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2. Scomparire, ma senza il velo

Sabato 2 agosto 2008

Simmel, uno dei miei sociologi preferiti, diceva che si comincia ad esistere agli occhi dell’altro solo quando guardiamo; ovvero, esistiamo non quando e non solo se lo sguardo altrui ci raggiunge (quando cioè siamo visibili, visti, guardati), ma quando lo sguardo altrui è ricambiato e validato dal nostro, nella reciprocità.

In verità lui dice che “The eye cannot take unless at the same time it gives...In the same act in which the observer seeks to know the observed, he surrenders himself to be understood by the observed”, ovvero non si può guardare senza non essere visti; o, per la reciprocità, non si è visti che nel momento in cui si guarda, si ricambia lo sguardo.

Io sono una persona aperta, che guarda tutto, che gira la testa, che guarda le facce di chi mi sta intorno. Se sono circondata da uomini, certo mi viene da esplorarne il viso. Nulla di più inappropriato qui, perché è un gesto che trasmette automaticamente disponibilità

Lo sguardo di un uomo non si ricambia, non si deve incrociare.

Quando cammino per la strada, e mi sento tutti gli occhi addosso, devo cercare di resistere alla tentazione di guardare. Per me è molto difficile perciò camminare a testa bassa, guardando in terra. Mi sento di implodere, di annullare la mia esistenza. Di scomparire.

Scomparire, questo è quello che queste donne vogliono. Annullare la loro presenza sociale, nascondendosi dentro vestiti a sacco e a un enorme velo nero, integrale, che a volte copre persino gli occhi. Quanto darei per averne uno e annullarmi…

Ma io non posso. Qui il velo non è obbligatorio e loro sanno benissimo che non fa parte della nostra cultura, e non ci giudicano per questo. E allora che penserebbero di una donna occidentale che se lo mette? Sarebbe una cosa senza senso alcuno, quasi un’offesa, equivalente a dire loro che non sono abbastanza civilizzati da accettare le differenze culturali. Una donna occidentale al Cairo col velo è semplicemente ridicola. Alcune turiste lo fanno, e tutti convengono sul fatto che sono ridicole.

E allora ho trovato anche io un modo per non dover camminare a testa bassa, cosa a cui non sono abituata e che mi umilia; per guardare ma non essere vista mentre guardo. Gli occhiali da sole!

Con quelli riesco a camminare a testa alta senza sembrare sfacciata. Riesco a vedere gli occhi di chi mi guarda, senza in realtà validare il loro sguardo, che resta perciò sospeso nel vuoto, e non brilla di quel disgustoso e insolente fremito di desiderio quando si accorge di incrociare il mio.

***


Lunedì 04 Agosto 2008

Ho comprato una gonna lunga nera, doppio strato. Un po’ bombata tanto per non sembrare una scopa. Di quelle che si sono viste solo nella foto in bianco e nero della tua bisnonna.

Non mi è mai piaciuto come mi stanno le gonne lunghe e non le ho mai portate, ma qui lentamente mi sto adattando a forza di vederle in giro. E poi mi permettono di sentirmi un po’ femminile, non ne posso più di pantaloni lunghi e maglie lunghe che coprono il culo…

Non riesco più a sentire il mio corpo, ad accettarne la sensualità. Ne ho bisogno, mi manca, mi sento mutilata, ma non posso darle voce, devo solo occuparmi a scomparire. 

Ahmed è l'unico momento di respiro in cui possa ricordarmi di essere donna. Ed è così, nel privato, che le donne arabe riservano la loro femminilità solo per i loro uomini.

11. Il velo: decenza o intrigo?

Mercoledì 30 luglio

Primo classificato in molestie sessuali

Questa sera sono andata a cena con Nada e due sue amiche al Sequoia, un locale abbastanza in vista proprio sulla punta meridionale dell’isola di Zamalek.

May, l’amica di Nada, è egiziana, ha 45 anni, è cresciuta nel Regno Unito e ora lavora in una ONG. Abbiamo parlato a lungo di cosa vuol dire vivere da donna al Cairo, e mi ha spiegato come al momento l’Egitto non abbia eguali nel mondo arabo in materia di sexual harrassment.

Comparati con l’Egitto infatti: il Maghreb è molto più libero sessualmente e vi è quindi meno frustrazione; nel Golfo - fermo restando l’adeguarsi alle loro regole - sono più abituati a trattare con gli stranieri per scopi commerciali e ne interpretano meglio i comportamenti. Come ha detto May, “capiscono, ad esempio, che essere non-vergini non coincide con la disponibilità immediata, né col poter/voler far sesso con qualunque uomo: insomma sanno che anche le donne amano scegliere con chi avere una storia, indipendentemente da se sono vergini o no!", (e ancora mi torna in mente la scena di Persepolis, dove la nonna racconta come gli uomini si relazionino alle donne divorziate)! Infine, in Libano e Syria sono più conservatori, ma lo stesso non succede come qua.

Questa triste primato egiziano è legato alla progressiva crescita della fascia di popolazione maschile “frustrata”, e questo dipende da varie dinamiche sociali:

- Il miglioramento delle condizioni di vita assieme alla sopravvivenza di modelli familiari di tipo tradizionale continuano ad alimentare il boom demografico, facendo sì che i giovani costituiscano più della metà della popolazione.

- L’età del matrimonio si è progressivamente spostata in avanti, un po’ perché più giovani hanno accesso agli studi, un po’ perché col recente peggiorare della situazione economica ci vuole sempre più tempo per mettere da parte i soldi necessari a sposarsi. Va da sé che per chi fa parte della classe medio-bassa ci sono ben poche possibilità di entrare in contatto con una donna al di fuori del matrimonio. L’amico di Sara che mi ha aiutato a trovare casa ha 31 anni, e mi ha detto che è vergine, e io a vederlo ci credo.

Il velo integrale: decenza o intrigo?

