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3. Storie di egiziana amministrazione

Il muffin
Bar di una delle palestre più in del Cairo. Si tratta di un Costa cafè, una nota catena fondata da italiani e di rinomata qualità - a parte eccezioni... 

Ho un’ora di tempo prima di andare dal fisioterapista. Ho appena fatto due ore di allenamento e sono fiera di me, ma non posso aspettare così tanto. La voragine si impone. Ok, prendo un succo di fragola; no, ho proprio fame; ok, mi concedo un dolce. Uhm, c’è rimasto poco. Due muffin giganti (li visualizzo come due noci di burro giganti), un croissant salato, e due confezioni con 4 mini-muffin l’uno. Riescono a passare il test delle calorie, molto blando dato il mio stato. 

Seduta al tavolino, addento il mio primo muffin. CRACK. Non dovrebbe fare questo suono. Ci rimetto per poco un dente e la gengiva è compromessa. Non dovrebbe essere così un muffin. Gli riporto il pacchettino da quattro, con un muffin mezzo addentato. 

- Scusa, è un po’ duro. Stringo il muffin tra due dita e non lo incrino di mezzo millimetro. Lui non fa una piega. 
- Ah, si, allora prendi questi. E mi dà il secondo pacchettino che stava in vetrina, distinto dal primo solo da un velo di zucchero sopra. Uhm. Sta scherzando spero. Oppure sono stati prodotti in ere geologiche differenti. 
Prendo uno dei muffin spolverati in mano e la non-reazione è uguale. - Ma scusa – lo guardo attonita – anche questi sono duri! I muffin non è che sono proprio così...Lui mi guarda fisso e non dice nulla. Il tipico spirito di reazione! 

- Che cosa posso prendere per 13 pounds che sia buono? - Indico il croissant. - No, anche quello è vecchio! - Mi dice candidamente. 

Sento l’incudine cadermi sulla testa, e la gocciolina accanto alla guancia. MA ALLORA LI VUOI TOGLIERE DALLA VETRINA???! 

Mi riverso su una torta ai datteri e pasta frolla, fresca, buona, felice di vanificare le mie due ore di allenamento. 


Il festival di cinema
Uno ti chiede - ma perché sei sempre stanca
- Risposta: perché abito al Cairo
- E allora? Che fai al Cairo di tanto stressate
- Eh, sai, devo attraversare via 26 luglio due volte al giorno...Devo comprare i biglietti della metro...Devo prendere un taxi per arrivare in un posto che non conosco...ordinare il lunch per telefono...Prendere un appuntamento dall’estestista...andare all’Opera per il festival del cinema. Sai com’è. 
- Ah. Ehmbé? 
Ebbene. 

Decido di accompagnare Liliana all’Opera, dove si sta tenendo il festival annuale di cinema e Liliana voleva vedere un filme serbo. Voglio solo passeggiare in un contesto architettonicamente sensato, e poi andarmene a casa perché sono troppo fusa per vedere il film. 

Nonostante il proverbiale senso dell’orientamento di Liliana raggiungiamo la palazzina in questione in modo abbastanza fluido. Ecco, quella deve essere la sala piccola. La lunga vetrata lascia intravedere la fila di poltroncine. Bisogna solo entrare e prendere il biglietto. 

Appunto. 
Entrare = trovare l’entrata + trovare un’entrata che sia praticabile + trovare un’entrata che sia giusta. 

Prendere il biglietto = trovare un botteghino dei biglietti + trovare un botteghino che venda i biglietti + trovare un impiegato che sappia in quali sale si tengano i film + darti la giusta combinazione biglietto-sala. 
L’avreste mai detto? 

Giriamo intorno alla sala, ma il passaggio è ostruito da ogni parte. Lateralmente ci sono transenne intersecate con cavi nel pavimento. Giriamo attorno, ma di fronte ai muri inizia a prendere forma un’immensa struttura di palco scenico, di cui non si capisce la forma, l’inizio e la fine. 

Sembra una costruzioni di lego. Non c’è alcun corpo centrale, e sembra piuttosto una serie di corridoi sopraelevati e ricoperti di appezzamenti di moquette rossa e blu. Dei ragazzetti ci dicono che non si può passare in mezzo alla struttura e di andare dritto. Ripieghiamo e continuiamo a muoverci in maniera parallela alle mura della palazzina che dobbiamo raggiungere, continuando a girarci intorno, in cerca di un varco. 

