questo ambito. 


Noto solo come in un paese dove mettere in mostra le proprie carni non ha mai fatto parte delle opzioni, la scelta di mantenersi fedeli alle proprie tradizioni e il distacco dall’estetica occidentale non è vissuta dalle donne necessariamente come una privazione, ma al contrario come un’affermazione della propria identità, di donna, e di donna araba.

Escluso quindi l’elemento di “repressione” (L'Egitto non è una società estremista) e tralasciando la mia opinione personale a riguardo, ma mettendomi nei loro panni, perché le donne arabe dovrebbero smettere di portare il velo? Siamo noi donne occidentali forse più rispettate perché non lo portiamo? 


Inoltre, lungi dal limitare l’espressività, il velo è un codice vestimentario come un altro, declinato in mille modi, anche sensuali (e qui si aprirebbe un dibattito complicatissimo sulle contaminazioni occidentali e le differenti maniere di indossare e interpretare il velo...). 


[Si veda anche il post Il gusto di una seduzione di privata]

L’uomo arabo tra oriente e occidente

Ma tornando all'uomo interrogato dalla polizia; affinché un codice, in questo caso il velo, possa generare senso, deve corrispondervi la capacità dell’uomo arabo di interpretarla: in presenza del velo l’uomo d’onore non solo rispetterà, ma proteggerà la donna che aderisca a questo sistema valoriale.

Quello che sta succedendo ora invece, nell’incontro tra culture e nel mischiarsi delle estetiche e dei codici tra oriente e occidente, è che l’uomo arabo è esposto all’estetica e ai codici occidentali; e quindi mentre i codici occidentale e orientale convivono e si sovrappongono, la reciprocità interpretativa non è più scontata e si crea uno scollamento tra il valore tradizionalmente associato a un certo tipo di comportamento (comprese le scelte di abbigliamento) e la loro interpretazione, soprattutto dallo sguardo maschile.

All’interno della stessa cultura araba si è creata una contraddizione valoriale che fa sì che l’uomo arabo vada a importunare la donna in burqua, quella che dovrebbe rispettare, quella "decent" - per dirla come loro sullo stile vestimentario più tradizionale! Questo mi sembra sintomo di una grande confusione simbolico-culturale, in cui versa l'uomo arabo attualmente, stretto tra la volontà di onorare la propria cultura e tradizioni, e l'avanzare della società dell'immagine occidentale, con la sua particolare estetica del corpo femminile.

Dall'altro lato, una donna si copre per conformarsi a certi modelli morali dettati dalla società tradizionale, ma finisce, per lo stesso fatto di coprirsi, per destare esattamente quei desideri che si proponeva di escludere! Così di fatto le donne arabe in Egitto sono private della capacità di padroneggiare i codici della loro stessa civiltà.

Il risultato di tutto ciò è che è impossibile girare per le strade del Cairo per la stizza che ti assale per gli innumerevoli rompipalle. Non che ci sia un reale rischio di essere assalite o violentate - nulla di più impossibile! E’ solo che è psicologicamente talmente profondamente umiliante, talmente la propria femminilità è schiacciata e strumentalizzata che piuttosto che tornare a casa con quella sensazione d’intrinseca sopraffazione e sporcizia, preferisco a volte rimanere in casa. Io sì vorrei potermi nascondere dentro un burqua!

Per concludere, è certo evidente che se una donna ha bisogno di coprirsi (ovvero limitare la libera espressione della naturalezza del proprio corpo) per poter essere considerata come una persona prima di un oggetto di desiderio, qualcuno nella società le sta negando la libertà…di semplicemente esistere! Ma in occidente abbiamo dimostrato di essere così tanto più brave a gestire la nostra “libertà”? E si può considerare tale quando anche questa è fondata sull’estetica ideale maschile?

10. Lettera di un'amica

A cosa servono gli amanti se poi non gli posso nemmeno dire quando ho paura, o ho bisogno. E infatti non servono a questo gli amanti, ma solo a...

31 luglio 2008 

Cara Margot,

Sono in ufficio, ma non ho voglia di fare nulla.
Ho appena saputo che con la ristrutturazione del mio Direttorato la signora che sedeva al mio posto ritornerà nel nostro settore a partire da ottobre. Alias nel mio settore. Alias col cazzo che mi rinnovano il contratto.

E sai che penso?? Che sono contenta. Perché cosi finalmente sono libera, libera di scegliere ciò che mi piace fare.

Ieri sera ero nuovamente sdraiata in un letto che non mi appartiene con un bell'uomo, non c'è che dire; ma un uomo roso dall'insicurezza perde fascino. O forse l'acquista per occhi inesperti.

Io non penso di avere occhi inesperti. Penso, al contrario, che i miei occhi abbiano visto fin troppo. E anche io ora ho una maschera. Non lascio scorgere, se non forse appena appena, i miei sentimenti. So fingere. So essere diplomatica, so parlare allo stesso modo degli uomini, facendo rimbalzare tra le mura della camera da letto parole che non mi appartengono, o meglio, mi appartengono, ma non sono idonee per quell'ambiente. Per quell'uomo. Per quei momenti.