Il problema ha assunto una portata importante ed è già elemento di dibattito in alcune arene politiche (questo mi solleva, perché vuol dire che non sono io a esagerare e a non saperlo gestire!). Inoltre, lungi dal riguardare solo le donne straniere, colpisce sempre di più anche le donne egiziane velate, e persino quelle col niquab, ovvero coperte completamente.

A proposito di questo, il nostro security officer, Amir, ci ha raccontato un aneddoto molto eloquente. Un uomo – portato alla polizia per aver molestato una donna coperta – avrebbe detto: “era tutta coperta…chissà cosa c’è sotto!”. Una tale affermazione è interessante, in quanto disconosce di fatto il sistema di valori della cultura islamica!

Il ruolo e l’effetto del coprirsi o del nascondersi è molto diverso tra mondo occidentale e orientale.

"Hot!"
Il commento di un mio amico (italiano) quando ho pubblicato su facebook questo primo piano di tre donne, in cui si scorgono solo gli occhi sotto i niquab, è stato:hot!”. In una società come la nostra dove tutte le frontiere del corpo sono state socialmente abbattute e tutto è posto alla portata di tutti, se pure l’occhio dell’uomo occidentale è abituato a cercare la carne nuda, apparentemente non rimane indifferente al suo contrario e resta intrigato da ciò che è troppo nascosto: ciò che non si vede resta uno stimolo per la curiosità.

Nella società araba tradizionale invece il coprirsi non è una scelta bensì una condizione imprescindibile per la donna, e a differenza della società occidentale, non vi corrisponde alternativa. Anche il concetto di pudore di conseguenza è diverso. In occidente il pudore si oppone alla volgarità, mentre qui resta un concetto molto più neutro, che corrisponde piuttosto a un’affermazione di modestia e discrezione, e non ha necessariamente a che vedere con la repressione. Non avverto in questa cultura il concetto di volgarità, o se lo vedo, è sempre derivato da un’estetica importata dall’occidente.

Le sostenitrici del velo fanno coincidere il coprirsi con l’affermazione della propria esistenza di donna al di là della dimensione sessuale: portare il velo vuol dire mostrarsi prima di tutto come donna e persona, invece di oggetto di attrazione sessuale.

Con questo non voglio né negare l’esistenza di un’ingente pressione sociale a favore del velo, esercitata sia dalle donne che dagli uomini; né il fatto che le donne a sostegno del velo abbiano semplicemente introiettano il sistema di valori dominante; né l’esistenza di una grande ipocrisia in questo ambito. 


Noto solo come in un paese dove mettere in mostra le proprie carni non ha mai fatto parte delle opzioni, la scelta di mantenersi fedeli alle proprie tradizioni e il distacco dall’estetica occidentale non è vissuta dalle donne necessariamente come una privazione, ma al contrario come un’affermazione della propria identità, di donna, e di donna araba.

Escluso quindi l’elemento di “repressione” (L'Egitto non è una società estremista) e tralasciando la mia opinione personale a riguardo, ma mettendomi nei loro panni, perché le donne arabe dovrebbero smettere di portare il velo? Siamo noi donne occidentali forse più rispettate perché non lo portiamo? 


Inoltre, lungi dal limitare l’espressività, il velo è un codice vestimentario come un altro, declinato in mille modi, anche sensuali (e qui si aprirebbe un dibattito complicatissimo sulle contaminazioni occidentali e le differenti maniere di indossare e interpretare il velo...). 


[Si veda anche il post Il gusto di una seduzione di privata]

L’uomo arabo tra oriente e occidente

Ma tornando all'uomo interrogato dalla polizia; affinché un codice, in questo caso il velo, possa generare senso, deve corrispondervi la capacità dell’uomo arabo di interpretarla: in presenza del velo l’uomo d’onore non solo rispetterà, ma proteggerà la donna che aderisca a questo sistema valoriale.

Quello che sta succedendo ora invece, nell’incontro tra culture e nel mischiarsi delle estetiche e dei codici tra oriente e occidente, è che l’uomo arabo è esposto all’estetica e ai codici occidentali; e quindi mentre i codici occidentale e orientale convivono e si sovrappongono, la reciprocità interpretativa non è più scontata e si crea uno scollamento tra il valore tradizionalmente associato a un certo tipo di comportamento (comprese le scelte di abbigliamento) e la loro interpretazione, soprattutto dallo sguardo maschile.

All’interno della stessa cultura araba si è creata una contraddizione valoriale che fa sì che l’uomo arabo vada a importunare la donna in burqua, quella che dovrebbe rispettare, quella "decent" - per dirla come loro sullo stile vestimentario più tradizionale! Questo mi sembra sintomo di una grande confusione simbolico-culturale, in cui versa l'uomo arabo attualmente, stretto tra la volontà di onorare la propria cultura e tradizioni, e l'avanzare della società dell'immagine occidentale, con la sua particolare estetica del corpo femminile.

Dall'altro lato, una donna si copre per conformarsi a certi modelli morali dettati dalla società tradizionale, ma finisce, per lo stesso fatto di coprirsi, per destare esattamente quei desideri che si proponeva di escludere! Così di fatto le donne arabe in Egitto sono private della capacità di padroneggiare i codici della loro stessa civiltà.

Il risultato di tutto ciò è che è impossibile girare per le strade del Cairo per la stizza che ti assale per gli innumerevoli rompipalle. Non che ci sia un reale rischio di essere assalite o violentate - nulla di più impossibile! E’ solo che è psicologicamente talmente profondamente umiliante, talmente la propria femminilità è schiacciata e strumentalizzata che piuttosto che tornare a casa con quella sensazione d’intrinseca sopraffazione e sporcizia, preferisco a volte rimanere in casa. Io sì vorrei potermi nascondere dentro un burqua!

