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1. L'oasi di Siwa

Giovedì 2 ottobre 2008

Sara è la terza volta che torna a Siwa nel giro di un anno e dice che già l’ha vista cambiare molto. 

I ragazzi si perdono nel rombo di motociclette cinesi, mentre poco più di anno fa si girava solo in asino. Ora cominciano ad esserci varie macchine, e la cosa peggiore è che suonano il clacson! La piazza centrale, dove i negozi erano solo un paio, stanno riempendosi di insegne invadenti che rovinano tutta l'atmosfera visiva, enormi e dai colori sgargianti, tipo quelle delle compagnie di telecomunicazioni. Il personale locale – tutto rigorosamente maschile – è gentilissimo. E sono bellissimi!


Venerdì 3 ottobre 2008

Abbiamo passato tutto il giorno con Youssef, un ragazzino di quindici anni, nel suo taxi: un carretto trainato da Al Pacino, il suo asinoAbbiamo visto due templi, più il cosiddetto “Bagno di Cleopatra”. La sera siamo andati a Fatna Island, dove abbiamo visto il tramonto. Palmeti, olivi, silenzio, solo il ragliare degli asini.
I carretti sono portati solo dagli uomini, dai bambini o dalle bambine. Le donne sposate siedono nel carretto, ma devono sempre essere accompagnate, se non da un uomo, per lo meno dai bambini. Si tirano giù il velo del niquab nascondendo anche gli occhi e si ricoprono dalla testa ai piedi con il loro telo tradizionale blu dai ricami sui toni dell’arancione.

Non ho visto alcun viso di donna sopra i diciotto - vent’anni. Da quando si sposano le loro fattezze scompaiono interamente dalla comunità. Il loro viso continua ad esistere solo per le altre donne e per i pochi uomini che compongono il nucleo familiare. Per la strada, si riconoscono tra loro dalle scarpe, o dall’andatura, o dai bambini che le accompagnano.

Dal lieve movimento della loro testa, io e Sara vedevamo che da sotto il velo nero, sedute immobili sul carretto, il loro sguardo ci seguiva.

Sabato 4 ottobre 2008

Quanto sono belli questi bimbi.

Stamattina avevo poco appetito; una svogliatezza nel mangiare che si è poi trasformata in un tappo alla bocca dello stomaco e in una sensazione di sazietà immediata dopo appena due cucchiaiate di zuppa a colazione, che sfiorava la nausea.


5. Te lo dico da donna

Giovedì 25 settembre 2008

Due giorni fa Francesca, una manager del Regional Bureau, mi ha chiesto cosa penso di fare dopo che mi scade il contratto a gennaio, e gli ho spiegato un po’ la situazione. 

Mi ha chiesto se volevo restare col WFP e gli ho detto che in questo momento questa carriera internazionale non coincide con il giusto periodo della vita. Che se avessi iniziato qualche anno fa, non avrei forse avuto dubbi. Ma che se dovessi iniziare adesso, o lo si fa con una persona al proprio fianco, un ragazzo o un marito, oppure se si inizia da sola, poi passa l’età e si resta da sole. E a me non va di fare questa scelta. E lei ha detto che condivideva completamente questa posizione.

"Lascia che ti dica una cosa, da donna - mi ha detto - Che se a una certa età non hai trovato ancora la persona giusta, fallo un figlio, anche da sola. Può essere un atto egoistico, lo so, ma è un’esperienza che you can’t miss it". Me lo ha detto con la dolcezza della consapevolezza.

"Poi tanto…, da sola o no, la verità è che te lo cresceresti comunque da sola. Però devi avere il lavoro, quello sì". 
Le sue parole tutt'ora mi risuonano in testa.


[Si veda anche Vita da cooperante e Una vita a metà]

9. Una seduzione privata

Sabato 28 agosto 2008

L’altro giorno in metro sedevano accanto a me due giovani ragazze, una delle quali completamente velata, in niquab. Entrambe guardavano gli appunti dell’università sul quaderno della ragazza coperta. Come facevamo anche noi a scuola, questa aveva disegnato a penna al lato della pagina dei busti femminili; a differenza di noi, in questo caso si trattava di busti velati: due schizzi di donna in niquab il cui fulcro erano due occhi marcatissimi, intensi, ammalianti, dalle ciglia lunghe e i contorni di kajal.

Credo le donne col niquab si dividano in due gruppi.

Da un lato le donne (spesso di mezza età) dagli abiti sdruciti e trasandati per cui il nascondersi è un atto di silenzio, una rinuncia alla personalità in cambio della possibilità di uscire dalle mura domestiche. Alcune di queste donne sembrano esprimere sulle loro figlie le loro vanità represse. Non è raro vedere donne velate, anche completamente (intendo, con anche gli occhi coperti), con bambine estremamente curate e femminili, persino con mini-gonne o la pancia scoperta. L’altro giorno ho visto una donna, integralmente coperta, con una bimba di massimo un anno e mezzo. A parte gli orecchini, che tutte le bambine appena nate già hanno, aveva una collana e anelli in entrambe le mani, tutto dorato.

Dall’altro lato – e si nota soprattutto nelle ragazze giovani – il nascondersi diventa un gioco alla seduzione, una seduzione di cui forse hanno paura, perché demonizzata. Sicuramente è un modo per gestire una sensualità che la loro cultura non gli dà modo, spazio e codici per esprimere. E quindi reinterpretano la seduzione tramite il codice della sua negazione: il coprirsi. Colgo in quei disegni e nell’intensità ammaliante di quegli sguardi un atto affermativo forte riguardo a questa scelta di coprirsi (per tanti lati scelta indotta, ok...ma questo è un altro discorso). È un gioco ad un’affermazione per negazione.

