4. Perché non posso vivere al Cairo

8 dicembre 2008
Devo accettare che non tutte le vite possono fare per noi, e seguire ciò che mi fa stare bene.

• Non riesco a respirare (il Cairo è la città al mondo con la maggiore concentrazione di polveri fini nell'aria). 


• Non riesco a camminare per strada (in quanto non riesco a respirare)


• Ogni mattina mi sveglio coi polmoni chiusi e la gola che raschia, per lo smog del giorno prima. 


• Non posso aprire la finestra quando voglio, per lo smog.

• Non mi sento libera.


• I bauab (portieri) controllano e sanno ogni gesto o movimento e di fatto non posso fare salire liberamente le persone a casa mia (specialmente di sesso opposto). 


• I bauab sono sempre dietro a chiedere mance, per Pasqua, per Ramadam, per l’Aid, per Natale...(ogni festa è buona, non fanno la differenza fra cristiani e musulmani!)


• Non ne posso più di questo pensiero fisso di “coprirmi”. 


• Non so come vestirmi. Qualsiasi cosa mi metto mi sento a disagio. O mi sento un sacco. O mi sento una bigotta negli anni ’50. O mi sento kitch. Ma mai una donna.


• Non sopporto di comprarmi vestiti e poi comunque non potermeli mettere perché non sono mai adatti o “decent”.

• Perché mi passa la voglia quando penso che devo raggiungere un luogo da sola - io che ho sempre fatto qualsiasi cosa da sola.

• Non si riesce a visitare un solo monumento (per non parlare di riuscire a leggere una solo riga da una guida) senza essere molestati. 


• Mi stresso ad attraversare la strada.




• Il suono dei clacson annienta i miei sensi. 


• C’è l’aria condizionata a 17° ovunque e tutto l’anno, quando fuori ce ne sono 45 e quando ce ne sono 15. 


• Non riesco a trovare i libri che voglio.

• Non sopporto questi cavalcavia in mezzo al centro storico


• Non ho ancora trovato un luogo rilassante (non dico verde...) e accessibile (a meno di mezz’ora di auto) in cui distendermi. 


• Il bello, il luogo bello (parchi, giardini, tavoli all’aperto), è tutto a pagamento, o all’interno di compounds (Malls, Hotels) a sottolinearne l’alterità rispetto allo spazio pubblico “normale”, regolare. Non esiste un concetto di bello come pubblico. 


• Non riesco a trovare la poesia in niente. Nemmeno nella decadenza, che è poetica per definizione. Perché qui si va oltre la decadenza. E’ solo spreco, degrado e mancanza di rispetto per il loro unico passato.



Il Nilo. Con la nebbia la mattina. La quantità di persone che ogni giorno passeggiano lungo la courniche, e si affacciano alla balaustra dei ponti, e le coppie che semplicemente lo stanno a guardare con la mano nella mano, questa è l’anima e la poesia dell’ Egitto. Ma non riesce da sola a ripagarmi…

3. Precarietà anestetica

7 dicembre 2008

Non riesco a cercare altro che Internet. 
Ogni rapporto umano ora mi stanca.
Torno a casa stanca e nervosa per l’egoismo di certe persone con chi lavoro, la loro ottusità e cecità.
Chiudo la porta e accendo il computer, canto, ascolto, cerco musica e ritmi latini, rispondo in facebook, chatto (poco), leggo (poco), scrivo (medio). Vorrei solo dormire.

Mi pare di essere in una dimensione parallela in cui nessun oggetto intorno a me abbia più alcun senso. Fra poco meno di due mesi il mio contratto qui si concluderà e io sarò di nuovo in ricerca di lavoro. Dicono che in Europa la situazione sia tragica, per questa crisi.

In casa sono pulita ma sciatta. Tutto è funzionale, ma non sento l’anima in niente.
Non mi sono “appropriata” di niente, così non sentirò la mancanza di niente.

Non mi piaccio così, non sono stata mai così bisognosa di attaccarmi alle piccole cose attorno a me; ma non voglio farlo, ed è per questo che in questa precarietà non riesco a gioire di niente.

Non ho mai sentito un vuoto così. Non è depressione, perché forse ora ne sono immune. Non sono più così insicura di me stessa. È che questa volta non viene dall’interno, ma dall’esterno.

Forse ho avuto una grande delusione di valori. Forse non so più a cosa dedicare la mia vita. Non riesco a trovare gioia in nulla e in nessuno, soprattutto perché sono stanca di dire addio.

Il problema non è trovare le belle persone, quelle si trovano ovunque. È che qui io non le voglio conoscere, non voglio più andare a fondo, non voglio passarci il tempo, non ne ho le energieNessun tipo di occasione sociale fa per me, ora. Nulla mi piace di più che stare in casa. Il mio carattere restio è piuttosto un rifiuto di vivere quello che è temporaneo. Se non voglio fare scampagnate ed esplorazioni con persone che conosco qui, è perché non riesco a essere felice con qualcuno che perderò.