Per concludere, è certo evidente che se una donna ha bisogno di coprirsi (ovvero limitare la libera espressione della naturalezza del proprio corpo) per poter essere considerata come una persona prima di un oggetto di desiderio, qualcuno nella società le sta negando la libertà…di semplicemente esistere! Ma in occidente abbiamo dimostrato di essere così tanto più brave a gestire la nostra “libertà”? E si può considerare tale quando anche questa è fondata sull’estetica ideale maschile?

4. Toccata...e fuga

Lunedì 5 maggio 2008

Aspettavo Anna alla metro Opera per andare in palestra assieme. La chiamo per sapere dov’è, e gradualmente ci mettiamo tutte e due a imprecare al telefono contro di noi e contro il suo tassista che non l’aveva lasciata dalla parte giusta del parco, nonostante le indicazioni date.

Approfittando della mia distrazione, un ragazzetto passa e mi palpa la parte alta del braccio che, quel giorno, avevo lasciato inconsuetamente scoperta in un moto di indipendenza e strafottenza, indossando una maglietta...ben a mezze maniche!

- Vaffanculo, stronzo!! – la tolleranza è minima con 40 gradi e gli affronti continui e quotidiani alla tua rispettabilità.
- Cosaaa??! Oooh, stai calma! – fa Anna al telefono pensando dicessi con lei, mentre si lamentava perché le avevo annunciato che non avrei potuto attenderla, per non fare aspettare troppo Ahmed in palestra. I vaffanculo al ragazzo si sommano e si mischiano ai reciproci nostri.

[Si veda anche Di nuovo, touchée]

Lunedì 19 maggio 2008

Oggi facevo con Liliana la solita strada per andare in palestra, dalla fermata Opera alla Courniche El Nil.

A un certo punto sento una stretta di dietro. Ben stretta e profonda. Mi giro e c’è sto ragazzetto grasso (chiatto, per dirla come Liliana, in napoletano) e di massimo vent’anni che sorride e si mette a correre.

Mi ha completamente congelata e non ho avuto la prontezza di rincorrerlo, né ci sarei riuscita con le ballerine, la borsa della palestra e la mia borsa, eppure correva pure piano, grasso com’era. Gli ho gridato dietro un “fucking bastard” ma non sono riuscita a fare nulla di più. Liliana da parte sua gli ha inveito contro una serie di insulti in un arabo così fluente che ci sono rimasta di stucco; solo che poi mi ha fatto notare che si trattasse invece di napoletano stretto

Lui ha continuato a correre e poi raggiunta una certa distanza ha ricominciato a camminare. Allora io e Liliana ci siamo messe a camminare spedite nella sua direzione; lui era già lontano e irraggiungibile, ma al solo vederci reagire si è rimesso a correre a gambe levate imboccando poi le scale della metro. 

È talmente umiliante, frustrante e dispregiativo che mi sono portata dietro per alcuni giorni la sensazione di quel contatto. È un pubblico scherno e attacco al tuo intimo. Inoltre si avverte chiaramente come l’essere occidentale venga considerato come un “ingresso facilitato”.

[Si veda anche Di nuovo, touchée]

Lun 26 maggio

Percorro il solito tratto di Courniche El Nil che mi porta dalla metro Opera alla palestra. Questo tratto della Courniche è piuttosto chic, ed è tutta un cantiere. Vi sono inoltre case particolari, come per esempio quella della vedova di Sadat, sorvegliate massicciamente.

Capita perciò che in questo percorso si concentrino le due peggiori categorie di uomini, e che, per ragioni inerenti alla categoria, queste si presentino con maggiore probabilità sotto forma di gruppo: sono i muratori, e i soldati. Le mie camminate fino alla palestra sono un supplizio ad occhi bassi, tra cori, fischi e versi di tutti i tipi.

A un certo punto mi sento chiamare “mademoiselle”. Che vuoi, faccio finta di nulla e tiro dritto, occhiali da sole e sguardo basso. Mademoiselle..! La voce si avvicina, come mi rincorresse. Mi volto, e mi trovo un ragazzo sui 35, un po’ grassottello, pelato, di quelli dall’aspetto mansueto e timido.

- Mademoiselle, I just wanted to tell you that a guy there took a photo of your back with his mobile...in case you would like to prevent the police.-

Resto piacevolmente colpita e intenerita, ma col sorriso rassegnato.

- Oh, thank you, it’s really very kind of you...but you know… what could I do...
- Maybe, you should put longer shirts that cover you back.
- I thank you for your advice, but I think of wearing clothes long enough, and that my dressing is in all ways respectful of your habits; I do not want to renounce to my freedom of wearing what I want, since I consider it appropriate anyhow. I think that this is their problem, and not mine…
 
Il ragazzo parla calmo, con voce timida e quasi mortificata. Mi dice che lo fanno spesso, di fare foto (del resto mi è capitato anche ad Alessandria al mare, e durante il viaggio di ritorno da Baharia).

Poi mi racconta di come a certe turiste – di quelle che indossano abiti di sole bretelline, o che non si mettono il reggiseno – dei ragazzini gli abbiano tirato giù le bretelle.

Quando me lo dice, mi trovo però a pensare con una punta di indignazione e un inatteso moralismo che a quelle turiste gli stava proprio bene, e che se lo meritavano, razza di zoccole interculturalmente insensibili! Mi stupisco molto di questo moto e mi rendo conto di come in questi mesi, causa le sensazioni negative accumulate sul mio corpo di donna, abbia  interiorizzato alcuni limiti e adattato la mia sensibilità rispetto a ciò che è socialmente mostrabile o meno. 

Poi ci salutiamo e io entro nella barca che ospita la mia palestra.

Martedì 27 maggio 2008

Nel percorso dalla metro all’ufficio un minibus - di quelli sempre carichi e con almeno un paio di ragazzi appesi fuori dalla porta aperta – non si limita a suonarmi da dietro, ma fa finta di venirmi addosso. Sparato, mi sfiora e poi si rimette in traiettoria. E gli stronzi appesi dietro ridono. - Bastardi idioti - penso, o forse pronuncio - schiantatevi! - non ne posso più...grido di rabbia.