Alcuna di queste ragazze hanno i tradizionali abiti neri, abayatagliati finemente sui fianchi, che lasciano intuire – certo non vedere – le forme del corpo. Gli abiti sono decorati da ricami argentei o paiettes che seguono le linee principali del corpo; se le mani non sono coperte da guanti sottili, spesso il dito medio è decorato da un cordoncino attaccato alle maniche del vestito, che ne assicura la lunghezza. Gli occhi e le sopracciglia sono spesso sorprendentemente curati e truccati.

Che cosa c’è sotto?

Mi hanno ripetuto spesso che in Arabia Saudita, nonostante non sia imposto dalla legge, la maggior parte delle donne indossa il niquab. Mi hanno anche raccontato di come le si veda arrivare dall’estetista e scoprire da sotto quei veli, corpi e visi curati nei minimi dettagli. Anche gli abiti che portano sotto sono femminili e sexy. Qualche volta assisto a rituali simili in palestra.

Mi rendo conto di come, ancora più forte delle implicazioni e ragioni sociali del velo, sia la sua dimensione intima. Io comincio a capire e sentire questo fascino nel rapporto con l’uomo, col proprio uomo. Un gioco di sensualità e possessività carnale molto forti emanano da questo "implicito" riservarsi solo per il proprio uomo (implicito perché la funzione primaria e condivisa del velo è invece un'altra).

Noi occidentali siamo abituate a vedere solo il lato sottrattivo del velo: sottrazione della libertà, del corpo, della bellezza dei capelli; ma in realtà non percepiamo e non sappiamo nulla del riflesso interiore e intimo di questo artificio, che è come un’espansione, una propagazione interiore della femminilità, profonda e ancestrale (una sensazione che riesco a ricostruire solo pensando al contatto con la mia nonna di giù).

L’uomo arabo, da parte sua, sia sente sia trasmette questa “cosa”, e devo ammettere che mi piace e che mi fa sentire in qualche modo valorizzata. Oddio, non posso davvero immaginarmi dire questo ma è così - pur consapevole di tutti i meccanismi sociologici ecc. ecc...sento questa cosa! Con lui sento così. Anche se non metto il velo - perché non posso, non voglio e nessuno se lo aspetta, sarei ridicola - ho capito che fa parte anche di un gioco a due.

E comunque. Mai nessuno prima di lui è stato capace di farmi sentire così serenamente fragile. C'è una forza, una sicurezza e una naturalezza nel suo prendersi cura di me che gli altri non hanno, non così. Come se la maggior parte dei ragazzi occidentali abbia perso la capacità e il piacere di proteggere una donna.

[Si vedano anche i post Il velo: decenza o intrigo?, Matrimonio pre-romantico e oltre, Donne e bambini e Incipit]

6. Una bambina in metro

Domenica 17 agosto 2008 

Ero davanti alla porta della metro, al centro, aspettando di uscire.

Alla mia destra una bimba di massimo sei anni. Dalla parte opposta la madre, dall’età indefinibile, certo giovane, ma sciupata e pesante. Era coperta alla maniera della gente più povera, col velo lungo e intero, ma aperto in viso. Portava una busta grande, piena di un misto indefinibile di sacchetti e pezzi di stoffa.

Come sempre all’avvicinarsi della fermata Al Taharir, le donne si accalcano verso la porta e iniziano a spingere, preparandosi a quella che è una vera e propria “espulsione”, dove a volte i piedi nemmeno riescono a toccare terra. Quando le porte si aprono, le donne in attesa di salire vengono avanti senza aspettare che le altre scendano e io ogni volta ringrazio di riuscire ad arrivare al suolo con entrambe le ciabatte ai piedi, e soprattutto di non cadere con un piede nel largo varco che separa il vagone dalla banchina.

La donna mi guardava. Io distoglievo lo sguardo, imbarazzata dal mio benessere. Il treno già rallenta e la bimba vacilla vistosamente, mentre la donna le dice qualcosa che ovviamente non capisco.

Allungo un braccio istintivamente verso la sua spalla per sostenerla. Non la afferro, solo pongo una mano come contrappeso nel caso avesse perso l’equilibrio. Al mio contatto, si gira e mi guarda. La mia mano è ancora lì, non glie la sto porgendo, ma lei, come se fosse la cosa più naturale, la afferra, e poi torna a voltare, tranquilla, lo sguardo verso la porta. La madre – occupata con due mani a sollevare il borsone, mi ricambia con un sorriso riconoscente ma altrettanto naturale - forse compiaciuto di vedere una ricca occidentale aiutare la sua bambina.

Le porte si aprono, la madre riesce a sgattaiolare subito fuori trovandosi a un’estremità della porta. Io sono al centro, e ho tra le mani questa stretta confidente. La tengo stretta e poi quasi sollevandola da sotto le braccia la aiuto a oltrepassare quel varco, non senza esitazione data la spinta contraria della massa entrante.

Dopo il salto la lascio. La madre mi stava sorridendo tranquilla. Ho ricambiato il sorriso con affetto, salutato, e sono andata via. Non so se glie l’avesse detto la madre di prendermi la mano sperando facessi loro la carità per il Ramadan; non è detto… di fatto nella carrozza delle donne è naturale suddividersi e farsi carico di queste mansioni coi bambini. Non potevo saperlo, ma mentre mi allontanavo con ancora il calore di quella stretta, nel vuoto che sto vivendo, ho sentito come se l’avessero fatta a me la carità. 

