6. Una bambina in metro

Domenica 17 agosto 2008 

Ero davanti alla porta della metro, al centro, aspettando di uscire.

Alla mia destra una bimba di massimo sei anni. Dalla parte opposta la madre, dall’età indefinibile, certo giovane, ma sciupata e pesante. Era coperta alla maniera della gente più povera, col velo lungo e intero, ma aperto in viso. Portava una busta grande, piena di un misto indefinibile di sacchetti e pezzi di stoffa.

Come sempre all’avvicinarsi della fermata Al Taharir, le donne si accalcano verso la porta e iniziano a spingere, preparandosi a quella che è una vera e propria “espulsione”, dove a volte i piedi nemmeno riescono a toccare terra. Quando le porte si aprono, le donne in attesa di salire vengono avanti senza aspettare che le altre scendano e io ogni volta ringrazio di riuscire ad arrivare al suolo con entrambe le ciabatte ai piedi, e soprattutto di non cadere con un piede nel largo varco che separa il vagone dalla banchina.

La donna mi guardava. Io distoglievo lo sguardo, imbarazzata dal mio benessere. Il treno già rallenta e la bimba vacilla vistosamente, mentre la donna le dice qualcosa che ovviamente non capisco.

Allungo un braccio istintivamente verso la sua spalla per sostenerla. Non la afferro, solo pongo una mano come contrappeso nel caso avesse perso l’equilibrio. Al mio contatto, si gira e mi guarda. La mia mano è ancora lì, non glie la sto porgendo, ma lei, come se fosse la cosa più naturale, la afferra, e poi torna a voltare, tranquilla, lo sguardo verso la porta. La madre – occupata con due mani a sollevare il borsone, mi ricambia con un sorriso riconoscente ma altrettanto naturale - forse compiaciuto di vedere una ricca occidentale aiutare la sua bambina.

Le porte si aprono, la madre riesce a sgattaiolare subito fuori trovandosi a un’estremità della porta. Io sono al centro, e ho tra le mani questa stretta confidente. La tengo stretta e poi quasi sollevandola da sotto le braccia la aiuto a oltrepassare quel varco, non senza esitazione data la spinta contraria della massa entrante.

Dopo il salto la lascio. La madre mi stava sorridendo tranquilla. Ho ricambiato il sorriso con affetto, salutato, e sono andata via. Non so se glie l’avesse detto la madre di prendermi la mano sperando facessi loro la carità per il Ramadan; non è detto… di fatto nella carrozza delle donne è naturale suddividersi e farsi carico di queste mansioni coi bambini. Non potevo saperlo, ma mentre mi allontanavo con ancora il calore di quella stretta, nel vuoto che sto vivendo, ho sentito come se l’avessero fatta a me la carità. 

[Si veda anche il post Donne e bambini]

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