
Il falso mito dello sviluppo non si riesce ancora a sfatare, e si preferisce misurare la ricchezza di un popolo dal numero di auto possedute (poco importa se sono delle fiat 128 degli anni ’60) piuttosto che dalla qualità dell’aria che respirano; si preferisce illudersi che l’immondizia non esista, e che scompaia dietro alla porta di casa, piuttosto che pensare che alle porte del Cairo si erga Manshiyat naser, una vera e propria città di rifiuti. Perché loro si ostinano a voler ripercorrere tutti gli stadi percorsi da noi, perpetuando i nostri errori? Anzi, perché noi li incoraggiamo (di fatto) a farlo?
La realizzazione assume così per loro le forme del consumismo sfrenato, dell’incuranza e dello spreco – la peggiore delle nostre lezioni. E pensano che noi non riusciamo a capire il loro stato perché abbiamo tutto, abbiamo sempre avuto tutto. Difficile far capire che i nostri risultati, che il nostro benessere sono il frutto invece della parola “volere”, di tanti sforzi, di rinunce, di fatica, di risparmio, di lotte, di guerre, di fame, di morti.
Quello che vediamo invece noi in loro è tante volte proprio un’inerzia della volontà: io non provo automaticamente pena per persone fataliste che misurano le proprie occasioni a forza di "Inshalla"; senza contare poi che il loro modello si basa completamente sul privilegio, su una società fortemente gerarchica dove chi sta più in alto per nulla al mondo si sporcherebbe le mani con masioni che pertengono a un livello più basso del loro, provocando così continue paralisi, dove il rispetto per la forma prevale sull’obiettivo finale.
Al lavoro, Lara mi ha detto che Mohammed, da quando è stato promosso a clerical officer, non è più disposto a fare il caffè; una volta, mentre lei si stava facendo le fotocopie, da sola, qualcuno le ha commentato tra lo stupore e indignazione che quello non era il suo lavoro – che qualcun'altro avrebbe dovuto farlo per lei. E ancora, Saad ha sgranato gli occhi incredulo quando gli ho risposto con naturalezza che il mio week end lo avevo passato a pulire la mia nuova casa. Non immaginano che le donne europee continuano a infilarsi un paio di guanti e a pulire il loro cesso di casa. E non sanno nemmeno che in Europa siamo di base tutti uguali, e che la vita costa molto.
Persino gli strati più alti della società continuano a dirsi che quello che vedono non è “pollution”, ma solo “fog” (infatti non conoscono la parola “smog”), e considerano andare in metro come umiliante. Gli interessa solo comprarsi la macchina.
Vorrei tornarmene sulle colline tosco-emiliane, per non vedere, perché è inutile lottare, perché lo so che non c’è spazio in questi paesi per progetti di sviluppo sostenibile. “Hanno altre priorità. O almeno così dicono loro”, mi ha detto Lara ieri in ufficio. Ma ovviamente non riesco a fare lo struzzo, se no non sarei qui.
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Oggi ho scoperto che Ayoub, il mio capo, PhD, è un creazionista. Cioè crede che la terra sia stata creata 6000 anni fa. E ha un posto dirigenziale in un'organizzazione internazionale di questo tipo.
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