[Si veda anche il post Donne e bambini]

5. Se è l'uomo a far le spese della tradizione

Giovedì 14 agosto 2008

Oggi il mio collega Khaled si è confidato con me dicendomi che sua moglie non ce la fa più a stare al Cairo e vuole tornare ad Alessandria, di cui entrambi sono originari. 

Sono quattro anni che lui è al Cairo perché con UN ha un ottimo lavoro, e non lo può lasciare perché all’università prenderebbe un decimo di quello che prende ora.

Lei semplicemente ha detto che qui non respira, non riesce ad integrarsi e si sente sola. Lui ha cercato di presentarle persone, di spingerla ad uscire e fare varie attività, a lavorare. Ma niente. Lei non ha nemmeno provato. Semplicemente l’ha messo davanti a una scelta.

“Tre ore di treno tutti i giorni, all’andata e al ritorno. Dovrò svegliarmi alle cinque tutti i giorni e sarò a casa alle 10 di sera. Non avrò nemmeno voglia di mangiare, mi trasformerò in un ombra. E lei sarà da sola ugualmente, perché io di fatto non ci sarò per tutto il giorno, tornerò a casa e sarò morto. Fino a che non esploderò. Ma voglio spingermi fino al mio limite più estremo”.

“Ma come può farti questo Khaled?”. Come può una donna fare questo alla persona che ama? Come possono esistere donne così, che non si sforzano, che non riescono ad affrontare i problemi, che si adagiano e pensano che tutto sia loro dovuto? E uomini come Khaled che si sacrificano a questo punto, annullandosi. 

“Come puoi accettare una cosa simile?” - “Non ho scelta. Amo la mia famiglia. Lo sai come sono le donne egiziane. Spoiled. Non sono ‘fighters’. Non si sforzano. Sono abituate a lasciare ogni responsabilità al marito. Tutto ciò che si svolge fuori dalla casa, è lasciato al marito. Lei non ne vuole sapere nulla. Persino gli scontrini di quello che compra mi dà, perché qualsiasi problema ci sia non ne vuole sapere nulla. Queste donne non sono state cresciute per sapersi prendere delle responsabilità. Lo so, fa parte della nostra cultura, ma queste sono le conseguenze”.

L’ingresso ai luoghi della socialità deve essere completamente controllato dall’uomo. Questo è quello su cui si fonda la società islamica.

Ora ai giorni nostri, quando tradizione e progresso ancora stanno cercando il loro equilibrio, e le vecchie e le nuove abitudini convivono non senza contrasti, queste sono le contraddizioni che ricadono su persone progressiste e di buon cuore come Khaled. La donna in questo caso attinge a suo piacere, e a seconda della convenienza, sia dalla tradizione “segregatrice” (per quanto riguarda le beghe quotidiane) che dalle “moderne” possibilità di emancipazione.   

4. Matrimonio pre-romantico e oltre

Mercoledì 13 agosto 2008

Nelle società tradizionali o arcaiche, il rapporto uomo-donna si basa più sul ruolo sociale che sull’amore per l’individuo. Nella società musulmana tradizionale in particolare, il rapporto uomo-donna e il matrimonio di fatto coincidono, non dandosi possibilità di interazione tra uomo e donna al di là di relazioni e ruoli familiari.

Per quanto riguarda le classi più basse quindi, qui le persone cercano una buona moglie o un bravo marito piuttosto che un compagno di vita con cui capirsi profondamente e da amare. La coppia è quella tradizionale basata sulla reciproca sussistenza.

Dato questo aspetto funzionale, è logico che il ruolo della seduzione è del tutto secondario nelle fasce sociali più povere. Le donne, da brave madri e mogli, non curano più di tanto il loro aspetto, e non credo dipenda solo dalla povertà. Vi è infatti una sciatteria in alcune donne (veli strappati e non ricuciti, o esageratamente sporchi) che non c’entra necessariamente con l’essere poveri.

Anche da noi era così in una certa misura, sia per i matrimoni “funzionali”, sia per la mancanza di seduzione. Ma quello che cambia qui, è forse la posizione dell’uomo rispetto a questo.

Da noi l’apprezzamento degli uomini per le belle donne è sempre stato affermato e rivendicato, senza particolari sensi di colpa e nonostante i tabù cattolici che pur permanevano e il senso di "peccato" da questi generato. A parte nel medioevo, la seduzione femminile non è stata più associata fortemente a qualcosa di pericoloso e diabolico.

Qui invece, la donna, soprattutto se bella, è vista come un pericolo da rifuggire perché allontana da Dio [si veda ad esempio il post In moschea]. E quindi, se la propria moglie è brutta o bella, pare valere poco. Almeno in teoria. 
Nella pratica rinnegare l’attrazione fisica vuol dire creare una frustrazione di fondo nella società che ha mille ripercussioni – una delle quali è rendere la vita impossibile alle ragazze giovani che camminano da sole per strada…

Parlando invece di sessoDi fatto la classe bassa soffre di una repressione sessuale maschile fortissima, che crea tra gli uomini non sposati fenomeni come il sesso con animali e tra uomini, oltre alla già citata altissima frustrazione, nota anticamera di tensioni sociale. Per quanto riguarda invece le donne, oggi ho scoperto che circa il 90% delle egiziane ha subìto una mutilazione genitale di qualche tipoe che nella maggior parte dei casi questa pratica ancestrale (originaria del corno d’Africa e che non ha nulla a che veder con l’Islam) è promossa proprio dalle stesse donne, che ne hanno introiettato il valore.