Arriviamo di fronte al lato principale. Si tratta chiaramente dell’entrata. Sì, c’è una grande entrata dietro...dietro il palco. Siamo arrivati anche di fronte a quello che sembra il corpo principale del palco, che essendo rialzato copre con la sua piattaforma l’entrata, fino a metà. E che, ci deve essere un passaggio laterale, un piccolo corridoietto che per la prospettiva non riusciamo a vedere. Dato che venivamo da sinistra, senza successo, continuiamo a girare attorno verso destra, cercando un varco. Ma no invece, è bloccato anche di qua, e un ragazzetto che spunta da dietro a una transenna ce lo sottolinea. 

ODDIO ODDIO ODDIO. Io e Liliana cominciamo a pronunciare questa parola col consueto tono. Ma dove cazzo si entraaaa allora??? In risposta, solito sguardo egiziano che non si capacita. 

Dal palco. Chiaro. Saltiamo sul palco, percorriamo la distanza che ci separa dal grande atrio in vetro, e saltiamo giù dal palco, direttamente all’interno del palazzo. C’est pas plus simple que ça. C’est evident! 

Ora Liliana deve prendere i biglietti. C’è un tipo che parla appoggiato alla biglietteria. All’inizio non ci facciamo caso, poi ci svegliamo e ci accorgiamo che sta telefonando a uno a uno a tutti i suoi amici e parenti per sapere che posti vogliono all’Opera! E’ lì da più di 10 minuti e ovviamente non si sposta. Liliana si fa breccia e riesce a chiedere all’impiegato, per sicurezza, se è lì che si vendono i biglietti per i film. Sì. Ok, almeno aspetto sicura. 

Terminata la consultazione familiare e toltosi il tipo da quel posto, Liliana si fa avanti e chiede il biglietto per il film. Ah no, non è qui che si vendono. Ma come prima mi ha detto...? Inutile. Perché insistere a fare domande di questo genere. 

Io distrutta e col mal di pancia abbandono la mia amica e vado a casa. Non avrei sostenuto altri due salti su e giù dal palco dato come stavo, e ho voluto cercare un’uscita...più lineare. Ho trovato una porta aperta sul lato della sala, con tanto di guardia. Ne sono uscita scavalcando una serie di lunghi rotoli di moquette ammassati uno sull’altro e che ricoprivano sia l'uscita che il porticato al di là del passaggio.

Il giorno dopo avrei saputo che dopo aver acquistato il biglietto (non mi ricordo dove ci è poi riuscita) per il film serbo, ed essersi seduta nella sala, si è accorta che quello non era il film giusto, ma un film inglese! Tornata per chiedere spiegazioni gli hanno detto candidamente che il suo film stava nell’altra sala. Grazie per l’informazione. 


Venerdì sera, sulla courniche
Stavo tornando con Ahmed da Maadi verso Zamalek sulla courniche di Giza, una delle arterie principali del Cairo. Il traffico si muoveva su quattro file. Anzi, stava fermo. Ahmed imprecava, ché non capiva perché non si muoveva. Io ho detto che è venerdì e che è normale, la gente esce. No invece, non a questo punto. Arriviamo in prossimità del parco faraonico. C’è più movimento, ci deve essere qualcosa, dice lui. 

Sì, sembrava un grande evento, e soprattutto la causa del traffico. Le macchine avevano parcheggiato in doppia fila e una macchina con le quattro frecce davanti a noi stava inaugurando la terza, subito seguita da altre, lasciando alle macchine solo una fila su quattro in cui passare. 

Dalla macchina scendono due energumeni tamarri e tre fighette coi tacchi da 10 cm. Io pensavo che la macchina si fosse fermata per lasciar scendere le fighette coi trampoli e poi andare a parcheggiare più avanti. E invece nooooo! Come nulla fosse hanno chiuso la macchina e hanno raggiunto le rimbambite, che aspettavano girate, con il peso su un anca e una mano su un fianco.

Non ci potevo credere! Ho riversato i miei sguardi più carichi di disgusto, e la cosa più frustrante è stato ricevere indietro sguardi attoniti e interrogativi. 

