2. L'albergo

Appunti che presi su carta, quando in albergo ad Al-Arish, Sinai.

8 marzo 2008

Finalmente arriviamo in albergo ad
Al Arish. Appena entrata in albergo sento come il rumore del mare, e penso a come in questi lussuosi resorts non si risparmieranno in giochi d’acqua.Una volta in camera però il rumore si fa più forte. Mi affaccio alla finestra, ed eccolo lì il mare, il Mediterraneo, il cuore della nostra civiltà. Cercavo di immaginarmi la Grecia e la Puglia di fronte a me, mentre appena 50 Km a destra, la striscia di Gaza.

9 marzo 2008

h. 16.10.

Sono da sola in albergo, perché Khaled ne ha approfittato per andare a trovare un suo amico e dormirà da lui. Poco dopo essere entrata nella stanza squilla il
telefono e io penso che sia la reception.

Mi chiedono il nome - e non mi pare strano dato che nella mia testa ho deciso che è la reception. Gli faccio persino lo spelling. Ma poi la voce continua.
“Do you want to see me?”

“Ceemee??"
- non capisco - Sorry?? What does it mean?” - rispondo. E la voce mi risponde, pure letteralmente: “Yes, do you want to stay with me?”

Riattacco. Qualcuno mi ha vista, ha visto dove sono entrata, ha visto il numero della mia camera, ha visto che sono bionda e sono in albergo da sola, e siccome – ha dedotto - sono una puttana, mi ha chiamato.

Il
telefono squilla di nuovo, e rispondo solo per la curiosità e il gusto di insultare.
- “What about your country? You are very beautiful”.
- “Who do you think I am?! - rispondo - How do you dare to call me and ask me that...just because I am a woman alone?!”.
Ma la voce non se ne cura, e va avanti per la sua strada: “
are you single?”
- “It’s not your own business! How do you dare!
Would you do that to an Egyptian woman? You are offending me, do you understand that?”
– “Why?”. E continua, chiedendomi se volessi cenare con lui, perché è un uomo d'affari, da solo; magari prendere qualcosa da bere, anche con altre persone. Io restavo al telefono, allibita, non fosse che per lo stupore e la voglia di vedere che cosa mi avrebbe detto ancora.
- “Do you think I am a
prostitute?” intervengo. Ma non credo che abbia capito.

E poi cosa c'entra se sono single o no?! Non è quello il punto! Mi viene in mente il film
Persepolis, quando la nonna dice alla nipote di come gli uomini (arabi in questo e in quel caso), di fronte a una donna non più vergine (= che non deve difendere più il bene più prezioso), partano dal presupposto che "il loro gingillo sia irresistibile", a prescindere, senza porsi minimamente il problema che potrebbero non essere di nostro gusto, vergine o non vergine, marito o non marito!

Riattacco.
Risquilla, riattacco per la terza volta. So che non è successo nulla e che non mi può succedere nulla, che non sono nella mia cultura e poco importa secondo quali schemi mi si stia classificando; ma mi viene lo stesso il magone. Why am I doing this? Tutto questo perché? Cosa ci faccio da sola in un albergo ai confini con la striscia di Gaza con uno sconosciuto che mi chiama pensando che sia una prostituta? Non è niente, mi scende la lacrima, che era già qualche settimana che spingeva. Piango perché non riesco più nemmeno a piangere, perché non sento più la solitudine, perché continuo sola e ancora non mi basta, e perché non vedo alcuna alternativa; piango quando mi accorgo che in fondo per me tutto ciò è normale.

h 18.30.

Sono andata sulla spiaggia a fare una passeggiata. Non lo avevo mai realizzato finché ho vissuto a Ravenna, ma ora mi rendo conto di quanto il
mare mi faccia sentire a casa; mi dà un senso di naturalezza e libertà. Il mare è apertura e possibilità. Allora ho camminato. Ogni tanto guardavo a nord-ovest, dicendomi che là c’era l’Italia.

Dopo un po’ vedo un uomo scendere dalla banchina al livello dell’albergo. Sono andata avanti, già intuendo che si fosse mosso per me, e infatti era della security e mi ha detto che non potevo spingermi più in là: zona di confine con
Israele. Che stupida, e io che me ne vado tranquilla con le stesse sensazioni di quando sono a Ravenna.

Torno indietro lentamente e mi metto sulla
terrazza dell’albergo a scrivere. Dopo un po’ mi chiama Sara, un sollievo. Ma perché poi io non cerco mai le persone, se poi quando le sento mi sento meglio? Perché non riconosco più la solitudine come un problema, proprio come quando ero bambina?

Torno in camera, e dopo pochi minuti squilla di nuovo il
telefono. Di nuovo lui! Che mi dice che mi ha vista andare alla spiaggia, e poi stare da sola in terrazza, e che io sono sola, e lui pure, che è un “funny man, and only want a friendship”. Gli chiedo se conosce il significato della parola “respect”, e dice di non capire, guarda caso... Lo insulto ancora un po’ mentre lui sciorina una serie di “please”, e riattacco. Il telefono squilla ancora ma ora non rispondo.

Cazzo quant’è dura. Sono qui da sola, e ok, mi sta bene. Ma secondo me Khaled semplicemente non può immaginarsi cosa voglia dire anche solo andare a visitare i progetti, ma più in generale fare qualsiasi cosa, qui, da sola. Il
velo è importante, no so, forse dovrei portarlo, in certe occasioni, in certi posti…

Ha risquillato alle 22.30 e alle 8.30 di mattina. Quando Khaled mi è passato a prendere e mi ha chiesto come avessi passato la notte non sono riuscita a non dirglielo, ma senza ansia. Lui ha creato un putiferio alla reception comunque.

1 commento:

  1. Ciao Margot!Sono Fabio, principalmente studente italiano di agraria all'unimi..voglio ringraziarti per ciò che scrivi..è tutto molto intenso e riesci a trasmettere le sensazioni e lo stato di stress di un espatriato in modo molto preciso..anche se non ti conosco ti abbraccio!!ti seguirò con quello che scrivi perchè mi è molto vicino!!

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