Nonostante tutto questo, ed escludendo gli strati più umili e meno istruiti della popolazione come quelli descritti sopra 
 (che costituiscono direi più del 90% della popolazione), parlando con le persone, osservando e per mia esperienza diretta, resto con la sensazione che qui - negli strati medio-alti e là dove il rapporto uomo-donna funzioni - il sesso abbia caratteristiche più genuine e naturali che da noi (non saprei motivare di più, non ho abbastanza elementi a parte la mia esperienza e cerchia ristretta di conoscenze). Molti uomini occidentali mi sa che son cresciuti con troppi film porno.

Prima di tutto il fattore religioso inquadra il sesso nella prospettiva della procreazione, che è il modo in cui il buon credente partecipa al progetto divino. In secondo luogo, procreazione o meno, l'islam non è impregnato di quell’idea di peccato tipica cristiana, che inconsciamente ricopre l’atto sessuale di un carattere provocatorio e trasgressivo. Non è da tralasciare che Maometto è il primo ad affrontare l'argomento sessuale in maniera naturale (spiegando addirittura come soddisfare una donna degnamente)! Il potere dirompente e disturbante dell'attrazione per la donna è da loro demonizzano, è vero, ma non per questo si trasforma nel concetto di peccato sessuale così come si è radicato nella società occidentale.

Restano osservazioni da approfondire, ma per queste ragioni mi pare abbiano una maniera in un certo senso più naturale di intendere o vivere il sesso, ovviamente all’interno del matrimonio - (cosa che comunque non ha nulla a che vedere col grado di soddisfazione finale della coppia...).

[Si veda anche Coppie egiziane e, per un altro punto di vista sulla seduzione, Il gusto di una seduzione privata]

3. Un velo non è per sempre

Martedì 12 agosto

Ghada è una mia collega, ha 24 anni e non si copre la testa. Domenica le ho fatto mille domande sul velo e ho scoperto dinamiche che proprio non mi aspettavo.

Da occidentalo, ho sempre pensato all’assunzione del velo come un processo in bianco e nero, ovvero, o bianco o nero: o lo si porta, lo si accetta e ci si crede, oppure no. O lo si comincia a indossare durante la pubertà, per tenerlo tutta la vita, oppure probabilmente si fa parte di una cerchia di persone la cui mentalità non lo riconosce come un elemento di valore.

E invece non è così! Almeno in Egitto, è un processo mutevole che ha a che vedere in certi casi con le fasi della vita, più che con una scelta ideologica di base!

Mi ha parlato di sua madre, che se lo è messo da un paio d’anni dopo essere stata alla Mecca, perché “a una certa età le donne cominciano a vestire in maniera conservatrice; lei ha 50 anni e in più dato che aveva fatto il pellegrinaggio, ha còlto l’occasione - perché di solito così si usa dopo essere stati alla Mecca”.

“Tra le ragazze giovani semplicemente c’è chi non si sente di prendere questo tipo di impegno in giovane età, ovvero di rinunciare alla propria bellezza, alla possibilità di vestirsi come gli pare da giovani” – e qui si potrebbe aprire una discussione infinita sulla contraddizione intrinseca di una tale posizione, essendo il velo un segno di discrezione nonché un modo della donna di affermare la propria distanza dalla vanità o dell’estetica fine a se stessa, di rivendicare un ruolo che va oltre quello di mero oggetto sessuale…

“C’era una mia amica – continua Ghada – una di quelle completamente convinte dell’inutilità del velo, di quelle che non se lo metteranno mai, che per loro non ha nulla a che vedere con l’essere un buon musulmano, ma solo con una limitazione della propria libertà… Beh, lei usciva con un ragazzo. Quando lei gli ha detto con tanta determinazione come la pensava sul velo, e come mai e poi mai se lo sarebbe messo, lui è rimasto completamente schockato!”

“Ma come, se già uscivano insieme e lei non era velata...di cosa si è stupito? Non era implicito che lei la pensasse così se non era coperta?” – ho chiesto.

“E invece no, non era scontato! Il fatto è che molti ragazzi vedono il fatto di essere scoperte come una cosa di gioventù che poi passerà; e comunque pensano che una volta che una donna cresce e si impegni con loro, se lo metta”.

***

Ora ricordo, quando eravamo a cena e parlavamo del velo. Io lo so com’è lui. Ha detto che per le donne il velo è una tradizione, e infine, “Il velo per me è ok”.  Lui è uno di quelli che vuole fare il buono e il cattivo tempo con le straniere, ma la sua donna deve essere vergine e velata.

11. Il velo: decenza o intrigo?

Mercoledì 30 luglio

Primo classificato in molestie sessuali

Questa sera sono andata a cena con Nada e due sue amiche al Sequoia, un locale abbastanza in vista proprio sulla punta meridionale dell’isola di Zamalek.

May, l’amica di Nada, è egiziana, ha 45 anni, è cresciuta nel Regno Unito e ora lavora in una ONG. Abbiamo parlato a lungo di cosa vuol dire vivere da donna al Cairo, e mi ha spiegato come al momento l’Egitto non abbia eguali nel mondo arabo in materia di sexual harrassment.

Comparati con l’Egitto infatti: il Maghreb è molto più libero sessualmente e vi è quindi meno frustrazione; nel Golfo - fermo restando l’adeguarsi alle loro regole - sono più abituati a trattare con gli stranieri per scopi commerciali e ne interpretano meglio i comportamenti. Come ha detto May, “capiscono, ad esempio, che essere non-vergini non coincide con la disponibilità immediata, né col poter/voler far sesso con qualunque uomo: insomma sanno che anche le donne amano scegliere con chi avere una storia, indipendentemente da se sono vergini o no!", (e ancora mi torna in mente la scena di Persepolis, dove la nonna racconta come gli uomini si relazionino alle donne divorziate)! Infine, in Libano e Syria sono più conservatori, ma lo stesso non succede come qua.

