È un giorno come un altro in ufficio e tra le tante mail riceviamo un rapporto dal nostro collega sul campo. Hassan è fisso in una delle regioni più arretrate e povere del paese, qualche centinaio di chilometri a sud del Cairo, e lavora nell'area "children at risk", per un progetto di costruzione di scuole.
Sento la mia collega sridacchiare dalla scrivania di fianco a me, mentre inizio a leggere la sua relazione. Più che altro è un raccont sul sole, la terra, il vento, i bambini e la loro semplicità. Ha uno stile leggero e sensibile, e dopo avere introdotto il contesto comincia a raccontare la sua attività.
Si trattava di aprire un nuovo spazio educativo, una nuova scuola di comunità, e quello era il giorno in cui avrebbero portato i mobili nelle scuole. Il suo racconto si concentrava sull’entusiasmo dei bambini che, contenti e impazienti di vedere le aule arredate, hanno esultato all’arrivo dei mobili e sono andati di persona a prendersi le sedie per trasportarle in classe. Descriveva il momento, facce, sorrisi, espressioni, il rumore, l'energia, risa.
Per come sono sensibile in questo periodo, a me sono uscite le lacrime. Per bisogno di condividere, domando alla mia collega se lo avesse letto. Lei è una bella ragazza di 34 anni, molto self-confident; una di quelle persone che dominano la stanza e sono abituate a ottenere quello che vogliono. Del resto, fa parte di una delle famiglie più in vista del Cairo, è sposata, ha due figlie, e varie governanti, tra cui la tata che vive in casa con loro. Del resto, è facile essere self-confident se nessuno nella vita ti ha mai contraddetto.
“Certo che l’ho letto, è per quello che stavo ridendo! Ma che rapporto è, sembra una poesia. E poi dai…cosa vuol dire che 'sono usciti a prendersi le sedie'! Ma te ci credi?! Io non ce le vedo le mie figlie a fare così.”
Io sono rimasta delusa e amareggiata pensando “ma questa vive in Egitto o cosa? È mai uscita dal Cairo? Lavora per i bambini ma non capisce che i suoi sono dei privilegiati e per il restante 95% avere una scuola è un regalo?”
Ecco, per questo non sopporto questo posto in cui lavoro.
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