E voi direte: anche a Roma parcheggiano in doppia fila
Ok, ma quando magari in tutta la città non si trova più nemmeno un posto in prima (e comunque magari per inaugurare la terza già si fanno degli scrupoli...). 

Qui no! A soli 50 METRI dall’entrata del locale infatti il marciapiede era COMPLETAMENTE VUOTO! Tutto purché non camminare - qui considerata un'abitudine da straccioni. E la cosa più intollerante è che lo stato glie lo lascia fare, l’importante è avere i soldi per pagare le mandrie di soldati che tappezzano la città. Poco importa se un'ambulanza non riesce a correre all’ospedale.

2. La telefonata tipo: appuntamento dall'estetista

(data la natura del servizio richiesto, ciò si ripeteva regolarmente e senza alcun progresso)

- Sabah El Khir...?
- Hallo, Sabah El Khir. I would like to take an appointment for a wax, full leg, when is it possible?
- Do you want to come today?
- No, not today, in the coming days. When is it possible?
- One moment please (questa frase arriva tra il secondo e il terzo scambio conversazionale, inesorabilmente. Seguono secondi di trambusto e una nuova voce si interfaccia al telefono).
- Hallo?
- Yes, Hallo. I wanted to take an appointment for a wax, in the coming days...
- Today it is fully booked.
- Yes, yes…I guessed so, not today. I would like to know when it is possible. In the afternoon because I work during the day.
- Tomorrow at 1 pm?
- No. In the afternoon, I work at 1 pm, after 6 maybe.
- Do you want to come at 6?
- No, I said that for me it is ok after 6. Anyway. Whenever is more suitable for you, starting from 6.
- I am very sorry, at 6 is not possible, it is fully booked tomorrow.
- Ok. Then. WHEN IS IT POSSIBLE TO COME, AFTER 6? I don’t know, maybe Wednesday or Thursday..?!!
- Can you come at 5?
- At 5? Ehm...maybe, but when?
- At 5 then.
- No, but WHEEN??!!
- On Friday is ok?
- No, it is not ok on Friday, I am not in Cairo on Friday, and it is too late!
- On Saturday?
- Ok, it’s ok, thank you, I will call another time.
- Thank you a lot madame, I am very sorry…
- Yes ok…

6. La manicure

Venerdì 16 maggio 2008

Andiamo a passare un week end a Ras Sudr, io, Liliana e Duncan. Spiagge stupende e acqua cristallina, anche se molto ventoso.

Alla reception io e Liliana – così, per curiosità – chiediamo se è possibile avere una manicure. Il ragazzo di turno risponde – manicure? One moment. - E scompare. Normale. Ogni volta che chiedi a qualcuno qualcosa, questo deve andare a chiamare qualcun’altro, che poi a sua volta andrà a cercare quello che parla inglese.

Questa volta, siccome dubitavamo fortemente che ci fosse il servizio manicure in quell’hotel, e siccome il ragazzo non accennava a tornare, ci siamo direttamente avviati verso la spiaggia, abituate a rinunciare alle risposte.

Dopo venti minuti, quando ormai avevamo dimenticato totalmente il fatto, vediamo trotterellare sulla passerella il ragazzetto, che, fedele al compito assunto, ci portava il suo responso: no, non c’è manicure. Eravamo quasi commosse da tanto zelo e dedizione.

h.23.45 circa. Già addormentata da circa mezz’ora dopo un lauto aperitivo offerto da Duncan, mi svegliano le voci di Liliana e di due uomini, e la luce proveniente dalla porta d’ingresso della stanza. La porta si richiude e Liliana rientra in stanza scocciata sospirando concitata “Questa è un’altra storia egiziana!”.

Io non mi ero accorta di nulla. Il ragazzetto era stato insistentemente a bussare alla nostra porta, e a quella accanto alla nostra, di Duncan, fino a che Liliana non si è svegliata e gli ha aperto!

Ha trovato il ragazzetto che le porgeva una boccetta di smalto. 

“No no, thank you”. Mezza addormentata Liliana lo ha liquidato e ha richiuso la porta senza capire bene il senso di questa visita; solo dopo ha ricollegato che era lo stesso della mattina, e che gli portava lo smalto, anzi, secondo lui, “la manicure”! Poverino, identificando la manicure con lo smalto avrà sicuramente fatto i salti mortali per procurarsi quello smalto, pensando pure di tirarsi su una bella mancia; ma a quell’ora della notte! 