Questa triste primato egiziano è legato alla progressiva crescita della fascia di popolazione maschile “frustrata”, e questo dipende da varie dinamiche sociali:

- Il miglioramento delle condizioni di vita assieme alla sopravvivenza di modelli familiari di tipo tradizionale continuano ad alimentare il boom demografico, facendo sì che i giovani costituiscano più della metà della popolazione.

- L’età del matrimonio si è progressivamente spostata in avanti, un po’ perché più giovani hanno accesso agli studi, un po’ perché col recente peggiorare della situazione economica ci vuole sempre più tempo per mettere da parte i soldi necessari a sposarsi. Va da sé che per chi fa parte della classe medio-bassa ci sono ben poche possibilità di entrare in contatto con una donna al di fuori del matrimonio. L’amico di Sara che mi ha aiutato a trovare casa ha 31 anni, e mi ha detto che è vergine, e io a vederlo ci credo.

Il velo integrale: decenza o intrigo?

Il problema ha assunto una portata importante ed è già elemento di dibattito in alcune arene politiche (questo mi solleva, perché vuol dire che non sono io a esagerare e a non saperlo gestire!). Inoltre, lungi dal riguardare solo le donne straniere, colpisce sempre di più anche le donne egiziane velate, e persino quelle col niquab, ovvero coperte completamente.

A proposito di questo, il nostro security officer, Amir, ci ha raccontato un aneddoto molto eloquente. Un uomo – portato alla polizia per aver molestato una donna coperta – avrebbe detto: “era tutta coperta…chissà cosa c’è sotto!”. Una tale affermazione è interessante, in quanto disconosce di fatto il sistema di valori della cultura islamica!

Il ruolo e l’effetto del coprirsi o del nascondersi è molto diverso tra mondo occidentale e orientale.

"Hot!"
Il commento di un mio amico (italiano) quando ho pubblicato su facebook questo primo piano di tre donne, in cui si scorgono solo gli occhi sotto i niquab, è stato:hot!”. In una società come la nostra dove tutte le frontiere del corpo sono state socialmente abbattute e tutto è posto alla portata di tutti, se pure l’occhio dell’uomo occidentale è abituato a cercare la carne nuda, apparentemente non rimane indifferente al suo contrario e resta intrigato da ciò che è troppo nascosto: ciò che non si vede resta uno stimolo per la curiosità.

Nella società araba tradizionale invece il coprirsi non è una scelta bensì una condizione imprescindibile per la donna, e a differenza della società occidentale, non vi corrisponde alternativa. Anche il concetto di pudore di conseguenza è diverso. In occidente il pudore si oppone alla volgarità, mentre qui resta un concetto molto più neutro, che corrisponde piuttosto a un’affermazione di modestia e discrezione, e non ha necessariamente a che vedere con la repressione. Non avverto in questa cultura il concetto di volgarità, o se lo vedo, è sempre derivato da un’estetica importata dall’occidente.

Le sostenitrici del velo fanno coincidere il coprirsi con l’affermazione della propria esistenza di donna al di là della dimensione sessuale: portare il velo vuol dire mostrarsi prima di tutto come donna e persona, invece di oggetto di attrazione sessuale.

Con questo non voglio né negare l’esistenza di un’ingente pressione sociale a favore del velo, esercitata sia dalle donne che dagli uomini; né il fatto che le donne a sostegno del velo abbiano semplicemente introiettano il sistema di valori dominante; né l’esistenza di una grande ipocrisia in questo ambito. 


Noto solo come in un paese dove mettere in mostra le proprie carni non ha mai fatto parte delle opzioni, la scelta di mantenersi fedeli alle proprie tradizioni e il distacco dall’estetica occidentale non è vissuta dalle donne necessariamente come una privazione, ma al contrario come un’affermazione della propria identità, di donna, e di donna araba.

Escluso quindi l’elemento di “repressione” (L'Egitto non è una società estremista) e tralasciando la mia opinione personale a riguardo, ma mettendomi nei loro panni, perché le donne arabe dovrebbero smettere di portare il velo? Siamo noi donne occidentali forse più rispettate perché non lo portiamo? 


Inoltre, lungi dal limitare l’espressività, il velo è un codice vestimentario come un altro, declinato in mille modi, anche sensuali (e qui si aprirebbe un dibattito complicatissimo sulle contaminazioni occidentali e le differenti maniere di indossare e interpretare il velo...). 


[Si veda anche il post Il gusto di una seduzione di privata]

L’uomo arabo tra oriente e occidente

Ma tornando all'uomo interrogato dalla polizia; affinché un codice, in questo caso il velo, possa generare senso, deve corrispondervi la capacità dell’uomo arabo di interpretarla: in presenza del velo l’uomo d’onore non solo rispetterà, ma proteggerà la donna che aderisca a questo sistema valoriale.

Quello che sta succedendo ora invece, nell’incontro tra culture e nel mischiarsi delle estetiche e dei codici tra oriente e occidente, è che l’uomo arabo è esposto all’estetica e ai codici occidentali; e quindi mentre i codici occidentale e orientale convivono e si sovrappongono, la reciprocità interpretativa non è più scontata e si crea uno scollamento tra il valore tradizionalmente associato a un certo tipo di comportamento (comprese le scelte di abbigliamento) e la loro interpretazione, soprattutto dallo sguardo maschile.