Oggi durante la pausa pranzo sono andata a comprarmi dei cd alla FNAC. Sulla scala mobile c'era una donna con braccio una bambina. La ragazza, velata, avrà avuto poco più di vent'anni. Come rideva con la sua bimba. Per la prima volta ho provato invidia, invidia per quella creatura che stava tra le sue braccia, per la mia incapacità di avere una relazione seria, per il fatto che il 'pancione' sembra essere un lusso che non mi posso permettere.

Si perché io, l'amante eterna, focosa, passionale, ma anche dolce, sensuale, timida, non si puo' permettere di essere incinta. Io sono un'amante, non sono la donna per bene, la moglie e la madre di famiglia perfetta. Mi trovo schiacciata in questa dicotomia, da un lato il mio ruolo ormai trentennale di amante, di gioco proibito, di passione irrisolta, che mi porta emozioni eclettiche ma anche infelicità, e dall'altro la visione di questa gente triste, di queste donne e mariti tristi, che tradiscono, sempre e comunque, che portano a casa, tra le mura domestiche, insoddisfazione e tristezza e le trasmettono, come un virus invisibile e serpeggiante, ai figli.

Se penso a questa immagine ho l'angoscia. E poi mi chiedo; che cosa è la fedeltà? sarei veramente capace di essere fedele a qualcuno? Io, che alla fine ho sempre tradito? Per non soffrire, forse, è vero, ma è così, ho sempre tradito.

Ho comprato un cd dei Depeche Mode e mi sono rispecchiata in questa canzone:

Come and lay with me
come on and lie to me 
tell me you love me
say I'm the only one

Experiences have a lasting impression
but words once spoken 
don't mean a lot now 
belief is the way 
the way of innocent
and when you say innocent 
I should say naïve

So lie to me
but do it with sincerity
Make me listen
just for a minute
make me think
there's some truth in it

Promises made for convenience
aren't necessarily
what we need
truth is a word 
that's lost its meaning
the truth has become
merely half-truth

so lie to me
like they do it in the factory
make me think
that at the end of the day
some great reward
will be coming my way.


con affetto,
A.

9. Atheism is not an option

Martedì 29 luglio 2008 

Saad è il nostro senior driver; una persona divertentissima, dalle fattezze, il sangue e soprattutto il ritmo africani. 

Due giorni fa Saad si presenta da me con il form da compilare per richiedere il nuovo passaporto del nostro nuovo direttore, che è italiano. Mi dice che non sa cosa dichiarare nella voce “religione”.

- Ah, because you have to declare this?

- Yes. So, what shall I put, catholic, right? Catholic or ortodox?

- No well...ehm, but...ok in Italy the main religion is the catholic, this is right, but...ehm...the fact is that..in any case it would be better to ask him...you know…

- Because might it be "none"?

- Yes, also, might be (terreno irto, Margot, sii diplomatica. Saad pare non capire il punto. Faccia attonita). The fact is that...we don't know, you see? We shall just ask before putting anything, you know. But is it mandatory to fill it in?

- No, I could also leave it blank, or put a dash...(ma non è non convinto)

- Eh, maybe it is better not to put anything! You know, for us this is considered as  sensitive data, not to be declared for privacy reasons. We are not used to make it public, you see?

- (Saad pensoso. Poi soddisfatto) Uhmmm. Ok. I think I will put catholic. I think he's catholic. He,s soooo polite!

(AAAAAAAHHHHHH!! Perché cosa vuol dire che gli atei non sono polite!??)

- No Saad… Listen to me, either we ask him, or we do not put anything…because for us it is a sensitive data…

- Ok, so I just put a dash…(ma continua a guardarmi con aria interrogativa e poi se ne va perplesso a causa del mio veto, che per lui voleva dire: “ci possono essere atei tra noi!”). 

8. In flagrante reato

Lunedì 28 Luglio 2008

Il caldo è soffocante e avvolgente. La mia stanza da letto è l’unica della casa con l’aria condizionata, ma è talmente vecchia e rumorosa che non riesco a tenerla accesa per più di dieci minuti. Non si può dormire col rumore di un trattore!

È quasi mezzanotte e Ahmed è ancora da me, nel letto, quando suonano alla porta. A me si ferma il cuore e comincio a farmi mille film: qualcuno può aver riferito alla padrona di casa che un ragazzo egiziano sale sempre in casa mia; che sia lei in persona? o addirittura la polizia? Sono sei mesi di carcere per sesso fuori dal matrimonio (reato di fornicazione)– per un egiziano ovviamente – e io e lui al momento siamo inequivocabili. E se invece è il camerunense, uscito di galera e tornato a vendicarsi? Che gli racconto ad Ahmed!?

Guardo lui, che a sua volta cerca una risposta in me. Tento quindi di restare calma e fare come se mi paresse normale che qualcuno mi suonasse alla porta a mezzanotte (e in effetti, dati gli usi egiziani…), mentre cerco di buttarmi addosso le prime cose – decenti - che trovo sotto mano, tremando.