1. Ordinaria incomprensione

Mercoledì 30 aprile 2008

Spesa al supermercato con delivery a casa. Avevo bisogno dell’acqua e non ci penso nemmeno a portarmela a casa da sola.

Ora, io ho la fortuna di abitare in una casa che ha anche il numero civico. Solo che anche il palazzo accanto al mio ha il numero civico. Lo stesso numero civico. Senza né A o B. No, semplicemente, un altro 26.

Al che alla cassa spiego quale palazzo è, “dalla parte di Ismail Mahamood, non dalla parte di 26 luglio” e gli lascio il mio nome. Ma non è chiaro, “Miss Margot”, mi richiama uno, si, glie lo rispiego, prende nota anche lui sullo stesso foglio, tutto chiaro, lo dice al collega.

Arrivo a casa, passano due ore, ancora non arrivano. Poi mi chiamano a casa, ancora mi chiedono quale palazzo è, glie lo spiego, non capisce, non parla inglese benemi passa un altro...alla fine optano per farsi dire il nome dei bauab.

Finalmente suonano alla porta. Mi poggia tutto in cucina. Ambdullillah. Do la mancia, chiudo la porta. Manca qualcosa. La cosa più importante. L’acqua! E richiamali.

- “Hallo? I’ve just received an order, but a box of water is missing”. 
– “Miss Margot? Any problem?” 
– (…). “Yes. I was just saying that…A box of water is missing.” 
- “Two box of water?” 
- “No, one box of water!!” And so on…

***

Poco dopo mi squilla il telefono di linea fissa.

-   Hallo? – (....)
-   Hallo?? – Miss Margot?
   Yes it’s me...?
   Hi Margot, it’s Turkey! (nooo, il consulente finanziario di sta mattina in banca…ma che cavolo vuole…sono le 20.54 di sera)
   Miss Margot, this morning I forgot to propose you some investments..
   Ah, yes, I tell you, I will stay here only 1 year so I don’t think that the investments are for me…
   Only one year? So few…so bad…Are you from Italy?
   …Yes, I’m from Italy…” – “Italy…where from Italy???
   Ehm, Bologna…
   Bologna beautiful Bologna, I love Bologna…only one year, so bad…and what are you doing after…
   Yes, as I told you I am happy with my account, ehm I will come back to Europe…Well, thank you then
   Ok, so bad…and now you have my telephone number, so for any thing you can call me, at home or at the mobile, for anything…
   Oh thanks, so kind of you…ok, good evening…
   And hope to see you everyday at the bank, you are always welcome…
   ….



Giovedì 1 maggio 2008

Arriva Anna! H 00.25 Cairo, Terminal 2. La vado a prendere in aeroporto col tassista di fiducia Hamdy.


Venerdì 2 maggio 2008


Io e Anna andiamo a fare la spesa e ordiniamo la consegna a casa. Quando suonano alla porta, è lei che va ad aprire.

Ragazzo: hi, where I bot it.
Anna: what?
Ragazzo: bot it, bot it.
Anna: Yes. Yes, I bought it.
Ragazzo: ??
Anna: yes! I bought it!!
Ragazzo: Where can i bot it?!
Margot: Mi sa che ti sta dicendo “put it”. Here here, come, put it here.

E così come sempre durante le consegne a casa, questi ragazzetti ventenni
limitano la loro presenza sul suolo domestico al minimo necessario, scappando
furtivamente sulla soglia della porta di ingresso dove attendono la loro
mancia, tanto attesa quanto intascata altrettanto furtivamente. Non so perché
abbiano una tale ansia di uscire.

Comunque, gli arabi non distinguono tra i fonemi “b” e “p”. O meglio, non hanno
la “p”, e la riconducono a “b”. 

9. L'idraulico (commedia degli equivoci)

Martedì 29 aprile 2008

Un’altra delle solite giornate inconcludenti al lavoro. L’ufficio dell’amministrazione dove urlano e schiamazzano, e poi quando gli vai a chiedere di farti qualcosa di urgente non hanno mai tempo o non sanno farlo. Le solite email in cui non ti mettono in copia e riunioni in cui dimenticano di invitarti. L’unica che lavora come si deve lì dentro è Efat, la ragazza che ci fa il caffè.