All’interno della stessa cultura araba si è creata una contraddizione valoriale che fa sì che l’uomo arabo vada a importunare la donna in burqua, quella che dovrebbe rispettare, quella "decent" - per dirla come loro sullo stile vestimentario più tradizionale! Questo mi sembra sintomo di una grande confusione simbolico-culturale, in cui versa l'uomo arabo attualmente, stretto tra la volontà di onorare la propria cultura e tradizioni, e l'avanzare della società dell'immagine occidentale, con la sua particolare estetica del corpo femminile.

Dall'altro lato, una donna si copre per conformarsi a certi modelli morali dettati dalla società tradizionale, ma finisce, per lo stesso fatto di coprirsi, per destare esattamente quei desideri che si proponeva di escludere! Così di fatto le donne arabe in Egitto sono private della capacità di padroneggiare i codici della loro stessa civiltà.

Il risultato di tutto ciò è che è impossibile girare per le strade del Cairo per la stizza che ti assale per gli innumerevoli rompipalle. Non che ci sia un reale rischio di essere assalite o violentate - nulla di più impossibile! E’ solo che è psicologicamente talmente profondamente umiliante, talmente la propria femminilità è schiacciata e strumentalizzata che piuttosto che tornare a casa con quella sensazione d’intrinseca sopraffazione e sporcizia, preferisco a volte rimanere in casa. Io sì vorrei potermi nascondere dentro un burqua!

Per concludere, è certo evidente che se una donna ha bisogno di coprirsi (ovvero limitare la libera espressione della naturalezza del proprio corpo) per poter essere considerata come una persona prima di un oggetto di desiderio, qualcuno nella società le sta negando la libertà…di semplicemente esistere! Ma in occidente abbiamo dimostrato di essere così tanto più brave a gestire la nostra “libertà”? E si può considerare tale quando anche questa è fondata sull’estetica ideale maschile?

10. Donne e bambini

Mercoledì 4 giugno 2008

Credo che una delle più belle esperienze che quest’ anno mi sta regalando sia la metro e suoi i vagoni femminili. Uno spaccato della vita private delle donne tra le donne, al di fuori del loro ruolo di mogli e dell’immagine di fronte al mondo maschile.

La metro è piena di bambini piccolissimi, tutti portati in braccio avvolti in un panno - dato che i marsupi e le carrozzine paiono non esistere.

Ogni tanto una donna si alza il velo scoprendo un bambino attaccato al seno. Ieri ce n’era uno che avrà avuto sui due anni. Se ne è stato pacifico sotto il velo a poppare facendo spuntare solo una mano, con cui cercava e toccava la mamma, o giocava con le donne lì intorno.

Scopro una dolcezza ancestrale e sconosciuta di queste madri coi loro bambini. Queste donne giocano e se li stringono come non ho mai visto fare in Europa, ora. Forse le nostre nonne sì, facevano così, e mi viene in mente la voce cristallina di mia nonna mentre cantava le filastrocche e faceva saltellare qualche nipote sulle ginocchia. Ma è come se per la prima volta vedessi una madre, oppure un modo di essere madre che non avevo mai conosciuto prima. 

Donne che sono una cosa sola coi loro bambini, che giocano con loro e ridono come bambini, che sembrano bambine anche loro, e sorelle delle loro figlie più grandi.

Se nella metro non c’è posto e una donna deve restare in piedi, oppure ha troppi figli da badare, le donne si passano, si scambiano e si tengono i bambini. Con molta probabilità, il bambino comincia a passare di ginocchia in ginocchia, tra le mani di lunghe file di donne in niquab. Mi chiedo cosa pensino i bambini di queste maschere nere, tutte uguali e irriconoscibili.

Donne e bambini sembrano condividere tutto, ritmi, spazi e, per quanto riguarda i bambini più grandi, anche responsabilità. I ragazzi più grandi, fino ai 10-12 anni, seguono la madre nel vagone delle donne, badano i fratelli più piccoli e portano le borse e pesi. Oggi ho visto un ragazzino sui dieci anni salire con la madre e portare un sacco grande in testa come fanno le donne - anni luce dai bambini arroganti e capricciosi con le scarpe Nike che vedo in Italia.

Mi rendo conto di quello che è stata la vita delle donne per millenni, prima che le contraddizioni di questa nostra società occidentale ci portassero a rincorrere modelli di felicità inconsistenti, che in realtà, quanto più ti trascinano lontano dalla naturalezza della vita, tanto più ti rendono impossibile essere felice. 

In questo contesto, d’un tratto mi si illumina un testo letto all’università per il modulo di storia sociale, nell’esame di storia moderna. Un tale storico del ‘500 di cui non ricordo il nome si esprimeva sul ruolo della donna e dell’uomo e sulle relative intelligenze. Senza entrare nel merito delle idee discriminatorie espresse, mi colpì che uno degli argomenti apportati per dimostrare l’inferiorità naturale della donna era proprio l’assimilazione di questa coi bambini - intesi questi come esseri umani in stato pre-logico: dalle fattezze fisiche (senza peli, senza forza), alle dinamiche emotive, ai ritmi di vita, tra donne e bambini non vi era soluzione di continuità, vivendo in piena simbiosi e identificazione reciproca.