Non è raro essere ammoniti o rischiare lo sfratto per questo genere di cose, e in generale non è consigliabile attirarsi la riprovazione morale della piccola comunità di vicini e portieri dai quali sei completamente dipendente per ogni evenienza tecnico-pratica. A una mia amica è recentemente stato fatto notare dalla sua padrona di casa come fare salire contemporaneamente a casa (si trattava di una cena!) tre ragazze e tre ragazzi non fosse appropriato. La signora le ha intimato di evitare che ciò si ripetesse. Questi si pensano che facciamo le orge! A un’amica di Sara invece le han mandato la polizia; non ricordo se in casa o in albergo, ma credo in casa, dato che in albergo non si può prendere una camera con un egiziano/a senza esibire il certificato di matrimonio. Lei per risolvere la cosa ha dovuto far intervenire l’ambasciata.

Fino ad ora Ahmed con la sua faccia tosta è sempre riuscito a non farsi bloccare dai portieri all’ingresso, infilandosi nel palazzo come fosse il suo. L’ultima volta però gli hanno chiesto dove stesse andando e lui ha dovuto rispondere, seppur limitandosi a dire solo “al settimo piano”. Un giorno però mentre gli stavo aprendo la porta, Milad l’ha visto entrare da me, mentre era fermo ad aspettava davanti alla porta della mia vicina per consegnargli qualcosa. Il giorno dopo Attif già lo sapeva e mi ha salutato saltellandomi intorno con quei suoi due occhi da faina, sghignazzando. Una volta la mia reputazione imbrattata non mi è rimasto che sparare mance a destra e a manca sperando che nessuno facesse la spia con la padrona e di non incappare nuovamente in situazioni tipo “Cameroun” dove l’aiuto della comunità è necessario [si vedano i due episodi de l'idraulico].

Io non ho nessuna voglia di aprire la porta e non rispondo, però in punta di piedi mi sposto dalla camera all’ingresso e ascolto, sperando che chiunque fosse se ne andasse. Suonano ancora. Ma chi cazzo è, e cosa avrà di tanto importante, è mezzanotte!? Ancora faccio finta di niente, ma mentre mi allontano per tornare in camera sento come un rumore di chiavi; tuttora non sono del tutto sicura di quello che ho udito, ma mi è parso che tentassero di infilare delle chiavi nella toppa!!

È mezzanotte, ci sono più di 38° con un’umidità soffocante, ho la pressione bassissima e sono in uno stato onirico-confusionale. Ho perso completamente il senno. Intanto mi immagino la scenda di Ahmed nudo nel letto còlto in flagrante reato.

“Min?” (“chi è?”), faccio avvicinandomi allo spioncino, obbligata a reagire. Vedo due persone. Sento una voce di donna abbozzare una risposta incerta, e l’uomo accanto a lei bisbigliare qualcosa. Poi, in inglese: “I am the daughter in law of Mrs Agaya, I am here for the rent of July”.

Io non ci credo. Dimmi che non è vero, non può essere vero. Sono tornata dall’Italia con dieci giorni di ritardo per un imprevisto di salute e non ho potuto pagare l’affitto in tempo. Appena tornata ho tentato per quattro giorni di seguito di mettermi in contatto con la padrona di casa e il telefono ha sempre squillato a vuoto. Sicuramente non vedendomi tornare alla data stabilita hanno pensato che fossi scappata per non pagare l’affitto!

Ho aperto la porta e ho pagato, dato che avevo già preparato la busta. Ma non avrei dovuto! Avrei dovuto invece urlargli contro che “è questo forse un orario cristiano [tra l’altro sono cristiani copti] per presentarsi a casa della gente? Che io la mattina mi sveglio presto, e che se vogliono l’affitto che mi chiamassero prima per mettersi d’accordo!”, e sbattergli la porta in faccia.

Invece gli ho gentilmente spiegato che se non avevo aperto era perché dopo una certa ora, se non aspetto nessuno, per sicurezza non apro più, e che per giunta la mattina lavoro e mi sveglio molto presto, e che a mezzanotte io normalmente sto già dormendo da più di un’ora, e che perciò mi avevano svegliato. Li ho fatti sentire un po’ meschini (ma avrei potuto farlo di più data la mia esasperazione per le scampanellate notturne) e loro mi hanno chiesto scusa, un po’ imbarazzati, dicendo che normalmente loro passano anche più tardi a casa della gente!

7. Ritorno al Cairo

Lunedì 21 luglio 2008

Torno al Cairo. In aeroporto, è come se mi svegliassi da un sogno lungo 25 giorni.

Ora guardo il Cairo come ho sempre guardato le mie nuove vite: buttandomi indietro la vita di prima, volendo vivere intensamente.

Sarà stata la stanchezza accumulata a Bruxelles, le troppe persone conosciute tutte assieme, lo shock provocatomi da lui una settimana prima di partire per l’Egitto, ma finora, qui, non sono riuscita davvero a staccarmi dalla mia vita precedente.

Ora ho un entusiasmo nuovo, una sicurezza differente. E non me ne frega se gli uomini mi guardano per la strada.

Venerdì 25 luglio 2008

Sogno:

E' notte, dormo e sento dei rumori, vicini, ma non capisco da dove vengano. E’ come se qualcuno si muovesse nella stanza, ma nell’aria pesante delle notti cairote tutto è ottuso e umido, e io diffido dei miei sensi.

