8. Lettera a un amico

3 aprile 2008


Caro F.,

allora, hai finito di invidiarmi? E poi non si può invidiare una persona che ha lottato quanto l’ho fatto io, non senza sminuirne lo sforzo e il merito. Non sono stata più fortunata di altri, né tanto meno ho avuto più possibilità; ho solo avuto forse più coraggio.

Io non invidio te per le tue certezze, ma certo mi mancano. Semplicemente per me arriveranno, e il fatto di rinunciarvi ora è stato un male necessario, scelto e calcolato.

E tu lo sai perché sei dove sei? E perché vuoi ricominciare da capo? Si può fare tutto sai. Ma si tratta di scegliere, solo questo, e la cosa più difficile al mondo è amministrare la propria libertà. Bisogna prendere la propria vita in mano per avere questo. Rischiare un po’.

A volte è più facile farlo quando si parte da zero, perché non si ha nulla da perdere e ci si può buttare. Per altre cose però questo rende tutto più difficile, perché non si hanno margini di errore: quando non si ha nulla è difficile procurarsi una seconda possibilità. E quindi non puoi essere invidioso si qualcuno che semplicemente ha scelto e rischiato.

Bisogna sapere il perché delle proprie scelte e rinunce. E anche sapere che non si può avere tutto, e considerare i propri sogni con realismo, sforzandosi di vederne anche i lati negativi.

Vorrei vederti vivere qui una settimana e affrontare una quotidianità come questa come sto facendo io da sola. E’ qualcosa di molto diverso dal fantasticarlo nel confort di una vita regolare, spesso con quelle motivazioni che si nutrono di egocentrismo e manie di protagonismo sinistroide, per cui semplicemente fare queste esperienze “fa figo” e “impegnato”.  Qui le urgenze della quotidianità ti schiacciano, e il nostro ego sognatore si frantuma in un soffio.

Senza le logiche, le sequenze, la prevedibilità di cui si costituiscono normalmente le nostre azioni, non è così immediato restare indipendenti e capaci. Si è vulnerabili, e la prima astuzia che impari in fretta a padroneggiare in qualsiasi frangente è senz’altro la dissimulazione della propria inesperienza. Crearsi all’istante una pelle nuova con cui affrontare le incognite delle sequenze quotidiane – e non si parla ovviamente di basarsi sulla propria esperienza come turista.

Trattative in taxi, uffici, richieste di informazioni, mance per qualsiasi cosa, attraversare la strada, telefonate alla Telecom, ordinazioni al ristorante...Ogni procedura è un terno al lotto, e questi poveri sanno essere anche tremendamente pigri ed arroganti. Vorrei vederti fare per una settimana la vita che sto facendo io. Non resisteresti un giorno. Dovresti venire qui e provare, vedere.

Solo che è difficile essere obiettivi. Idealizziamo sempre ciò di cui non riusciamo ad appropriarci. Solo quando lo abbiamo, accettiamo magari di poterne fare a meno, o di non trovarci poi così tanto bene, o che esistono altre cose per noi più importanti.

Per questo la cosa più importante è mettersi alla prova. Il disagio io lo avevo messo in conto, come parte di un compromesso. E l’ho sopportato fino a che le gratificazioni che venivano dai miei obiettivi raggiunti hanno costituito la cosa più importante per me. Ma ora le gratificazioni sono state incorporate, assorbite; le incertezze dissipate; alcuni traguardi raggiunti; i miti ridimensionati. Non bastano più.

Assodati questi punti ho potuto finalmente concentrarmi su me stessa. E pensare alla bellezza di avere una casa mia, che parli di me. Entrare in casa la sera e ritrovarmi, assaporare il tempo libero, senza pensare alle vacancies da cercare e ai CV da mandare. Mettere su un CD e chiudere gli occhi sul divano. Prendersi il proprio tempo per preparare una cena, e non semplicemente nutrirsi per restare in piedi. Godersi un film, anche alla TV. E poi pensare a un bambino, a una famiglia.

Potrò godermi tutte queste abitudini senza più pensare di stare sprofondando in un’anonima vita borghese, perché per me queste routine prenderanno sapore da tutti gli anni in cui non lo avute, perché non potevo permettermele, o perché non era possibile averle.  Non mi sembra di tornare indietro verso l’insipido, perché ho vissuto tutto quello che volevo.   

Il più grande traguardo che mi sento di aver raggiunto, è proprio questa tranquillità interiore datami dal fatto che ora sono io che decido di rinunciare a questa vita, con chiara davanti a me tutta lista di motivazioni, di pro e contro. Questo mi dà un senso di serenità infinito.

E quando, tornata nella bella vecchia Europa, ricomincerò a interrogarmi sul senso della vita, ripenserò a tutto questo, ricorderò le emozioni forti, ma avrò chiaro davanti a me il motivo della mia scelta.

Le tue parole e le tue contraddizioni mi lasciano sempre più perplessa. Vorrei farti un gran lavaggio del cervello, scuoterti, e dirti di smettere di attaccarti a simulacri sterili di sicurezze - forse anche sotto forma di rapporti personali - che non incarnano altro che il conflitto tra quello che hai, che non vuoi lasciare e ciò che hai paura di trovare; e che alla fine ti lusingano e ti rassicurano. Vorrei anche dirti di continuare a sognare le cose che ami, solo però di ridimensionarle e smitizzarle un po’.

Ma sono stanca da scrivere, e ho troppa paura che scritte le parole siano un’arma troppo pericolosa. 
Con affetto,

Margot 

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