1. Lettera a Bruxelles

Venerdì 14 Marzo 2008

Questo venerdì l’ho passato in casa. Internet del vicino ha funzionato per un po’, e sono riuscita a scambiare qualche mail con i ragazzi di Bruxelles. Quanto mi mancano.

Poi ho attaccato i disegni dei bambini ai muri (del calendario del lavoro); poi sono andata in libreria a comprare un libro, un romanzo egiziano molto famoso, The Yacoubian Building, di Alaa Al Aswany; e poi a casa a scrivere, a ricordare, a digerire.


Cari amici,

È venerdì e quindi io sono a casa (qua la settimana lavorativa va da Sun a Thu), e trovo l'Internet del vicino in un raro stato di grazia, per cui finalmente posso leggermi tutte le vostre mail, da due settimane a questa parte.

Purtroppo dall'ufficio non riesco a fare nulla, né scrivere mail né vedere facebook, e non ho skype. Ancora non ho internet in casa, spero di riuscirci presto: sarà l'ultima vera tappa per assestarmi. Intanto rido da sola e mi commuovo leggendo le vostre cazzate, sempre nuove e originali...

Non so davvero da dove iniziare a raccontarvi. Forse dall'ultima parte. Sono tornata da poco da una settimana di missione nella penisola del Sinai, dove siamo andati a monitorare dei progetti nelle comunità dei beduini. Mi sono presa tanti thè nel deserto nelle loro capanne, con queste donne bellissime e misteriose e questi bambini liberi. E tanta tanta povertà; appena posso metterò le foto su facebook.

Queste donne che non avevano niente ti accoglievano come se fossi un regalo, e mi si scioglieva il cuore con questi bambini, piccoli, che nella loro vita forse non avevano mai visto un'occidentale, o non capivano perché ero senza velo o coi capelli chiari. Non riuscivano a staccarmi gli occhi di dosso; alcuni avevano paura e scappavano. Poi mi prendeva uno sconforto senza fine pensando a che le cose non andavano assolutamente bene...e non vedevo davvero nessuna via di uscita.

In questi villaggi, quando arriva un forestiero, uomini e donne si dividono, e si raggruppano ognuno in una differente sala. La prima volta che sono entrata "dalle donne" ero quasi spaventata.

Immaginatevi 20, 30 fantasmi neri di cui si scorgono, da dietro una sottilissima fessura nel "niqab", solo occhi bellissimi, orientali, con un giro di matita nera. Alcune avevano il viso completamente velato. E' stato emozionante quando poco a poco hanno cominciato progressivamente a svelarsi. Quanti strati, quanti modi, quanti lacci...

Alcune si alzavano il velo da davanti agli occhi, altre si levavano tutto il niquab da davanti al viso e restavano solo col velo normale, scoprendo visi bellissimi di mamme giocose e ragazze sorridenti. Bastava l'avvicinarsi di una voce maschile dall'esterno, e in un secondo avveniva la trasformazione: in un attimo non potevi più la persona con cui stavi parlando poco prima.

Il deserto è stupendo. Il territorio dove siamo stati era tutto un incrociarsi di checkpoints, data la vicinanza a Gaza. Una volta me ne stavo andando in giro per la spiaggia, attorno all'hotel, e una guardia mi ha fermato e mi ha detto di rientrare. C'è il coprifuoco in quella parte di spiaggia...

Questo mondo arabo è ricco e intenso, ma duro. Non pensavo potesse essere così. Sapevo che avrei dovuto prestare più attenzione a certe cose, all'abbigliamento soprattutto, ma non mi immaginavo fino a questo punto. Sto cercando di capire come viverlo al meglio. Lo so che sono legittimata a stare svelata e a vestirmi come voglio (nei limiti della loro decenza ovviamente). E le persone non ti giudicano per questo: anche il musulmano più arrogante e estremista (almeno qui in Egitto) non giudica una cristiana (perché ovviamente qui dire di non essere credente, non è un’opzione) perché non si vela; semplicemente sa che abbiamo tradizioni differenti. Anzi, il velarmi al Cairo sarebbe secondo me più simile a un insulto secondo me, come dirgli: non hai raggiunto nemmeno un grado minimo di civiltà per comprendere questa differenza di tradizioni.

Nella pratica però è diverso, forse davvero è il colore dei miei capelli, ma camminare per strada è davvero pesante, e ancora non ci ho fatto l'abitudine. E poi non sono soltanto gli sguardi per strada. E' tutto un particolare tipo di costrizioni di cui è intrisa la società. So che non posso sorridere ad un uomo con la spontaneità con cui potrei farlo in Europa, perché significa certe cose (già incappata in fraitendimenti), so che non posso dare per prima la mano a un uomo, ma aspettare che sia lui a darmela: è considerato sconveniente che un uomo e una donna si tocchino, anche solo per stringersi la mano...solo alcuni uomini te la porgono; ad altri, se la porgi, te la stringono ma malvolentieri...E poi non esiste un minimo di fisicità e sensualità in niente...In casa mi sparo della musica latinoamericana per ricaricarmi perché mi sento a dir poco ingabbiata...sta arrivando l'estate e non oso immaginare a come potrò/dovrò vestirmi.

Cari tutti, queste alcue impressioni sparse. Vi terrò aggiornati più spesso in futuro appena avrò internet. Penso molto a Bruxelles e alla nostra vita là.

A presto. Un abbraccio,

--
Margot

4. Sinai: nelle tende dei beduini

Penisola del Sinai – 07-13 marzo 2008

Il
Viaggio

In partenza per il Sinai. L’emozione per le cose nuove, in me, quasi sempre prende le forme dell’insicurezza. Perché? Ancora non l’ho capito che me la sono sempre cavata?

Deserto giallo fuori il Cairo, e bianco subito dopo il Canale di Suez, costeggiando il Mar Rosso; e poi più aspro e rosso verso l’interno, con montagne dai fianchi stratificati. Qualche cammello ci taglia la strada.