L’armadio cigola, e io mi sento accarezzare un braccio. Forse sogno.

Mi giro, e nella penombra vedo il cuscino bianco cadermi per terra. Mi affaccio ai piedi del letto per raccoglierlo, ma non c’è più. Ma com'è possibile, eppur ora son desta!

Sporgo la testa sotto al letto e vedo la sagoma del gatto bianco del vicino che si allontana.

6. Il suono del silenzio

Venerdì 27 giugno 2008

Sono a Ravenna. Nemmeno il suono di un clacson. Le mie orecchie riescono a sentire il silenzio, e questo mi stordisce. E’ stupendo.

Domenica 13 luglio 2008

Io sarò anche quella che si concentra sempre su cose che paiono secondarie…ma come è possibile riuscire a fare funzionare bene il cervello, meditare, riflettere, produrre, in quel casino che c’è al Cairo? 

In quel rumore assordante e incessante? Non sono forse queste condizioni esterne altrettanto importanti nel determinare la direzione che una civiltà e una cultura prendono?

Lunedì 14 luglio 2008

Ora comincio a sentire qualcosa di confuso e contraddittorio che somiglia alla mancanza per il Cairo.

***

In questi mesi ho attraversato un lungo intorpidimento della volontà, abbandonandomi a una consapevole pigrizia, lasciandomi andare. 

Non so se ho voglia di riprendermi in mano o lasciarmi andare, un po’ indisciplinatamente, finalmente. Credo che così facendo potrei finalmente ritrovare la mia creatività già tanto ammutolita. 

Domenica 20 luglio 2008 


Ora che ho finito di inseguire me stessa; un altrui riconoscimento - il suo; e un riavvicinamento… Ora sì sono spersa, senza più lui da inseguire.

Non so dove voglio vivere, non so come voglio vivere. Ho voglia di quotidianità, ma non so più dove, né con chi.

Il grigio di Bruxelles mi spegnerà; l’Italia mi schiaccerebbe e vanificherebbe ogni sforzo fatto in questi anni. 

5. Occidente scintillante

Giovedi 26 giugno 2008

Sono all'aeroporto di Fiumicino in attesa del mio volo di ritorno per il nord.

Chiudo gli occhi e vedo le strade trafficate del Cairo, il frastuono, i raccordi incrociati e sovrapposti poco prima di arrivare a piazza Al Taharir, i bus stracolmi che si sorpassano da destra, inclinati dal troppo peso, le signore pesanti e coperte che si trascinano con un bambino in braccio e uno per mano.

Penso a quanto qui in Italia, in Europa, sia tutto perfetto e senza la minima sbavatura. Provo la stessa sensazione di straniamento di quando dopo cinque mesi in Sud-America sono tornata d'improvviso e un po' controvoglia in Italia per un colloquio, e mentre giravo in taxi per le strade di Roma rifuggivo l'opulenza e la noncuranza che assieme tanto caratterizzano il nostro modo di vivere, assieme al gusto per il bello.

È un senso profondo di armonia (che va al di là del caos romano o della cartaccia per terra), ma anche di inconsapevolezza per la bellezza e lo spessore che ci pervadono. Mi mancava la vita che scorre nelle difficoltà per la sopravvivenza.

E' pieno pomeriggio e l'aeroporto è pieno di business men al telefono, con vestito impeccabile e scarpe belle.

Le ragazze sono tremendamente noiose ed uguali, tutte con questi capelli piastrati e striati di meches o extensions, le unghie perfette, i jeans tanto attillati da scoppiare, i tacchi vertiginosi, gli occhiali all’ultima moda, e quel modo incosciente e volgare di masticare il chewingum. E come sono svestite... ma davvero è normale tutta questa nudità? Mi fanno abbastanza impressione tutte queste braccia e gambe così tanto scoperte...mi viene da gettar loro addosso uno scialle!

4. Lettera a un'amica

27 giugno 2008

Cara Anto,
che bello sentirti. E' vero, ci siamo perse un po' di vista.

Ti dirò, non sono affatto contenta del lavoro. Mi hanno messa a fare monitoring and evaluation, e dalla mia posizione di appena arrivata è molto limitante, perché ovviamente non so nulla dei particolari di tutti i progetti che sono ongoing. Inoltre non ho un superiore. Ora cambiamo capo, e penso che la mia posizione verrà rivista, per fortuna. Per il resto mi sembre di perder tempo. Resto qui tuttavia, perché penso che l'esperienza al di là di questo, valga. E ora dovrò ricominciare a mandare cv...

Però ti dico una cosa. Gli anni passano. La vita in questi paesi è difficile per una donna sola. Io sinceramente comincio a pensare ad altre cose belle nella vita che non siano il lavoro. E realizzo che se continuo a fare questa vita vagabonda mai potrò realizzarle.

E poi non riesco più ad adattarmi; sei mesi, è vero, sono il minimo per adattarsi e poi la vita riprende a scorrere. Ma io sono impaziente e dopo due settimane vorrei, ho bisogno di essere assestata! Perché negli ultimi anni, sei mesi è stato il tempo massimo delle mie esperienza, e bisogna tuffarsi nella corrente il prima possibile per poter vivere appieno. Ora di mesi davanti ne avevo 12, ma non sono poi tanti di più.