È già molto caldo. I miei rientri a casa sono un quotidiano magone-sollievo, tra l’afa che comincia ad appiattire, la polvere appiccicata addosso, e il frastorno dei clacson, delle urla e delle molestie.

Doccia fredda, un piacere scoperto qui. Casa. Mi sono finalmente ripromessa di finire il curriculum per mandarlo all’Unicef stasera, nonostante la stanchezza accumulata e questo malditesta. Odio questi CV, non vanno mai bene…che sconforto.

Suonano alla porta

Sono circa le 21.30 quando suonano alla porta. Ecco, gli orari egiziani - penso esausta. È Attif, il mio bauab (il portiere), con accanto un ragazzo africano enorme con in mano una cassetta degli attrezzi.

Io e i bauab non abbiamo lingua per comunicare. Attif due giorni prima era venuto a vedere il rubinetto che sgocciolava. Tutto quello che aveva fatto era stato scoperchiare la manopola dal suo tappino, sperando gli si rivelasse qualche verità… In realtà in quel rubinetto basta cambiare le guarnizioni, ma non ho alcuna idea di come riuscire a comunicare questa cosa. Se ne era andato dicendomi “bukra” (domani), “tamanya” (alle 8), o almeno così avevo capito io. Beh, il giorno dopo non si è visto, ma due giorni dopo si presenta con l’idraulico.

Sono ancora troppo impacciata per sciorinare la mie due parole di arabo. Cerco invano la parola “min”, “chi”, per chiedere chi fosse. Poi, più preoccupata dal non parere brusca, li faccio entrare entrambi in bagno dove mostro al ragazzo cosa dovesse sistemare. Posso parlare in francese perché è camerunense. Attif mi chiede (a gesti) se è tutto a posto e una volta rassicurato si congeda.

Termino la spiegazione e lo sento un po’ troppo vicino, mentre approfitta di un suo movimento verso la caldaia per sfiorarmi il braccio. Sono infastidita, ma con gli uomini lo sono tutti i giorni qui.

-   Tu viens d’où?
-   D’Italie.
-   T’es seule ici?
-   J’y travaille… - taglio corto. Solite domande.

Lo lascio in bagno e mi rimetto davanti al computer in salotto. I minuti passano in fretta quando non sai più come manipolare il tuo CV. Lui intanto va a dare un’occhiata al contatore dell’acqua in cucina e passando mi si avvicina per mostrarmi una foto. È una squadra di calcio di bambinetti sugli otto-dieci anni.

-   J’aime les enfants, tu sais. Ceci est un team de football. Moi je suis ici. Toi tu as des enfants?
-   Non, je n’en ai pas.
-   Tu es mariée?
-   Non, je ne suis pas mariée. Désolée, il faut que je termine ici…, et que vous terminez là-bas. - faccio distrattamente per allontanarlo.

Contino a guardare lo schermo, ma mi sono risvegliata dal trip “CV” e ho una strana sensazione. È in bagno. Dalla mia postazione vedo chiaramente i suoi movimenti. Apre e chiude la manopola del rubinetto, smanetta nella caldaia. Non sta facendo nulla.

-   Ça va??!! – grido dal tavolo
-   Oui oui, j’ai presque terminé

È di spalle. Allungo il collo, mi sporgo quanto basta per guardare il suo armamentario. Ma non ha nemmeno un attrezzo in mano. Non ha nessun attrezzo da nessuna parte. Perché non ha nemmeno una cassetta degli attrezzi. Quella che il mio bizzarro inconscio, o chi per lui, aveva categorizzato come tale non era che una piccola, morbida borsa di naylon da palestra.

Ok Margot. Bentornata sulla terra. Hai in bagno un energumeno camerunense modello giocatore di basket, e non è l’idraulico. È una montagna di perfetto sconosciuto che non si capisce come e perché sia arrivato a suonare alla tua porta se non per un equivoco o per tempeste ormonali. Ok. Resta calma, continua a guardare il computer. Lui sta recitando egregiamente la sua parte. Comincio a trasudare adrenalina. Ora vado ad aprire la porta d’ingresso e poi mi affaccio in bagno, in posizione da poter scappare facilmente. 