Lungo viaggio verso Al Arish, con pausa a Nekhel. La strada tra Santa Caterina e Nekhel, così come quella che risale a Nord per Al-Arish è piena di check point, per la vicinanza ad Israele. Al-Arish è proprio la città dove poco più di un mese fa i palestinesi hanno sfondato il muro e sono entrati per rifornirsi di cibo, acqua e benzina, col beneplacido del governo egiziano.

Nei posti di blocco continuano a fermarci. Ora siamo fermi da forse un quarto d’ora (a causa mia) e come altre volte mi hanno chiesto il passaporto.

- Un cane malandato passa a testa bassa e muove timidamente la coda, solo per il fatto di trovarsi a qualche metro da un essere umano -.

Sì, ero io il problema. Nessuno straniero ha il permesso di passare attraverso questi territori, perché zona di confine con Israele e punto di aggregazione di terroristi, e io non ho il passaporto blu. Troviamo per terra un elmetto arrugginito israeliano della guerra del ’73.

Khaled mi ha raccontato come durante gli anni di occupazione israeliana i beduini siano stati viziati e “comprati” dagli israeliani, e come ora sia così difficile lavorarci, perché quello che gli interessa sono le macchine e la possibilità di far denaro.

- Ragazzini che corrono dietro un cammello carico di tappeti che si perde nell’oscurità. Uomini vestiti in abiti tradizionali. Anche loro si coprono il capo –.

La guesthouse degli uomini


Primo villaggio. Sono la sola donna nella stanza, quella principale del villaggio, la “guesthouse” maschile. Siamo tutti senza scarpe, seduti lungo i muri della stanza. Alcuni uomini non mi hanno stretto la mano, ritirandola in fretta con una specie di schiocco, secondo il gesto usuale.

Sono l’unica non velata. Ho i calzettini bassi e mi si vede un po’ di caviglia. Oddio come mi guardano. Ci sono vari giovani. E i bambini. C’è anche una bambina sugli 8 anni, con un lungo vestito blu e un velo bianco, lunghissimo, chiuso sul davanti. Io non tengo le gambe incrociate come gli uomini, ma ma unite e allungate di lato. Non so davvero cosa è accettato e cosa no, e come mi possano considerare. Mi facevano male le gambe, e alla fine mi sono messa a gambe incrociate; non ce la facevo più.

Poi sono andata nella stanza delle donne assieme a Rhim, che riusciva un po’ a tradurre. Abbiamo fatto un po’ di foto e bevuto l'ennesimo thè. Mi mostrano i loro lavori e mi chiedono se sono sposata o fidanzata. La più anziana mi dà un bacio, e mi dice che avrebbe un nipote da farmi sposare.

Secondo villaggio. Non mi ci sono nemmeno seduta alla riunione degli uomini; devo ammettere che mi sento troppo a disagio. Sono andata direttamente dalle donne. Abbiamo fatto un po’ di foto, mi hanno fatto vedere i vestiti che ricamano, e poi mi hanno presa e mi hanno messo prima il velo, e poi sopra il niquab. Mi hanno portato in giro per il villaggio, mostrandomi la gabbia dei piccioni.

Terzo villaggio. Siamo nella guesthouse. La partner del governo si è seduta con le gambe allungate, ma con lo scialle si copre i piedi. Mi pare di ricordare che per loro mostrare le piante dei piedi sia molto offensivo. Odore delle loro sigarette egiziane.

Nella comunità successiva, prima di entrare nella guesthouse, il capo mi si rivolge in arabo, indicando intanto la casa delle donne. Il nostro partner gli dice in arabo, probabilmente, che io dovevo stare con loro, e quindi mi ha invitato a entrare.

Ancora mi chiedo quanto possa essere strano per loro avere una donna nelle loro riunioni.

Gli occhi


In questo sito hanno gli occhi a mandorla, zigomi alti e nasi spigolosi.
Sembrano più tesi, più poveri, più disorientati. Sono meno curati: le unghie, i veli che hanno in testa. Ci sono disturbi della vista ricorrenti. All’inizio mi pareva ci fossero degli occhi chiari, poi ho visto che si trattava di disturbi della retina, o della cornea...Khaled dice che deriva dall'alimentazione.

In un villaggio, c’è un uomo completamente cieco, senza le orbite degli occhi. Gli mancava anche una mano, portata via da una mina. Una bambinetta gli era accanto, ho saputo dopo che era la figlia, e lo assisteva. E’ interessante vedere come in queste comunità, questi soggetti vengano comunque integrati e fatti sposare, e aiutati da tutta la comunità. Nella nostra società ad esempio non era così, e i soggetti anormali erano nascosti e colpevolizzati, in quanto l’anormalità corporea era considerata m
anifestazione di qualche colpa e punizione divina...

L'aria


Questa gente ama gli spazi aperti, ama la distesa gialla del suo deserto. Ama il contatto con la terra e con l’aria, e con loro non vuole nessuna discontinuità. Nelle case molti non fanno nemmeno la gettata di cemento, ma lasciano la terra.

Questa comunità sembra in migliore condizione di quella di ieri. La sala è molto pulita, cuscini puliti, vestiti puliti, visi più sereni, sani, molto rispettosi. La guesthouse ha una finestra. Ha anche gli infissi e i cardini, ma la finestra, semplicemente, è stata rimossa (che se ne fanno…). Altre comunità hanno invece un buco nel soffitto.

Lo sciacallo

Arrivati a una comunità, il vecchio del villaggio mi indica una gabbia, ché notassi qualcosa: avevano imprigionato uno sciacallo, perché mangiava loro tutte le capre. L’avevano rinchiuso in una gabbia di un metro quadrato.