E infine, penso di non essere fatta per la cooperazione, per vedere gente incapace o inconsapevole che lavora a **, le porcherie, gli sperchi, e tanta povertà. Solo chi è nato ricco e non ha mai toccato la merda può secondo me lavoare a **. Altrimenti ti incazzi.

Oppure forse mi lascio invadere troppo, per essere una cooperante. Io non riesco a vedere la povertà e questi bambini. Non riesco a chiuderli fuori dalla porta di casa quando rientro. Non ce la faccio. Lascio che mi seguano nella mia vita privata. 

Allora che devo fare, rinchiudermi nella mia gabbia dorata europea? Forse...Forse ho raggiunto il mio limite, il mio momento di massima espansione, e devo ammettere che ora è il momento semplicemnte di stabilizzarmi dove sento di stare bene io.

Scusa il tono...ma le contraddizioni sono davvero tante. E il personale locale qui è composto solo da componenti di famiglie ricche che lavorano in ** perché è un tipo di posizione che si confà al loro lignaggio, e che continuano a fare la vita che fanno (molto più agiata di noi vecchi europei) solo perché esistono i poveri e gli ignoranti, se no perderebbero tutti i loro privilegiQuindi credo che lavorare a **, lungi dal scegliere di stare con gli ultimi, significhi proprio perpetuare i privilegi. 

Io credo che il mio futuro sia in Europa.

E tu?
Un abbraccio forte
Margot

3. L'idraulico (parte II)

[Per una visione completa della vicenda, leggasi prima L'idraulico (commedia degli equivoci)]

25 giugno 2008

Sono le 21.30 e sto chattando con un amico che mi chiede se e quando tornerò in Italia per la pausa estiva e se riusciremo a vederci. Devo ancora finire di fare le valigie perché ho l’aereo per Roma proprio l’indomani mattina. Suonano alla porta.

Che sia Ahmed? Strano, lui mi chiama sempre prima di passare. Guardo nello spioncino e l’unica cosa che distinguo è una maglia verde acido. Non sembra Ahmed. Non apro, anche perché sono in cannottiera e pareo. Poi penso che potrebbe essere il ragazzo dell’immondizia. Domattina parto in Italia per due settimane e mi spiacerebbe pagargli il mese in ritardo. Mi infilo quindi un paio di pantaloni, torno alla porta e guardo: la figura è ancora lì, all’altezza dell’ascensore, quindi lontana; posso aprire senza pericolo.

Non ci posso credere, è il ragazzo camerunense, l’”idraulico”!! La polizia gli aveva già intimato di non farsi più vedere nei paraggi, e gli avevo risparmiato una denuncia che lo avrebbe fatto rispedire in Camerun, non senza passare prima per le carceri egiziane – che non è bello.

Sbatto la porta, metto sbarra, catena e due giri di chiave. Lui grida madmoiselle, je vous enprie!! Attendez!”.

***

Oggi pomeriggio stavo tornando a casa passando per Via Ahmed Sabry, davanti alla chiesa di San Giuseppe (la stessa in cui Magdi Cristiano Allam si è convertito), di fronte casa mia. Qualcuno mi saluta in francese alle mie spalle: “Bonjour Margot”. Ho pensato fosse Flavien, un mio amico francese, e mi sono voltata. E invece era il camerunense. Ho sgranato gli occhi con aria irritata e mi sono rigirata affrettando il passo, ignorandolo. “Madmoiselle, je vous enprie!” – continua, ma io non mi giro.

Entrata nell'atrio di casa, poche decine di metri dopo, ho detto a Milad “Camerun – come lo chiamano loro - henek!” (Il camerunense è qui!). Lui ha ruotato la mano all’altezza della tempia, nel loro gesto consueto, pronunciando una parola che avrà voluto dire “pazzo”. Nelle ultime settimane Milad e Attif mi hanno detto infatti almeno quattro volte che lui ha cercato di entrare e salire per le scale, ma loro sono riusciti a rispedirlo ogni volta. Oggi apparentemente è riuscito a non farsi vedere!

***

Sono chiusa in casa. Non ho il numero della polizia e anche se lo avessi non saprei come comunicare! Mentre cerco di chiamare Liliana sento del trambusto sul pianerottolo, la voce di Milad e di un altro uomo.

Mi butto uno scialle sulle spalle e apro la porta. Milad è salito con lo stesso poliziotto dell’altra volta! Bravo Milad. Lo sguardo del poliziotto è eloquente: “che devo fare questa volta? Lo porto dentro o di nuovo no?”. Esito, so che non ho molto tempo dato il precedente. Dico sì. Questa volta ho avuto paura, e la sua possibilità glie l’avevo già data. Non mi devo sentire in colpa.

Al mio annuire il ragazzo si lascia sfuggire un gesto di rassegnazione e stizza, rotando gli occhi verso l’alto. Mi dispiace, perché non so cosa gli faranno, mi sento male, ma io devo pensare a me. Solo che ora non so cosa questa denuncia comporti…mi chiederanno documenti, dove lavoro, metteranno in mezzo il mio ufficio? Non voglio che si sappia. Chiudo la porta sperando con poca convinzione che quella serata si sarebbe conclusa lì.  Ma immancabilmente dopo pochi minuti…risuonano alla porta.