Non vedo molte speranze, non sono molto ottimista. Ho conosciuto centinaia e centinaia di persone e ho trovato gli amici che volevo, ma non ho trovato una persona con cui veramente condividere. Ma forse tutto questo “andare all’estero” è solo uno scappare, è il mio modo di impormi una mancanza d’amore, obbligatoria, invece di scontrarmi con quella della vicinanza, della co-presenza, del possibile rifiuto.

Tra l’altro non riesco a sentirmi più bella. Il mio ventre ha cambiato forma - spero tornerà come prima fra qualche mese. Il mio viso è stanco, la mia pelle opaca e i miei occhi privi di luce. Non ho mai avuto così poca voglia di vivere. O sì, forse ne ho avuto anche meno, ma allora era depressione, disperazione personale, una passione logorante; ora è la mancanza totale di vita e di dolore. Piango spesso, mi sento sempre alla soglia delle lacrime, ma non sento dolore.

Tuttavia non sono cinicaMi commuovo in continuazione in questo paese, per la semplicità dei sorrisi, per la quantità di bambini, che sono energia, e che mi rimandano sempre a quello a cui ho rinunciato. Questa esperienza, l'essere posta di fronte a questa scelta, mi ha segnato, perché mi ha fatto capire cosa vuol dire, a 29 anni, non potere contare su nessun sostegno...E come me una generazione intera.

2. Proposte quotidiane

I taxisti ti sbirciano dallo specchietto retrovisore.

La prima cosa che cercano di avvistare è l’anulare della mano sinistra, per vedere se c’è la fede. Io nascondo le mani, oppure giro verso il basso il mio grosso anello con la pietra nera, così da restare con solo una fascia d’argento. Tanto, qui la maggior parte delle fedi sono di argento.  
Poi cercano di guardarti le gambe.

- Sei sposata?
Sì; no; dipende da come mi gira, da quanto mi sento vulnerabile o da quanto me ne frego quel giorno, e da quanto ho voglia di inventare e giustificare, o di assumermi il mio status di donna "matura" single (il fatto di non essere sposata alla mia età - 29 anni - desta loro seri interrogativi!).

Se è sì
- E dov’è tuo marito?

- Mio marito lavora qui, l’ho seguito/

- Mio marito non c’è, è in Italia.
- In Italia?? E ti lascia venire qui da sola? No good!
- Ma è solo per poco, sto qui per qualche mese.
- E vivi da sola?

- Sì, vivo da sola (sguardi spersi e di disapprovazione. Alcuni dopo questa risposta si tacciono. Altri la prendono come un’incentivo in più a provarci)/

- No, vivo con una mia amica 
      - Aahh...

- E hai figli?
Sì; no; a seconda di come mi sento.

- Sì, ho due figli piccoli.
- Amdullilah. È bello avere figli! Bene bene! /

- No, non ho figli.
- E perché? Non ti piacciono i bambini?
- Sì, certo che mi piacciono, ne avremo presto (mentre penso, sì, certo, mi trovi te uno straccio di uomo che voglia fare figli prima che io abbia 40 anni?)

Se è no (non sono sposata)
- E perché?
- Ma sono fidanzata, ci sposeremo presto.
- E non ti piacciono gli uomini egiziani? Ci sono tanti uomini egiziani sposati con donne italiane sai? [ed effettivamente è vero! E ammetto che in generale gli uomini egiziani oltre ad essere belli, hanno il loro fascino]. Egitto e Italia vanno bene assieme! [mentre avvicina gli indici delle mani e mi fa l’occhiolino dallo specchietto, con un ghigno sdentato].

L’ordine delle domande è un po’ variabile. Possono iniziare coi figli per arrivare solo dopo al matrimonio e all’uomo. Poi tastano il terreno sulla tua morigeratezza.

1. Taxi quotidiano

Oggi tornando a casa mi sono seduta in taxi nel sedile del passeggero, come si fa spesso qui. Eravamo bloccati in via 26 luglio sotto il cavalcavia, tra clacson e smog. Non riuscivo a respirare.

In tutto ciò il tassista comincia a litigare con un collega accostato alla nostra destra. Comincia quindi a sporgersi su di me per urlare all’altro attraverso il mio finestrino. Mi urlava nelle orecchie e potevo sentire il suo odore e il suo alito, e il suono della lingua articolare i suoni in mezzo alla saliva. Per fortuna non mi è arrivato nessuno schizzo. Dirimpetto avevo le urla anche dell’altro nelle orecchie. Pensavo la smettessero subito, e invece no, riiniziavano in continuazione.

Non ce la facevo più, avrei voluto strozzarli! Mi sono alzata gridando “Halas!, halas!”. Sono uscita dal taxi in mezzo a via 26 luglio, sbattendo la porta e lasciando i soldi sul cruscotto. Aprendo la portiera ho anche urtato il muso del taxi di fronte al nostro. Il taxista mi ha guardato male e abbozzato un cenno di disapprovazione, e io l’ho ricambiato ancora peggio. Che isterica. Ma ero allo stremo e debolissima per il mio stato fisico e la giornata di oggi!