-   Écoutez, si vous ne savez pas comment le réparer ça va, vous pouvez y aller! – dico concitatamente, tenendo insieme i pezzi della mia voce. - Je suis fatiguée et cela prend trop de temps! – provo a scacciarlo.
-   Non, mais ça va, je vais le réparer, mais vous savez, il faut changer ça… - e mi mostra un pezzo di metallo sotto al lavandino che non si può né svitare né staccare, e non ha nulla a che fare col lavandino che perde. Ottimo.
-   No, senti, io non ho tempo da perdere, ora tu prendi le tue cose e te ne vai ok? Altrimenti mi metto a gridare per il corridoio, e tu sai che non ti conviene. Quindi prendi la tua roba e vattene. Perché hai fatto finta di essere un idraulico??!! - (Margot, razza di stupida, sei tu che l’hai fatto entrare dandogli dell'idraulico - pensavo - santo iddio…)
-   No, ascolta, ti prego, scusami. L’ho fatto perché…mi piaci. Mi fai dormire qui da te?
-   Ma che cosa stai dicendo, per chi mi hai preso???!!! Ora prendi la tua roba e vattene perché se no mi metto a gridare e mi faccio sentire da tutto il palazzo, e tu non vuoi questo, e nemmeno io…

Lo convinco ad andarsene. Chiave, doppia mandata e chiavistello. Respiro respiro respiro. Ma che scema…! Il tutto perché non mi ricordavo la parola “min” in arabo!! Pazza.

Suonano alla porta 2

È ancora lui. – Ti prego, ho dimenticato la foto dei bambini, dammi solo quella, s’il te plait! –
Mi guardo in giro e non vedo nessuna foto.
   Il n’y a pas de photos ici!!!- grido.
   Sì, sì, guarda bene, l’ho lasciata lì.
   Non ci sono foto qui, ho guardato ovunque, e ora levati dalla mia porta!

Finalmente se ne va e io sono un fascio di nervi, tremando. Passano tipo tre minuti e…

Suonano alla porta 3

È Attif, il mio bauab. È venuto a chiedere se va tutto bene, perché apparentemente non gli torna qualcosa. Che sollievo, però io ora voglio solo andare a dormire. Tragicità mediterranea e mimo sono sufficienti per comunicargli il mio stato; ovviamente ho dovuto toccargli il braccio per mimare lo sfioramento, provocandogli uno scatto, ma tant’è!

Attif il pragmatico prende il mio cellulare e telefona al vicino di sopra perché io gli riporti per filo e per segno la situazione in inglese, e stiamo un po’ lì a scambiarci il telefono con il vicino che fa da tramite. Il signore di sopra mi dice che lo devo denunciare alla polizia, e di chiamarlo per qualsiasi cosa la prossima volta, perché è pericoloso!

Loro continuano a parlarsi e io non capisco cosa si dicano…voglio solo chiudere questa faccenda e andare a dormire, sono le 22.30 passate e domani mi devo alzare alle 7.00. Attif esce, e io penso che finalmente sia finita la giornata. Ma dopo meno di cinque minuti…

Suonano alla porta 4

Non ci posso credere. Chi cazzo è adesso, cosa c’è…Guardo dallo spioncino e vedo una sagoma femminile, piccola e col velo.

Apro. L’ho già vista, è una signora sui 55 che abita nei piani più bassi e aiuta a fare i lavori nel palazzo. Comincia a parlarmi sorridendo, ciondolandosi un po’ in avanti come per reverenza e intonando quasi una litania. Sorride e poi ride, e poi parla e sorride e ride. Tutto in arabo. Io ho già dei problemi a rimanere ancorata alla realtà, ma ora sto proprio vivendo una scena medievale. Inoltre il calo di adrenalina mi ha mandato semplicemente in trance.

Cerco di farle capire, con quella calma tipica di quando non hai più alcuna forza di reagire, che non capisco nulla di quello che dice. In tutta risposta comincia a fare gesti con le mani, sempre gli stessi. Non capisco, mi dispiace, non capisco. Allora mi prende e mi trascina verso la porta della mia vicina canadese, e suona il campanello. Io mi lascio fare.

Apre la porta la figlia dodicenne della canadese, masticando un chewing gum e parlando al cellulare. Le guardo parlarsi e poi vedo il cellulare passare dalle mani della ragazzina alla signora, che continua la conversazione con la stessa persona all’altro capo del filo. Ho rinunciato a capire. Surreale. Il telefono torna alla ragazzina. 