Apro e vedo il noto convoglio di bauab (i portieri) del quartiere. Ormai la trafila la conosco. Si fanno tradurre dall’arabo da qualcuno dall’altra parte del telefono e mi informano che sarei dovuta andare con loro in questura in quel preciso istante. No… Mi cala lo sconforto e mi sento spersa. Come in questura – certo in questura – chiaro. Ma a fare che? No, non ci voglio andare, da sola. E poi è tardi, la valigia, il taxi, il volo… Prendo tempo congedando momentaneamente il corteo con la scusa di dovere andare a cambiarmi – tutti annuiscono in coro. Nella foga mi infilo la prima maglietta che trovo – e di cui di lì a poco mi sarei pentita.

Chiamo subito Elia, il mio professore di arabo, per chiedergli se per favore potesse venire con me; il “tribunale popolare” lo conosce già e mi farebbe sentire più sicura. Lui era con la sua ragazza russa in visita, con cui aveva litigato per tre giorni di fila, perciò non solo inizia a urlarmi contro che me la sono cercata e che sono un’incosciente perché avrei dovuto denunciarlo la volta prima, ma anche a farmi terrorismo psicologico, su quello che si legge quotidianamente sui giornali, di donne accoltellate e violenze di tutti i tipi. Ti prego Elia… Ok, arriva, ci saremmo incontrati per strada.

Quindi esco da sola, in coda alla processione di bauab – compreso Milad - desiderando di scomparire. Le strade di Zamalek sono ancora popolate, c’è il solito baccano, il caldo appiccicoso e tutti ci guardano. L’avventura in questura al Cairo decisamente mi mancava.

Appena all’esterno mi rendo conto dell’infelice scelta di vestiario. Non ho trovato niente di meglio, per sostituire la canottiera, di infirlarmi una maglietta fucsia scollata col collo tipo barchetta e delle “mezze maniche”, per così chiamarle, che appena coprivano metà spalla - ma come mi è saltato in mente…e perché non ho preso lo scialle, ci mancava solo questa per completare la vergogna.

Subito dopo informo Liliana della mia destinazione, dove mi raggiungerà il prima possibile. Per ingannare l’attesa durante questa marcia, e in preda a dilemmi lavorativo-diplomatici, penso bene di chiamare Amir, il nostro security officer per spiegargli la situazione. Mi scuso per l’orario, perché erano tipo le 23 passate, e lui mi dice che non c’è problema, che è in palestra e che si precipiterà lì. Wow, penso, Amir va anche in palestra.

Il piccolo ufficio di polizia di quartiere è circondato da soldati. Noi attendiamo che ci facciano entrare, mentre Liliana mi raggiunge. Sono la sola donna, nemmeno a specificarlo, e mi sento nuda, tanto per cambiare.

***

Entriamo in una saletta un po’ più piccola di un’aula scolastica. L’atmosfera è un misto tra un poliziesco anni ’70 e immagini offuscate d’infanzia. I mobili sono scuri, vecchi, di colore marrone o grigio, di metallo o formica e le pareti sono umide e annerite. Un grande tavolo su un lato, dietro il quale si mettono due giovani ufficiali; due file di sedie lungo la lunghezza della sala; degli armadietti metallici fatiscenti nel lato opposto; l’immancabile foto del Raìs di venti anni più giovane.

Io e Liliana veniamo fatte sedere su alcune sedie lungo la parete. Di fronte a noi, dall’altro lato della stanza, siedono Milad, un altro bauab, e il ragazzo. Elia è in piedi e vocifera con gli ufficiali.

Milad è malato. Già a casa non aveva una bella cera, ma ora è proprio peggiorato; ha freddo ed è sempre più giallo in volto. Mi fa tanta pena, prima di tutto perché sta male e si vede che a fatica si regge in piedi; in secondo luogo perché si vede che è intimidito dal contesto e – così come è per la povera gente – seppur non abbia fatto nulla si sente vulnerabile di fronte alla legge e teme di poter essere accusato di qualche cosa. Lo invito più volte ad andare a casa, ma risponde sempre di no.

Il ragazzo camerunense è seduto proteso in avanti, con i gomiti sulle ginocchia, e continua a guardarmi con sguardo fisso e tagliente, incessantemente. Mi fa paura. Penso a cosa gli faranno o alle possibili ritorsioni nei miei confronti se fosse lasciato libero. E se poi continua a venirmi a cercare? E se riesce ad eludere la sorveglianza e ad aspettarmi nascosto nel pianerottolo per vendicarsi? Del resto fino a questo momento non mi ha fatto alcun male mentre sono io a metterlo nei guai! Penso che sto forse andando troppo oltre, che dovrei ritirare tutto, ma ormai sono in ballo, e Liliana mi ricorda di come sia stato lui ad esagerare, e ripetutamente. Non riesco a guardarlo negli occhi.