Di vero c’è solo che in società tradizionali (dove la ripartizione dei ruoli è fissa e rigida nonché a scapito dell’indipendenza femminile) e in più basate sul concetto di “segregazione sessuale” (ovvero dove un rapporto diretto tra uomo e donna può esistere solo all’interno di ruoli familiari codificati – fratello, padre, marito, zio… - si leggano a questo proposito i lavori della sociologa Fatema Mernissi), le donne non hanno altro che i loro bambini come vero contatto emotivo e d'amore. E conoscendo come si basano qui i rapporti di coppia nelle classi medio-basse, so che di fatto è così. Tuttavia questa naturalezza affettiva che da noi non ho mai visto, e mi strega.

Mi chiedo anche, di fatto, cosa abbiamo guadagnato io e le mie amiche; a quasi trent'anni ancora a barcamenarci tra una carriera che non decolla a causa del precariatola consapevolezza che comunque potremmo perderla in un attimo se incinte, e bloccate tra coetanei a cui la prospettiva di avere figli non sfiora nemmeno l'anticamera del cervello. 

Dall'altra parte ci sono poi le donne che hanno represso l'istinto di maternità - perso non si sa in quale fase della nostra educazione - marginalizzato come se fosse il retaggio di una società antiquata. Queste donne ora mi fanno paura, carrieriste e denaturalizzate; perché vi è una bella differenza tra l'entrare in contatto con la natura della propria femminilità, e il pensare che il desiderio di un figlio sia solo il bisogno "indotto" di un mondo antiquato

O ancora, è forse sana una società che risponde alla frustrazione femminile con l'attenuante che "tanto ora i figli si cominciano a fare a 40 anni" - magari con compagni di ormai 50 anni che nel frattempo forse sono maturati - là dove di fatto non lascia altra scelta? Io non lo vedo tutto questo tempo, e  non siamo giovani per sempre come ci vogliono fare credere. E poi non è solo perché una cosa è possibile che è desiderabile o giusta. Tutto ciò è perversoNoi occidentali in questo siamo diventati perversi.

***

C’è una donna, giovane, che vedo spesso la mattina in metro. Non è velata e spesso porta maniche corte. Dall’abbigliamento e la pettinatura mi sembra essere cristiana copta. Non ci salutiamo, ma ci facciamo cenno e sorridiamo.

Ero in piedi davanti a lei e le davo la schiena. Lei da dietro mi ha messo a posto la maglia, che forse era andata un po’ in su.

Lo stesso mi è capitato nel bagno pubblico di un centro commerciale. Ero appena uscita dal bagno e davanti allo specchio mi lavavo le mani. Non mi ero tirata giù bene la maglia, e la donna delle pulizie mi si è avvicinata e me l’ha sistemata.

Queste donne, quelle di classe più bassa, accudiscono, curano, esprimono la premura e solidarietà in ogni gesto verso le altre donne, verso i bambini degli altri e verso il mondo intero.

Martedì 17 giugno 2008

Oggi ho visto una donna, tutta coperta col niquab, coi suoi tre bambini maschi.

I primi due avranno avuto rispettivamente cinque e sette anni, mentre il terzo era piccolo, di un anno e mezzo. Lei e i due bambini più grande si passavano il più piccolo in continuazione: ho visto il fratello di 5-6 anni tenere in braccio questo pupazzetto e poi passarlo al fratello più grande che lo sballottava e gli dava i baci.



























La madre era tranquilla e li lasciava fare. Io avevo paura che gli cadesse e mi stupivo sia della tranquillità della madre, sia dell’affetto e della responsabilità degli altri due fratelli, entrambi maschi tra l’altro. Una scena così io non l’ho mai vista in Europa, dove i bambini sono spesso egoisti, dispettosi e viziati. Io vedo un amore e un affetto tra queste persone che non ho mai visto; così semplice e autentico che mi commuove.

In generale, mi sono più volte sorpresa a guardare le dimostrazioni di affetto tra bambini e fratelli, o le premure e i giochi degli uomini (a partire dagli adolescenti) verso bambini e bambine piccoli.

10. Coppie egiziane

Martedì 15 aprile 2008

Passeggiano sulle rive del loro Nilo o lungo la balaustra dei suoi ponti. Mi è capitato più volte di vedere coppie mature, come di 45, 50 anni, di classe medio-bassa (lo riconosco dall'abbigliamento), tenersi per mano per strada. 


Gli uomini hanno verso le loro donne una tenerezza e una premura particolari, un rispetto e un senso di protezione molto dolci. Lo hanno per esempio anche i miei bauab nei miei riguardi (certo, sempre che non inizio a fare salire qualche giovine...). Al di là e indipendentemente dalle mance che gli do, dimostrano un'attenzione particolare; e la stessa però che poi mi soffoca sotto forma di controllo.  


Sempre tenendo presente che si parla di una società dall’organizzazione familiare tradizionale e quindi basata sul controllo, soprattutto economico, dell'uomo sulla donna, ed escludendo le coppie dove la prevaricazione sfoci in violenza, sono sempre più convinta che che quella che noi chiamiamo sottomissione qui non ha nulla a che vedere con il concetto che abbiamo noi. La sottomissione dei latini è automaticamente violenta e carnale, e indissolubile dalla passione e dal sesso. Non so spiegarlo meglio di così. È sempre questa dimensione della sensualità, che qui manca...

[Per un punto di vista ancora  differente si veda Matrimonio pre-romantico e oltre]

Sabato 26 aprile 2008

Dr Adam e Sam sono una coppia di vecchietti sugli 80 anni. Appartengono all’élite egiziana. Sono due dottori. Lui ha lavorato per anni alla FAO, e lei faceva la pediatra. Devono essere stati entrambi molto belli.