Povera creatura. Non poteva né alzarsi ne camminare. Le zampe anteriori e quelle posteriori gli erano state legate assieme, a due a due. Quelle anteriori avevano un ulteriore laccio che gli impediva di stendere completamente il polso. Ma la cosa più orribile era la museruola fatta di filo di ferro che gli aveva ferito tutta la bocca, ormai completamente piena di sangue; era fissata sul collo, e dava l’idea di stringergli, tant’è che il povero animale aveva gli occhi sembravano scoppiare ed erano completamente rossi di sangue.


I beduini, e anche i nostri partner del governo, ridevano. Io ho avuto uno shock, non riuscivo a mascherare il mio disgusto. Non sono riuscita a raggiungere il mio collega nella discussione con gli uomini. Facevo domande, enfatizzavo il mio sconvolgimento, ma sapevo che non avrebbero capito il mio punto di vista; era impossibile.

Sono la legge della sopravvivenza e la superstizione a dettare le logiche. Lo sciacallo si mangiava tutte le loro capre. Anche Rhim non capiva il mio atteggiamento. E allora perché non lo uccidono? Che senso ha tenerlo così? Sono riuscita a farmi spiegare infine, che di lì a poco lo avrebbero sì sacrificato, perché il grasso e il fegato dello sciacallo sono considerati curativi.

Falsi progressi 

Pare proprio che in questi posti della nostra cultura arrivino solo i valori negativi legati al consumismo. Quelli positivi legati ai diritti, no. La mentalità resta la stessa: quella contadina, ma con l’aggravante di un’avidità e una bramosia per la ricchezza facile che di solito non appartiene alle popolazioni rurali.
Arrivano i cellulari, il satellite, i 4X4; ma i diritti no. Le donne continuano a vivere nei loro timori e nella loro timidezza, gli animali continuano ad essere sacrificati in base a superstiziosi ancestrali (come lo sciacallo). Altre volte penso semplicemente che la cooperazione allo sviluppo è una bufala; non ce la faranno ma; e poi penso: ehmbè? Stanno tanto bene loro, perché dovrebbero diventare come noi? Guardo questi bambini: probabilmente non andranno mai al di là della scuola primaria, ma...noi nel nostro mondo siamo contenti?

(to be continued)

6. Lettera a un amico

26 febbraio 2008

Ciao A.,

le prime due settimane sono passate, e con loro anche i mille pensieri dei primi giorni. Ho avuto due settimane che mi paiono due mesi ma ora quasi tutto è sistemanto e sto iniziando a tutti gli effetti la mia vita cairota.

Mi sono iscritta in palestra; il corso di arabo invece aspetterà ancora un paio di settimane e non vedo l’ora perché è impossibile vivere altrimenti. Non vedo l’ora di essere completamente sistemata, perché sì, ora sono esattamente nel periodo di maggiore entusiasmo, anche se in realtà tutto ti provoca un gran stress.

Culturalmente è tutto nuovo e mi rendo di non capire a fondo tutti i contesti. Il livello di allerta è sempre alto e cio' fa si' che la sera mi ritrovi stanchissima ma senza sapere perché...in realtà è il cervello che non ha più automatismi, è sommerso di stimoli nuovi, da una lingua che non capisce e che crea un continuo rumore di fondo, e di situazioni che non sa prevedere o gestire...

Ho trovato un appartemento decente nella zona considerata top (mah...), dove stanno la maggioranza degli expats. Lo scorso weekend sono andata in centro, in una parte popolare e vecchia dove fanno il mercato tutti i giorni. Mi sono anche presa da mangiare in una di quelle bancarelle e non mi è capitato niente...Purtroppo non riesco ancora a fare foto, e non so se, quando e come ci riuscirò.

Gli egiziani sono calmi ed ospitali. Certo mi sento osservata come se fossi un animale strano, e anche se sai che è così e te ne fai una ragione, è una sensazione pesante, e mi rincuora sapere che anche le altre ragazze che magari sono qui da più tempo provano la stessa cosa. E’ come se ti facessero sentire nuda perennemente. E poi ti guardano davvero tutti, maschi e femmine e pure i bambini, che poi chiedono alle mamme qualche spiegazione, forse sui capelli al vento...

Per il resto il mondo arabo è tosto, è davvero tutta un’altra cosa. Non dico che sia difficile, perché io alla fine sono legittimata a restare me stessa. Ma viverlo da espatriato non è comunque scontato. Senti proprio che non condividi più il filtro della cultura, del sistema di valori più profondo. Non mi era mai capitato. Sai che su certi argomenti non ti potrai mai capire.


E’ bello quello che sto vivendo, ma io sono diversa. Le altre volte che partivo, era una “solo andata”, senza pensare al ritorno, chiudevo il capitolo precedente (più o meno consapevolmente) con l’idea di lasciarmi trascinare dai flussi, e vivevo la mia nuova vita come un nuovo inizio, ogni volta definitivo, anche perché andandomene sentivo sempre che non avevo niente da perdere; anzi, al massimo scappavo da qualcosa. Questa è la prima volta invece che ho davvero dovuto lasciare una situazione in cui mi stavo bene. E quindi il ponte Europa è ancora in piedi. Significa che so che voglio tornare in Europa, anche se non so dove, e soprattutto a fare cosa. Bruxelles è una possibilità.

Quello che vedi dal di fuori non è che il risultato di un percorso non facile per cui ho dovuto sacrificare e lottare tanto, e per cui ancora sto continuando a rimandare o a mettere in gioco delle cose importanti. Magari sembra tutto luccicare, ma semplicemente non sai dove stanno le toppe, o gli imperativi della ragione che non coincidono con quelli delle emozioni. La cosa che conta alla fine però, credo sia il fatto che rifarei tutto.

Dalla mia parte infine, posso sempre invidiare la qualità della tua vita, che ti permette di assaporare le cose in tutt’altra maniera, con un ritmo più umano e consono, che mi manca da tanto. Avresti potuto suonare la batteria in questi ultimi anni con la vita che ho fatto io? Io voglio una casa fissa così potrò riavere un pianoforte.