- Ha detto che l’idraulico, che è di sotto, rivorrebbe la sua foto. Inoltre per per quanto riguarda la parcella, non si farà pagare per il lavoro, ma chiederebbe quantomeno 5 pounds per il taxi. Sono basita. Esasperata spiego a grandi linee la situazione alla ragazzina e le chiedo di riferire alla signora che non pagherò nulla a nessuno! Anzi, che gli dica di sparire! La voce dal cellulare riporta il quanto. La ragazzina chiede se è sufficiente; confermo, ci salutiamo, la porta si richiude.

La signora sempre quasi danzando e cantando, si allontana verso l’ascensore e scompare. Torno a casa, con la sensazione ora di essere ubriaca e spero di sprofondare nel letto. Mi sciolgo i capelli, mi strucco, mi pettino e mi infilo la mia sottoveste, solo che…

Suonano alla porta 5

Spioncino: c’è un gruppo di tipo cinque uomini fuori dalla porta. Oddio, voglio piangere. Faccio capolino dalla porta e gli faccio capire che devo andarmi a cambiare. Per loro questa fase è normalità.

Torno. Era un convoglio di Bauab del quartiere. Richiamano il mio vicino di casa che mi traduce che volevano che scendessi e facessi denuncia. Lo avevano fermato di sotto e avevano chiamato la polizia. Io intanto chiamo Elia, il mio insegnante di arabo, perché venga a farmi da traduttore perché non ce la faccio più. Elia mi infama al telefono perché non dovrei cacciarmi in tali situazioni, e dopo avermi fatto terrorismo psicologico sulle storie che si sentono in giro, arriva.

Il tribunale popolare

Ci siamo. Sono seduta sulla panchina dell’ingresso del palazzo, un po’ in disparte. Lui pure è seduto ed è circondato da mezza dozzina di uomini, compreso il poliziotto, che in pochi minuti diventano una decina. Gli arabi sono imbestialiti e lo vogliono denunciare, primi fra tutti Attif, il mio bauab, che è in prima linea cercando forse di giustificare quello che poteva sembrare un suo errore. Discutono animatamente tra di loro e l’unica cosa che distinguo è “africaan!”. Il ragazzo non capisce bene l’arabo ed Elia interviene in francese.

Gli chiede chi è, da dove viene, dove vive, cosa volesse da me e soprattutto come è arrivato alla mia porta. Intanto il gruppo continua a gonfiarsi di passanti e di abitanti del palazzo, che si fermano attirati dal trambusto. Io voglio seppellirmi. Una donnona egiziana velata viene vicino a me e mi chiede cosa sia successo. Io rispondo restando vaga cercando di dare una versione che salvaguardi la mia credibilità e il mio onore ormai vacillanti.

Secondo la versione ricostruita, il ragazzo frequenta la parrocchia di padre Angelo, di fronte casa mia. Elia chiarirà se è la verità. È arrivato nel mio palazzo e avrebbe chiesto di una certa “Mariella” (non c'è nessuna Mariella nel mio palazzo). Attif, forse non capendo il nome, ha pensato che cercasse me e me l’ha portato. Elia gli ha chiesto perché non avesse subito chiarito l’equivoco una volta vistomi, e perché si fosse finto un idraulico. Placido, lui ha risposto - Mais messier, vous voyez bien, je suis en homme, j’ai envie d’une femme, j’y ai essayé! (Non fa una piega).

Quoi??? – Colpita nel vivo mi sono alzata in piedi gridando in francese, preoccupata in quel momento di fare chiarezza sulle mie di posizioni, mentre Elia gli rincara la dose di minacce e mi incita a denunciarlo con l’appoggio di tutto il coro. Io volevo tanto chiudere lì la storia e cominciavo a sentirmi male per quel ragazzo che continuava a restare calmo e a non alzare la voce, se non fosse che a fronte delle mie reticenze a denunciarlo, gli sguardi degli arabi cominciavano a divenire sospettosi, come se in realtà dietro questo diniego stessi nascondendo una tresca. Sono riuscita a negoziare che per questa volta un’ammonizione poteva bastare, perché in fin dei conti non mi aveva fatto nulla di male.