Lui è ancora attivo e scattante, veloce di mente, colto e intelligente; premurosissimo verso la moglie che fa molta fatica a camminare e ha bisogno di essere assistita. Un uomo abituato a tenere sotto controllo la situazione, e a pensare per tutti. Musulmani, ci raccontavano come loro figlio stia imponendo alla loro nipote quasi adolescente di non mettersi il velo, nonostante le pressioni sociali a cui lei è soggetta.

Ci raccontano le storie degli anni ’60, gli incontri con gli artisti, coi politici, gli avvenimenti che hanno segnato la storia dell’ Egitto, tutto tramite esperienze dirette, loro o dei loro genitori. Ci raccontano di vecchie carte, di una dedica scritta nel giorno della nascita di Adam da non so quale personalità, e rimasta nascosta per anni nelle carte del padre, e ritrovata solo dopo la sua morte.

Ci porta a fare un giro per Heliopolis - la città del sole - un quartiere costruito negli anni ’20 dal barone belga Édouard Empain. Ci racconta la storia del locale storico dove ci fermiamo a prendere il caffè. Solo l'occhio di un europeo può riuscire qui a spogliare la decadenza e immaginare l'antica eleganza che vi sta dietro. 

Mi chiedo che ci faccio in un sabato pomeriggio al Cairo diretta verso un centro commerciale con questa coppia di ottantenni appena conosciuti. E mi sento perfettametne a mio agio.

Sento un’umanità semplice e profonda, e capisco che questa non ha età. Sento la vita e la cultura scorrere nelle parole di questa coppia di belli. E sento un’amore semplice e ancora ben vivo tra loro. Sembrano in realtà un po’ fratello e sorella, ma forse è perché sembrano un po’ la stessa persona 

7. Vita da cooperante

2 aprile 2008
Sono stanchissima. Basta, mi sono stancata di questo girare, questo cambiare lavoro, questo ricoprire ruoli e posizioni di passaggio, perché poi anche gli altri ti sentono come di passaggio e non ti considerano una risorsa.

Non riesco ad appassionarmi a questo lavoro. Cerco di concentrarmi, mi sforzo di recuperare lo stato mentale di quando studiavo, la stessa profondità analitica e la motivazione intellettuale, ma non ci riesco. E questo è emblematico, perché invece faccio un lavoro bellissimo.

È una mancanza di motivazione che probabilmente viene dal fatto che questa volta, per la prima volta, la sento come un’esperienza fine a sé stessa. Dentro di me è come se avessi maturato parallelamente la convinzione e che la vita del cooperante internazionale non fa per me, e che è in Europa che voglio costruire la mia vita.

È un’evidenza che ho raggiunto solo recentemente, per tutta una serie di motivi. E questo mi rende molto difficile impegnarmi come facevo invece nelle esperienze precedenti, quando percepivo ogni nuova avventura come un possibile trampolino di lancio o una porta verso un affascinante ignoto futuro.

Non posso fare la cooperante perché questa vita può essere intrapresa da una donna della mia età solo se ha qualcuno accanto, o profondamente vicino anche se a distanza. Se no semplicemente si tratta di una vita che sciupa, sdrena, strema e che ti butta via.

Solo chi ha la famiglia o l’uomo che la segue riesce ad affrontare certe cose con serenità e a ricaricarsi, come fa Lara, che mi dice che la cosa più importante per lei è la sua famiglia. E la capisco, perché ha una famiglia bellissima.

Tuttavia ieri, ad En Sokhna, al mare, Nick ha riassunto la questione con un “WFP life is not done for families”. Famiglie infelici, coppie sfaldate, bambini irrequieti, distanze. Anche questo è vero. Al mare abbiamo anche incontrato Diana ed Egidio. Anche lei è esausta di questa vita, tanto più che le attuali politiche UN, di rotazione ogni quattro anni, non ti lasciano proprio un attimo di respiro. Per i giovani poi, ovviamente, c’è l’ulteriore aggravante dei contratti precari.  

[Ho preso anche un po’ di sole. Eravamo stese in bikini io e Liliana. Passa un bambino arabo e ci grida “sharmuta, sharmuta, sharmuta”. “Puttana, puttana, puttana”.]


Un altro motivo è che bisogna avere un altro tipo di approccio. Meno sentimentale-emotivo del mio, e più semplicemente operativo. Non dico che bisogna crederci meno, o essere più cinici. Semplicemente, forse, essere un po’ meno riflessivi. Io a fare questa vita certe volte sto male, e sto male pure per gli altri. Non riesco ad accettare certe cose, non riesco a guardare questi bambini, non riesco a lasciarmeli dietro quando chiudo la porta di casa; e non riesco a credere in questa battaglia stando da sola.
 
A volte mi guardo intorno e mi domando come sono. E non ci credo più. Non è il lavoro, non è più il lavoro…non è il lavoro più o meno bello che cambierà o che mi renderà felice, perché le mancanze che ho riposano su un altro piano. Ho capito che il tempo è finito per buttare tutto sul lavoro. E poi mi sento una mancanza affettiva enorme…non so come farei a colmare questo vuoto se non ci fossero le mie amiche ora. O forse ora che ho raggiunto questa tranquillità riuscirò di nuovo ad amare. Ma nessuno mi attira abbastanza.

Voglio seguire me stessa, ritrovare la capacità di ascoltare le mie emozioni, perché per tanti anni ho staccato la spina e ora non ricordo più da che parte vada attaccata, e non so più come fare ad entrarci in contatto. 

[Si veda anche il post Una vita a metà e Molteplici vite]