Un bacio,
Margot

5. Khan el-Khalili e Bab Zuela

Sabato 23 febbraio 2008

Ieri con Sara siamo andate ai mercati di Kan Al Khalili (quello turistico) e Bab Zayla (fuori dagli itinerari noti), addentrandoci sempre più nella parte popolare. Ora capisco perché Zamalek è considerata essere la zona bene. Ho comprato delle sciarpe bellissime per 3 euro e un paio di ciabattine rosse fiammanti. Il contatto con questa vita brulicante è bellissimo. E’ inutile che a parole descriva atmosfera e colori.

Purtroppo non riesco nemmeno a fare foto in queste circorstanze. Sento di rompere l’osmosi con le persone, e interromperei lo scorrere delle emozioni sul mio corpo, proiettandomi in una dimensione estranea, risucchiando e annientando la spontaneità dei loro sorrisi, o incanalando forzatamente la direzione dei loro sguardi. So che non posso più fotografare le scene che amo di più. Un po’ mi sono rassegnata a sentirle solo sul momento, sapendo che prima o poi si perderanno nel marasma dei ricordi. Le immagini e la composizione delle situazioni specifice se ne andranno, però so che manterrò il ricordo dell’intensità e della genuinità dell’emozione provata.

Per i bambini, come previsto, eravamo un’attrazione. Provavano le poche frasi in inglese imparate a scuola: welcome, hello, welcome to Egypt, happy new year. Ho sentito un dito che mi toccava la spalla. Volevano sentire se avevamo la loro stessa consistenza?

Una vecchina ottuagenaria ci ha seguita continuando a dire “hello”, e poi toccandoci. Voleva soldi. Gli uomini ci guardavano come esseri strani, ma non erano molesti. In generale sembravano rispettosi; o forse sono timidi. Abbiamo preso del pane in una delle bancarelle sulla strada, quella che ci sembrava più pulita. Per il resto, davvero il peggio della sporcizia...e poi capre, conigli, galline, gatti, cani...L’atmosfera era serena comunque. Abdel l’altro giorno mi ha detto che gli egiziani “are not angry with their lifes”. Stanno bene nella loro situazione, è vero, almeno così sembra. Certo, il loro fatalismo certamente aiuta.


E’ finita la settimana di spaesamento. Ora sta iniziando l’appropriazione di questa città. E piano piano mi staccherò dal mio passato più recente, sfumandone i ricordi e passando definitivamente al capitolo successivo.Mi sento già meglio. La casa e la presenza di Sara certo fanno tanto, e anche aver aperto un conto in banca. Ora sono in quel periodo dove è grande l’impulso a scoprire, e nello stesso tempo ci si sente un po' più a proprio agio, seppur ancora disorientati.



Lunedì 25 febbraio 2008

Lo smog mi uccide. E ho paura dell’acqua del rubinetto. Oggi durante il security briefing il tipo mi ha terrorizzata a suon di “virus that squat in you liver”. Penso a quanto ne risentirà il mio fisico per questo anno qui. Sogno le colline toscane, gli aperitivi all’aperto, le strade di Roma, la possibilità di mettermi un bel vestito, i giri in bicicletta. Quanto è malsana la vita qui. E loro non lo sanno, camminano tranquilli nello smog. E mi chiedono perché mi imbavaglio, e io cerco di fargli capire che quello che respirano è avvelenato, ma loro mi guardano come pazza.
***
Due giorni fa un mio collaga, Mohamed, mi ha chiesto se potesse farmi una domanda.
-
Do you live alone or with your husband? Are you married?
– No, I am not married. Here I live alone, for the moment I am hosted by a friend
– Ah, do you live with a friend?
– Yes, an Italian girl, but I will move soon to live alone.

Solo a quel punto mi ha detto che se mi può far piacere, mi potrebbe accompagnare a visitare la Old Cairo. Io gli dico di sì che mi interesserebbe molto - anche se non sono molto convinta di andare con lui. -
And obviously it’s for free, you can trust me, I do not want anything, you know what I mean...!- ha aggiunto.

Non sono sicura di capire cosa intenda in realtà, ma certo
all’inizio credevo che si interessasse del mio stato civile per fini suoi...in realtà era solo per constatare le precondizioni per invitarmi: credo che se fossi stata sposata non avrebbe mai osato invitarmi! Ha poi voluto sottolineare come non ci fosse nessun interesse sotto.



3. I primi sguardi (intorno a/su di me)

Martedì 19 febbraio 2008

Come osservano, tutti, donne e uomini.

Io non mi castigo, ma pare che qualsiasi centimetro visibile della mia pella sia degno di essere guardato con stupore. Molte saranno paranoie, però di fatto mi portano a controllare ogni minimo mio gesto. Oggi per esempio mentre aspettavo la metro volevo tirarmi su il gambaletto che scendeva, e così facendo ho tirato su anche il jeans scoprendo mezzo polpaccio. Mi sono chiesta se le arabe lo avrebbero mai fatto, se fosse considerato inadeguato, o se semplicemente il solo fatto che a farlo sia un’europea bionda dalla pella così bianca rende quei centimetri di pelle più curiosi.

Le donne nella metro mi guardano tanto. Sicuramente si chiedono perché una “ricca europea” debba, o voglia, mischiarsi a loro. Non solo gli europei che vanno in metro sono pochissimi, quasi inesistenti; ma pare che a prendere la metro siano le persone delle categorie più svantaggiate e conservatrici, per cui la mia distanza da loro è ancora più forte. Ci sono molte donne coperte integralmente con niquab e guanti. Oggi una mi era seduta davanti. Già mi fissava prima che il posto di fronte a lei si liberasse e io andassi a sedermici. Poi non mi ha letteralmente staccato gli occhi di dosso, guardandomi sia il viso sia le mani. Gli uomini guardano un sacco e dicono non so cosa...meglio non saperlo.