Il clima è torrido e teso, è mezzanotte passata, la mia testa continua nelle sue evoluzioni mentali disastrose e io vorrei finire il più in fretta possibile. Improvvisamente, la lunga e inspiegabile attesa viene interrotta da una figura imponente che irrompe trafelata nella sala. Io e Liliana strabuzziamo gli occhi. Entrambe ricolleghiamo. Io rimango di sasso mentre Liliana scoppia in una risata fragorosa – non molto apprezzata dal mio amico camerunense, che assume un’espressione interdetta e quasi offesa. A grandi falcate, a dirigersi verso di noi è Amr. Il personal trainer di Liliana. Amr, non Amir.

Amr è un ragazzone di un 1,85 m per almen o 90 kg di muscoli, tanto grande quanto gentile e disponibile. Io non vi sono in particolare confidenza a parte salutarlo in palestra, ma pochi giorni fa mi aveva chiesto di uscire e lasciato il suo numero di telefono. Nell’agitazione avevo confuso i nomi e chiamato la persona sbagliata…che mai avrei voluto sapesse di certi anfratti incasinati della mia vita personale…e che ora avevo il terrore potesse riferirlo en passant ad Ahmed, per giunta! Volevo seppellirmi.

Io abbozzo qualcosa di molto più simile a un ghigno e poi oscillo tra la voglia di ridere e piangere. Liliana aiuta a chiarire l’equivoco, per lo meno a Elia, mentre il resto degli astanti ci fissa esterefatto. Amr ride anche lui sollevato, e la sua presenza non viene per nuocere essendo lui giurista di formazione. Nel paradosso delle risa però il mio senso di colpa e di disagio non fa che salire.

Intanto Elia aveva spiegato ai poliziotti l’accaduto senza che io avessi avuto alcun controllo sulla sua versione. Avendo paura delle sue esagerazioni, insisto perché mi informi del suo resoconto. In effetti, gli ufficiali insistono più volte con me per chiarire cosa ci sia effettivamente stato, e io sottolineo come il ragazzo non mi abbia toccata e men che meno abbia mosso alcuna violenza. La condanna e il trattamento in carcere potrebbero diventare pericolosi in casi del genere, a maggior ragione siccome lui è clandestino, senza permesso di soggiorno.

Vogliono che io rilasci una dichiarazione scritta dell’accaduto, e io, Liliana e Amr stendiamo a tre una paginetta in inglese cercando di rendere inequivocabili certi aspetti. Intanto Elia, alquanto surriscaldato già dall’inizio, se ne era andato a a casa, con mio sollievo.

“Perfetto, ora dobbiamo stendere il verbale” – dice un ufficiale. Ovviamente non c’è traccia di computer e l’ufficiale, calmo e professionale, si appresta a redigere a penna un verbale di due paginette protocollo. Io gli siedo di fronte e scrivo su un foglio di carta i miei dati affinché lui li possa copiare, facendomi venire poi la paranoia che il ragazzo avesse potuto in seguito vederli e registrarli mentalmente.

L’originale è terminato - sempre senza che io vi abbia alcun controllo – e voglio che tutto finisca in fretta. “Prima di terminare bisogna farne due copie”. Va bene, due fotocopie e via - penso. Ma ovviamente non vi è traccia di fotocopiatrice. Dopo avere ricopiato a mano le due copie ci dicono che noi possiamo andare, mentre sia Milad che il ragazzo devono ancora restare là per testimoniare. Chissà poi se a lui gli daranno possibilità di parlare o cosa.

Chiamo Milad fuori, e gli allungo una lauta mancia per il disturbo e la malattia. Sono quasi le due di notte. Io e Liliana ci guardiamo in faccia ripetendoci per l’ennesima volta: “Questa è un’altra storia egiziana!!”.

Amr mi accompagna a casa in macchina. Ho abbastanza adrenalina per terminare le valigie, prima di lasciarmi assopire per qualche ora dal caldo paralizzante della mia camera.  

2. Un paese in crescita

19 giugno 2008

Gli Egiziani sono sempre più poveri; l’inflazione è al 20% e la crisi alimentare all’apice.

Tuttavia continuano a fare figli, e su una superficie grande quanto la svizzera vivono concentrate 80.000.000 di persone. Il governo vuole cominciare a controllare le nascite tipo in Cina e sta tenendo campagne per limitare il numero massimo di figli a due. Questo solleva ovviamente grande disappunto a livello religioso(spero solo che questo non si traduca in un ulteriore aumento della frustrazione sessuale maschile perché più di così veramente non è gestibile!)

Per combattere la forte inflazione inoltre, non trovano nulla di meglio che continuare a sovvenzionare la benzina. La macchina quindi – seppure non riescono a portare a casa il pane – se la devono comprare tutti e ovviamente la maggior parte può permettersi solo catorci anni ’60 a carbonella che rendono l’aria irrespirabile.

Assieme alle macchine poi, crescono gli obesi: sì, perché se i poveri davvero non mangiano, quelli di classe medio-bassa mangiano troppo e cibo di scarsa qualità (chips, fritti, carboidrati).