- Tu sei illegale qui, non hai i documenti. E allora senti per bene. Lei ha deciso di non denunciarti questa sera e di questo la devi ringraziare, capito? Perché lo sai vero cosa ti succede se finisci in prigione per molestie, per giunta senza documenti?! Che non saranno tanto gentili come lo siamo stati noi, e ti prendi tante di quelle botte che non ti ricordi più come ti chiami. E quindi ora vai ma sappi che se ti rivediamo girare qui intorno, la prossima volta vai in galera direttamente, sono stato chiaro? – gli ha gridato Elia.

Si è conclusa così, non so quanto dopo la mezzanotte, questa serata surreale, tra rabbia (verso di lui e verso di me, per avere agito da rincoglionita), vergogna, senso di colpa e un gran senso di vulnerabilità.

Non sapevo ancora che si trattava solo del primo capitolo… 
E comunque, non ho mai ritrovato alcuna foto. 

[Se sei arrivato alla fine e ti interessa il prosieguo leggi L'idraulico (parte II)]

4. Telecom Egypt

19 marzo 2008
Per fortuna credo di essere riuscita a “innescare” la procedura per avere internet a casa.
Dopo avere tentato ieri pomeriggio a casa, ricevendo una cosa come cinque numeri di telefono diversi da chiamare, parlando in inglese al vuoto prima che mi si passasse qualcuno che davvero capisce l’inglese, parlando con minimo sei persone diverse, e dopo avere ritentato oggi dall’ufficio con gli stessi risultati, mi sono arresa.
Ghada mi ha aiutato, passando 15 + 10 minuti al telefono col tipo, che dice che mi richiamerà tra cinque giorni per fissare un appuntamento tra due settimane. [ex post: ovviamente la telefonata non arrivò mai].
31 marzo 2008
Un’ora al telefono di prima mattina tra Telecom e compagnie internet per capire cosa fare del mio contratto, che l'inquilino precedente non aveva chiuso… che stress.
Avrò chiamato almeno sette numeri diversi, ognuno dei quail mi trasferiva a due/tre persone diverse, le metà delle quail non parlava inglese, cosicché dovevo chiamare Ghada che comunque non mi pare molto pratica di queste cose e non fa proprio sempre le domande giuste…
Lara – che ascoltava le telefonate - mi ha detto che non ce la farò mai da sola, che devo chiedere l’aiuto di un egiziano. Io gli ho detto che non sono abituata ad appoggiarmi su altre persone, e che mi scoccia chiedere questi favori.
Lei mi ha risposto semplicemente che “you have to join the system”.

1. Bauab


Attif, uno dei miei due Bauab
Sabato 1 marzo 2008

Ho passato il weekend a pulire la mia nuova casa, e da domani ci andrò a dormire.

Qui le case hanno tutte due portieri, i bauab. Dormono nell'atrio del palazzo, in uno stanzino o nel sottoscala, buttati su un materasso sudicio e sdrucito, su cuscini gialli e senza federe. Indossano la tunica tradizionale – la galabeya – e molti portano il fazzoletto arrotolato in testa.

Oltre a controllare il minimo movimento di chiunque varchi l'uscio del palazzo, si occupano di varie cose, tra cui anche fare alcuni lavoretti in casa – ovviamente in cambio di qualche mancia.

I miei si chiamano Attif e Milad, e ovviamente non spicciano una parola di inglese. Scene esilaranti, dato che io non parlo una parola d'arabo. Mi sento un uomo di Neanderthal: per comunicare non abbiamo nessun altro riferimento se non le mani; un vero teatro. E Attif, rassegnato, sistematicamente si fa delle gran risate vedendo le mie facce che non capisco nulla. Ma è riuscito a farmi capire una cosa, pure astratta: io ti insegno l’arabo se tu mi insegni l’inglese.

Ovviamente, mance a destra e a manca, e non solo con loro due. Ognuno è sempre pronto a farti qualsiasi favore, e tu che no..., che ce la fai benissimo da sola a portarti le sporte della spesa su con l'ascensore...e poi ovviamente devi dargli quei 2-3 pounds di mancia.


[Si veda anche Vita da Bauab]
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Questi egiziani urlano come matti. Quando parlano si urlano, automaticamente, e sembrano pure incazzati. Poi chiedo cosa si siano detti, e scopro essere cose normalissime.