Ieri dopo il lavoro ho fatto un giro a Zamalek, il quartiere dove abito, un'isola sul Nilo. E’ pieno di negozietti e sempre pieno di gente. Ovviamente questo casco biondo che mi trovo in testa è qualcosa di davvero fastidioso. Sono tentata di tingermi in capelli di scuro, ma sarebbe un casino poi mantenerli.

Il velo noi lo associamo alla frustrazione o alla negazione della libertà, o della femminilità, ma per me non è affatto così. Sì, di base nasce per quello, ovvero, è il simbolo della limitazione dell’identità sociale della donna, della restrizione della sua libertà di movimento al di fuori delle mura domestiche (come scrive Fatima Mernissi). Ma è anche noto come le società si appropriano di certi costumi facendoli evolvere e generando dinamiche nuove.

Io queste ragazze le vedo presissime dalla loro femminilità, e sensuali e intriganti lo sono davvero. Si sistemano i veli in tanti modi diversi, come se fossero vere e proprie pettinature. Ed esistono una tale varietà di modelli tali da disegnare e creare tutta una gamma di segni e posizionamenti all’interno del loro codice di gusto. E’ bello vedere le diverse combinazioni e i diversi dosaggi tra elementi arabi e occidentali. Si va dalla ragazzina vestita da rapper ma col velo, alla donna in tailleur sempre col velo, a quella compleatamente occidentale, a quella col niquab, a quella vestita in tunica lunga ma con veli tutto pizzi e provocanti. Mi piacerebbe comprarmi un niquab. Può sembrare stupido detto dalla mia posizione, lo so, detto da me, ma mi piace...

Oggi un mio collega mi ha fatto un briefing sui beduini. Mi ha detto come da loro il velo integrale nelle donne non sia da collegarsi tanto, o per lo meno non solo, alla religione quanto soprattutto alle asperità del territorio. Anche gli uomini infatti si coprono testa e volto (soprattutto bocca), e persino in città ne vedo tanti.

Questo pare un tipico caso in cui in quella che pare una manifestazione culturale del tutto “arbitraria” (perché coprire la testa e non i piedi come in Cina??), si riescono a determinarne le radici “relative” a una precisa componente contingente e fattuale. Ovviamente la cultura si deposita e si manifesta per strati, e in questo caso la componente religiosa potrebbe avere formalizzato e arricchito di significato rituale un fenomeno che esisteva già come manifestazione di un’esigenza pratica, in particolare quella di ripararsi dalla sabbia e dal sole.

1. Incipit

L'Egitto - Domenica 6 febbraio 2011

"Cara E., (...)ho passato quest' anno in relativa solitudine, per scelta, per stanchezza nel conoscere nuove persone e per difesa dal dolore di poi doverle lasciare per l'ennesima volta. Ho riflettuto molto. Ho vissuto in una delle città più grandi del mondo, che mi lasciava esausta ogni giorno per il solo fatto di non riuscire a respirare normalmente, data la concentrazione di polveri sottili nell'aria tra le più alte nel pianeta. Ho lottato contro il rumore che annientava il mio sistema nervoso, contro la bruttezza del cemento abusivo, e l'avidità di un'industrializzazione e di un turismo che stanno distruggendo ogni risorsa naturale di questo luogo di magia e storia. Ho accumulato una grande frustrazione, e i miei "sensi" sono stati annientati in parte dalla mancanza di stimoli positivi, e in altra parte anestetizzati da me, per sopravvivere alla bruttezza e allo spreco. Penso al sistema gigante in cui sto lavorando, ai pomeriggi spesi in workshop dove si parla e si riparla di sviluppo, ma non si capisce quello che vuol dire umanità, essere umano, Uomo!(...)" (5 Dicembre 2008)

Questa è la storia di un anno - il 2008 - speso tra ironia e sconforto, stupore e fatica. Ho deciso di condividere queste parole. Non sono che le impressioni di una giovane donna arrivata nel Nordafrica di corsa e in carriera - occidentale, non sposata, e pure bionda... - e tornata con l'impressione di avere completato l'ultima tappa di quella corsa. 

Il lavoro e il confronto con una società divisa tra storia e modernità, tradizione e libertà, corruzione e la corsa verso un agognato sviluppo - per tanti solo verso la ricchezza; il velo, le donne, gli uomini, il sesso, l'amore, i bambini, la maternità, la solitudine, la lontananza, il sole, la storia

Una sottile striscia di Mediterraneo riflette, come uno specchio, Roma e Alessandria - così vicine nell'antichità; l'occidentale e l'orientale: davvero così lontani?

Negli ultimi giorni i media italiani si sono divisi tra gli scandali sessuali di Berlusconi e la rivoluzione in Egitto. Da una parte l'insorgere del popolo egiziano nella presa di coscienza dei propri diritti individuali e sociali; dall'altra parte il risveglio delle donne italiane in una riflessione nuova e quanto mai dovuta sul significato attuale della propria femminilità e delle modalità di confronto e relazione con l'altro sesso. Due temi che risuonano in queste riflessioni, iniziate a scrivere esattamente due anni fa.

Durante quell'anno, il mio sguardo ha progressivamente inziato a sdoppiarsi, tra oriente e occidente, tra nord e sud:

lottando in principio contro la frustrazione della mia femminilità occidentale giudicata, oltraggiata e di fatto, lì, limitata;

scoprendone in seguito una nuova, loro, ancestrale, naturale, a tratti dirompente, e altre volte opprimente, insidiosa, incatenata, lacerante; 

stupendomi di quando questa diventasse contradditoria e caricaturale, là dove voleva scappare alle loro repressioni attingendo all'estetica "gonfiata" occidentale; 

e infine, una volta tornata in Europa, guardando con stupore, se non indignazione, in uno shock culturale al contrario, a quelle che sono i nostri disequilibri interazionali e povertà affettive, in particolare nel rapporto uomo-donna

Copio passo passo il mio diario di quei giorni, mantenendone la confusione e le contraddizioni del sentire.

Nel febbraio 2008, al momento della partenza, avevo da poco compiuto 28 anni.
Margot Bezzi