Quindi riassumendo, tutti hanno la macchina, l’aria è irrespirabile perché per di più sono macchine degli anni ‘60, ci si ammala di cancro per l’inquinamento e di malattie cardiovascolari per l’obesità


Anche da noi? No, perché qui tutto è amplificato enormemente dagli effetti di uno sviluppo più aggressivo e subitaneo. Noi ai tempi non abbiamo mai avuto un tale numero di macchine anni '60 circolanti contemporaneamente e ora abbiamo leggi che cercano di ammortizzare l'impatto ambientale - per non parlare poi del loro sistema sanitario...Quindi evviva i progressi dei paesi in via di sviluppo, ma soprattutto, evviva il nostro sviluppo, importato con successo.

La mia bisnonna quando in Italia vi era la stessa ripartizione di classe tra pochi benestanti e masse di contadini, si faceva 35 km al giorno in bici per andare a lavorare. Quanto starebbero bene: respirerebbero e dimagrirebbero. 

1. Karouf (il montone)

Mercoledì 4 giugno 2008

Ieri, alle 18 circa, entro nel mio palazzo situato nel centro dell'isola di Zamalek, notoriamente dimora chic di diplomatici ed europei (tutto sto chic non ce lo vedo, comunque).
Eccezionalmente (nel senso che questa è stata l'unica volta che è successo) nessuno dei due ascensori funziona, mi avverte il bauab (portiere), per cui mi accingo a percorrere i sette piani che mi dividono dal mio appartamento a piedi.

Alla soglia del quinto piano, la scena è la seguente.
Il giorno prima dell' Aid. Le strade e le case si riempiono di animali
Sul pianerettolo, due uomini e una donna stanno macellando un grosso montone. L'animale ha le dimensioni di una mucca, è già spellato e solo nella coda ancora si intravede un po' di pelle. Il pianerottolo è stretto e la massa ne occupa interemente la larghezza. Non riesco ad accedervi. Gli uomini ridono e mi invitano a passare. Il passaggio è ostruito. Am I supposed to jump on it???

A me tremano le gambe. Comincio a sbraitare rigorosamente in inglese e questi non capiscono nulla...insomma...non si capacitavano della mia reazione, del mio stupore né del mio disgusto.

Io non realizzavo. Ero bloccata sulle scale e non potevo raggiungere casa mia perché una mucca morta giace sul pianerottolo del quinto piano. Con due bambini che zampettano nel sangue e giocano con le mani a fare le impronte sulle porte col sangue (ho poi scoperto questa essere un'usanza)!

Coprono la mucca coi giornali...e io passo, la scavalco, metto i piedi nelle poche zone del pavimento libere dal sangue, schivo la testa del montone giacente accanto a una porta (era un montone, sono sicura, un grande maschio di qualche specie gigante di pecora...un ariete, come cavolo si chiama, l'ho riconosciuto dalle corna arrotolate)...e sulla curva delle scale per il sesto piano per poco non inciampo in una gamba finemente rifinita con uno zoccolo peloso.

Ok, ce l'ho fatta; solo che io stavo andando a casa per poggiare dei documenti per poi riuscire!....vado su, faccio telefonate, mi sfogo, chiedo agli italiani risedenti lì se hanno mai visto una cosa simile and bla bla...e ora devo proprio riscendere.

Ora lo stanno tagliando col macete e si sente il rumore delle ossa rotte per l'intero vano delle scale. L'animale mi pare non esista più ma le sue viscere sono sparse per il pianerottolo, assieme alla testa e alle gambe. Questa volta, il pavimento è completamente ricoperto di sangue. Cammino sul sangue, e ho le ballerine. Sul muretto del vano delle scale, sono allineati vari bicchieri pieni di sangue e un coltello. Il rigagnolo di sangue scende e percorre le tre rampe che dal quinto vanno al quarto piano. La donna se ne è andata, i bambini continuano a giocare.

Sorvolo sui miei imprechi. Loro non capiscono niente e rimangono basiti. Mi guardano. Io dico che sono matti, facendo il segno del dito sulla tempia. Il tipo si ferma col coltello in mano sconvolto dalla mia reazione! Poi vado dritta dai bauab di sotto, che non capiscono una parola di inglese e con cui comunico a gesti. "Ma c***o, proprio oggi che non funziona l'ascensore dovevano fare sto cazzo di sacrificio???" Fermo un passante e riesco a farmi tradurre parte degli insulti per i bauab.

[Background: Durante un certo periodo dell'anno in ricorrenza della festa dell'Aid - che comunque non è ora, ma verso agosto settembre - si usa fare questo tipo di sacrifici, e tutta la città si riempio di montoni e altri animali morti e squoiati. Questo lo sapevo. Avevo anche già sentito di un italiano che si era trovato un montone davanti alla porta di casa. Ma ora non è piu' permesso dalla legge fare questo in casa, per cui lo fanno in garage, in giardino o vanno dal macellaio; e non siamo nemmeno nel periodo, e poi siamo a Zamalek!

Va beh. Oggi per fortuna ho scoperto che anche i miei colleghi erano stupiti, e che tutto ciò non è affatto considerato normale. Mi hanno però detto che al di là della festa, quando gli succede qualcosa di bello, ringraziano Allah con questi simpatici riti. Quindi in definitiva gli ho rovinato il clima di festa, e mi dispiace...]