2. L'arrivo


Domenica 17 febbraio 2008

Sono atterrata ieri.

Questa sensazione la conosco, ma quando mi prese a Santiago del Cile non era tanto forte.

E’ un senso di smarrimento, che quando ti guardi intorno ti chiedi che diavolo ci fai lì. In questo paese così vicino e così lontano. Il Latinoamerica in confronto è dietro l’angolo. Provi a proiettarti fra 10 mesi e pensi che non ce la farai mai a sopportare un anno in queste condizioni. Provi a immaginarti quanta vita scorre là dove hai lasciato le persone a cui vuoi bene, e pensi che non riuscirai mai più a colmare la frattura, anche se continui a ripeterti che l’esperienza ti ha dimostrato che non è vero.

La realtà è che sei tu che hai paura di cambiare, di perdere il controllo di quello che sei ora, coi tuoi gusti, le tue esigenze, i tuoi amori, le tue priorità. Sai che il cambiamento è ineluttabile, e così intrinseco che non hai modo di controllarlo. Hai paura di ritrovarti fra un anno senza riconoscerti, senza più sapere che posto andare a rivestire nella società che a malincuore hai appena lasciato, e nella quale avevi abbozzato finalmente un percorso in cui ti riconoscevi e identificavi. E ora che cos’è questo lavoro che mi ritrovo? E’ ora in grado di sopperire a un mio bisogno esistenziale? No...Dove ero io ora? In un mondo fatato, è vero, però era diventato per una volta il mio mondo.


Non ho internet a casa né skype in ufficio. Non ho un posto mio ancora, sono lontana dal lavoro. Avere punti di riferimento in arabo è impossibile, e anche ricordarsi le parole e i nomi delle vie. Conosco già questo senso di straniamento, ma è pur sempre sgradevole. Almeno con le lingue europee riesci ad orientarti, qui invece....è arabo.

Anche a Santiago i primi due giorni ho reagito così. Mi ricordo che avevo il magone, che mi mancava tutto, e qualsiasi sciocchezza mi infastidiva: il fatto di non poter buttare la carta igienica nel water, il sapore di cloro dell’acqua, il freddo mentre facevo la doccia, le strade inquinate. Ma dopo una settimana mi ero fatta conquistare dai colori, e dopo un mese non volevo più andarmene.

Ora so che tutto questo malessere dipende solo dalla casa, che è per antonomasia sinonimo di abitudine. Datemi delle abitudini. Non ce la faccio più a ribaltare sempre tutto, a rifare sempre gli stessi processi. Casa, trasporti, sim card, banca, collegamento internet, esplorazione negozi, registrazione al consolato...La mia testa è un intruglio di codici e numeri pin.


Oggi è stato il primo giorno di lavoro, un lavoro bellissimo, quello per cui ho investito tutto, e rinunciato a tanto…Ma non riesco ad esserne entusiasta. Vorrei quello da cui sono sempre scappata: avere la tranquillità di una vita regolare, in una bella città, con il sole, e una dimensione pedonale. Un lavoretto decente ma non per forza super figo, che mi dia i soldi giusti per poter vivere decentemente e metter qualcosa da parte. Arrivare a casa a un ora decente e chiacchierare con un amico davanti a un bicchiere, rilassarmi, curare il mio corpo in palestra, vedere un film con qualcuno, leggere e leggere.


O forse ho semplicemente perso, o meglio, appagato, quella vena antropologica che mi ha sempre spinto ad assimilarmi ai luoghi per poterne cogliere l’anima. Ora preferisco molto di più un’osservazione distaccata, ma pur sempre acuta. Non ho più quella voglia di andare dentro l’altro e il diverso per forza, di capire la sua forma mentis, il perché fa certe cose. Mi piace prendere atto delle sue abitudini, quello sì.


Credo che il mio punto di massima espansione, come lo chiamava P., sia stato toccato. Ora è il tempo del raccoglimento. Credo che dovrò cercare di sistemarmi al più presto, tranquillizzarmi, farmi una buona connessione Internet, concentrarmi sul lavoro, per fare un buon lavoro, e poi cominciare a mandare cv a Bruxelles.
Non ho tanta voglia di uscire al momento. Bruxelles mi ha estenuato nell’ultimo anno. Forse mi verrà tra un paio di mesi...Credo non ci sia nulla di male ora a prendersi un po’ di tempo per ricaricarsi. La città me la godrò più avanti.


***


Non è scontato niente. Non è scontata la salute, non è scontata l’aria che respiri, la sicurezza delle case in cui vivi, delle strade, degli ascensori o delle macchine che guidi, o i controlli sul cibo.

Ho ingurgitato quintali di piombo. Il Cairo è perennemente avvolta dalla nebbia…solo che è smog. Questa città non contempla l’esistenza della parola “pedone” ed è continuamente congestionata dal traffico. Ho marciato in lungo e in largo, cercando di passare da un ponte all’altro del Nilo. A un certo punto mi sono ritrovata su un raccordo – per nulla pedonale – camminando in salita in un marciapiede di 10 cm, interrotto regolarmente da pali della luce, ai quali dovevo attaccarmi ruotando per poter continuare a camminare sulla stretta striscia senza cadere sulla strada dove le macchine sfrecciavano.

Le strade in generale non sono attraversabili, e ovviamente mancano le strisce pedonali. Ci sono militari ad ogni angolo, ma ancora non ho capito a fare cosa, se non per morire di cancro fra 5 anni. L’aria è irrespirabile, e ciononostante le persone passeggiano sui ponti e si affacciano alle balaustre per guardare il Nilo, che sì, è affascinante.

Ieri, primo giorno, mi hanno mandato l'autista; domani dovro' andare al lavoro da sola. Vedremo come...!


Lunedì 18 febbraio 2008


Oggi A. mi ha mandato una mail. Discreta e asciutta. Mi rendo conto di come, se avessi qualcuno accanto, sarebbe comunque questo tutto quello che vorrei. Qualcuno che sappia entrare poco a poco in me, che non rischi di interrompere gli andirivieni dei miei umori con il suono imposto della voce; ma che si insinui semplicemente nei miei pensieri, tramite poche parole, radicandosi così in maniera più uniforme dentro di me. Quanto invece mi sentivo graffiata dalla videocamera in skype...Ogni giorno, stessa ora, e la schiavitù della voce e della telecamera.

Mi rendo conto di quanto sono sfuggevole. E di quanto il mio mondo interiore sia intricato, e non riesca a sintonizzarsi sulle frequenze esteriori. In questi giorni Sara, che mi ospita, deve starsi chiedendo che cosa mi spinga a chiudermi in camera mia alle 20.30, col mio computer, a scrivere – come le dico.


E’ la mia esigenza di districare i fili, di dipanare la matassa quotidianamente, per poter controllare bene i fili del burattino la mattina dopo. Non riesco a gestire più di tanti input. E ho capito che ho un bisogno quotidiano di farne tabula rasa, ovvero, di digerirli con me stessa.


Questa notte sono riuscita a riposare - inaspettatamente, dato lo stato d’animo di ieri sera – e mi sono svegliata molto bene. La soluzione taxi + metro per andare al lavoro ha funzionato, e mi sono tranquillizzata.


E già entro in quello stato in cui ci si avvicina alle persone, come a Lara per esempio, o Liliana, una signora italiana che ho conosciuto oggi. In fondo, li conosco già gli stadi di adattamento.


Ciao A.,

il viaggio è andato bene, con tanto di solita gente che non è disposta a capire quando qualcuno preferisce ascoltare l’ipod piuttosto che parlare tutto il tempo...


La città è strana...Non riesco a dire che è bella perché i due quartieri che ho visto esteticamente non lo sono, però l’atmosfera mi piace. Credo che abbia tanto da offrire, ora cercherò di scoprirlo. Tutti mi hanno detto che è una città molto sicura, anche per girare da soli. Gli egiziani sembrano proprio tranquilli, a parte che forse osservano un po’.


Ieri per tornare a casa ho preso la metro. Mi sono infilata in un vagone, a caso, e mi sono accorta che erano tutte donne. Insomma, uno dei vagoni centrali è riservato a sole donne. Per fortuna che mi sono infilato in quello giusto! Quando sono uscita dal mio vagone ho visto gli altri che letteralmente straripavano ed erano tutti uomini, aiuto! Forse ci vanno solo le donne di una certa età.


Poi ho preso il mio primo taxi scassato, dopo aver finalmente desistito (dopo quintali di piombo inalato) dal fare l’ultimo tratto di strada a piedi, cercando disperatametne di capire come evitare i raccordi, impossibili da attraversare, che passano attorno al Nilo. Sta mattina mi sono svegliata con quella sensazione di quando hai fumato più del tuo numero solito di sigarette. Ho inoltre capito che il rischio più grande che correrò è quello di essere investita da una macchina. Ho anche scoperto che la mia patente qui non è valida, e sono molto disappointed, ma forse è un bene che non possa gettarmi in questo traffico.


Non ho ancora visto il centro, ci andrò questo weekend. Il Nilo è affascinante, e ci sono vari locali e giardini lungo le sponde. Ma per il resto anche il quartiere che dicono essere un po’ più residenziale e caro (dove lavoro io), in certe parti a me pare comunque popolare...


L’inglese qua non è che lo mastichino così tanto bene per la strada. Era tanto che non mi capitava di sentirmi così completamente incapace di comunicare. Poi per quanto riguarda la trascrizione in alfabeto latino...ognuno ha la sua versione e non si capisce mai se si sta parlando dello stesso posto. Appena trovo una casa e mi sistemo, corso di arabo. Va beh, comunque in fondo è un po’ come stare a Napoli ;)


In ufficio non posso installare skype e Sara non ha internet a casa per cui in questi giorni sono un po’ isolata. In compenso ho un nuovo numero egizio: 02 016 9010772


A presto,
Margot

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